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      • POLLICINA È ANDATA A WASHINGTON!

      POLLICINA È ANDATA A WASHINGTON!

      Giorgia Meloni ha concluso ieri la sua visita ufficiale a Washington circondata da diplomatici e dirigenti della comunità italiana e americana a Villa Firenze, la residenza dell’ambasciatrice italiana Mariangela Zappia. Tra gli invitati, gli ex ambasciatori Usa in Italia John Phillips e Lewis Eisenberg e l’incaricato d’affari Shawn Crowley che ha fatto le veci dell’ambasciatore nell’ultimo anno, l’ex console a Milano Philip Reeker, la direttrice operativa del Fondo Monetario Kristalina Georgieva, il vicesegretario di Stato Richard Verma, l’ex ambasciatore americano alla Nato Kurt Volker, i dirigenti di Eni, Marco Margheri, e di Leonardo, Paolo Messa, il virologo Anthony Fauci, i presidenti del think tank Atlantic Council Fred Kempe e del German Marshall Fund Heather A. Conley, l’amministratore delegato di Pfizer Albert Bourla, quelli di Lockheed Martin e di aziende del settore spazio, Simone Crolla dell’American Chamber of Commerce of Italy, dirigenti di Amazon e Spotify.

      Durante tutto l’evento, chiuso ai giornalisti, c’è stata grande tutela della privacy della presidente del Consiglio, che ha chiacchierato con tutti i presenti (…) .

      Corriere della Sera, 29 luglio 2023

       

      Pollicina è andata a Washington!     

      Di Belisario per ComeDonChisciotte.org

       

      Una alleanza è una relazione più o meno formalizzata tra due Paesi che condividono la maggior parte delle scelte strategiche fondamentali. In qualunque alleanza esistono divergenze: quando le divergenze spariscono e la volontà del Paese più potente si compie unilateralmente e sistematicamente, una alleanza cessa di essere tale e diventa una relazione di servitù o vassallaggio.

      Nell’alleanza tra USA ed Italia, le divergenze sono state storicamente rilevanti e frequenti.

      Vedasi la politica dei contratti 50-50 dell’ ENI di Mattei con i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, che esponeva platealmente la pratica di sfruttamento neocoloniale delle concessioni petrolifere pretese con le buone o con le cattive (il colpo di stato del 1953 contro Mossadeq in Iran) dalle Sette Sorelle di USA, GB e Francia. Per decenni, la politica filoaraba del Governo italiano fu in costante dialettica competitiva con la politica filoisraeliana del Governo USA, fino all’aperta collisione nella crisi di Sigonella (1985). Ma non solo: si arrivò a non sottoscrivere il famoso Louvre Agreement del 1987, con il quale gli USA e i principali Paesi occidentali dopo il Plaza Agreement del 1985 concordarono e regolarono le loro politiche economiche e monetarie (un accordo da fantascienza, oggi), perchè il Presidente del Consiglio Bettino Craxi rifiutò seccamente la formula diminutiva con la quale l’ Italia (al tempo il quinto Paese industrializzato del pianeta) ed il Canada erano stati invitati a far parte del nuovo Gruppo dei Sette. Per capirci : ogni tanto alzavamo anche i toni.

      La serie delle divergenze all’ interno dell’alleanza termina sempre in Nord Africa, con l’accordo strategico tra Italia e Libia sottoscritto da Silvio Berlusconi nell’agosto del 2008, nell’ aperto dissenso di USA, Francia, GB e Commissione UE. La guerra scatenata alla Libia ci ha arrecato danni storici, esponenziali e perduranti fino ad oggi, ma preferiamo far finta di nulla.

      A partire dalle dimissioni di Silvio Berlusconi (2011), l’Italia ha di fatto cessato di avere una politica estera e di difesa almeno parzialmente autonoma: eccetto alcuni distinguo (traduzione: bizantinismi), quasi solo nei confronti dell’UE, l’Italia non ha più avuto alcuna divergenza con gli Stati Uniti. Salvo il giro di valzer di Conte con il Memorandum sulla Via della Seta, si obbedisce, e basta, a partire dal sostegno all’armamento dell’Ucraina, secondo ripetuti polls condiviso da una mera minoranza del popolo italiano. E mentre ci mancano le risorse navali per controllare la frontiera marittima dall’accresciuta invasione migratoria, le nostre navi militari, semplicemente, assistono gli USA in missioni di lunga durata nell’Oceano Pacifico.. ad majora!

      La recente visita di Giorgia Meloni a Washington almeno dal punto di vista mediatico ha certificato questo status, che ha ormai reso l’alleato Italia un vassallo minore di scarsa importanza.

      La stampa americana non è la stampa italiana, ed infatti nessuno dei quotidiani statunitensi – Wall Street Journal in testa – ha conferito alla visita la prima pagina, guarda caso invece sempre riservata alle visite dei leaders di Germania, Francia o Regno Unito, ed anche di Paesi molto meno importanti, ma con i quali evidentemente c’è una qualche divergenza di interessi con gli USA.

      La notizia della visita della Meloni è stata relegata tra le minori, nelle pagine interne. Solo il New York Times ha pubblicato un paio di editoriali in cui ha cercato di accreditare la favoletta del Governo Meloni come “di estrema destra”, secondo la linea che in Italia è portata avanti da Repubblica e Il Fatto Quotidiano. D’altronde il Direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, trascorre oltre quattro mesi all’anno a New York e Washington.. .

      Il Wall Street Journal, il giorno prima dell’arrivo della Meloni, ha pubblicato un lungo e dettagliato articolo in prima pagina sul ponte sullo Stretto di Messina, improntato di scettiscismo – fin dal sottotitolo: “Non trattenete il respiro!” – sulle effettive capacità dell’Italia di costruire quello che sarebbe il ponte a campata unica più lungo del mondo. Secondo il giornalista, se ne sarebbe parlato troppo a lungo – per decenni, infatti – e persisterebbe il rischio che prima o poi il progetto venga interrotto o divenga comunque un campo di battaglia della conflittualità politica italiana.

      L’osservazione purtroppo coglie nel segno, specie includendo la magistratura italiana.. .

      Per chi – come il sottoscritto – conosce molto bene gli USA ed il relativo sistema mediatico, avendoci anche vissuto e lavorato per diversi anni, la deminutio, lo svilimento ad alleato minore o vassallo, è stato evidente. La Meloni poi ci ha messo del suo: oltre alle faccine nelle foto, questa volta è riuscita a dire esattamente quello che non doveva dire, ossia che “alla Casa Bianca, non si è sentita Cenerentola”.

      Ma infatti, Giorgia, ma quale Cenerentola? Lo hanno capito tutti negli USA: al massimo, Pollicina!

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