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      • SALARIO MINIMO BOCCIATO: IL PARLAMENTO OPERA NELLA TRASVERSALITÀ MASSONICA

      SALARIO MINIMO BOCCIATO: IL PARLAMENTO OPERA NELLA TRASVERSALITÀ MASSONICA

      Questo era scritto sui cartelli che sventolavano ieri in Parlamento – tenuti ben stretti nelle mani dei parlamentari del Partito Democratico (PD) e di quelli del Movimento 5 Stelle (M5S) – mentre si votava la legge che di fatto ha affossato ufficialmente il Salario Minimo.

      Stiamo parlando di salari, ovvero della vita dei lavoratori e delle loro famiglie; e come di consueto la battaglia oggetto del teatrino della politica è sempre la solita: far credere alla gente che dentro il Parlamento ci sia qualcuno che difende i diritti degli ultimi, che oggi purtroppo, causa le politiche di folle austerità messe in atto negli anni, sono anche la maggioranza nel Paese.

      “Non in Nostro Nome”, si affossano le speranze di un salario decente di 4,3 milioni di lavoratori italiani che percepiscono meno di 9 euro lordi all’ora, gridano con forza dai banchi dell’opposizione i deputati di PD e M5S sconfitti, dopo che con 153 voti favorevoli, 118 contrari e 3 astenuti la Camera ha approvato il 6 dicembre la legge che di fatto affossa ufficialmente il salario minimo.

      A gridare sono gli stessi che da due anni premono i governi per ratificare la riforma del Mes che come sappiamo porterà altra austerità e salari ancora più bassi. E lo gridano ad un governo che non sta ratificando il Mes, perché coscienti di quanto sia deleterio per il nostro paese, ma bensì lo ritengono troppo poco ed insufficiente per arrivare al progetto ultimo di Draghi e dei poteri globalisti, ovvero gli Stati Uniti d’Europa per consacrare la definitiva colonizzazione dei popoli.

      Dovremmo prendere uno ad uno questi parlamentari con il cartello in mano e porre loro questa domanda del tutto retorica: in nome di chi, da tre decadi a questa parte, sono state fatte ed accettate leggi come il Jobs act e politiche di austerity infinita, causa entrambe della costante e progressiva deflazione salariale, che ha portato l’Italia a raggiungere il primato europeo, come unico paese dove i salari sono addirittura diminuiti rispetto a 30 anni fa?

       

      La risposta noi la sappiamo bene:

      da tutta la classe politica intera appartenente al “sistema dei partiti”, ormai a pieno titolo braccio armato dei poteri profondi che guidano le nostre istituzioni.

      «Oggi è un giorno triste, oggi che accartocciate con una mano la proposta di salario minimo delle opposizioni e con l’altro date un manrovescio a milioni di lavoratori poveri», ha tuonato la segretaria del PD Elly Schlein. «Vorremmo sapere perché Meloni ce l’ha così tanto con i poveri. Voi all’ascensore sociale state tagliando i fili perché chi è povero resti povero».

      Quando il Pd con allora segretario e premier Matteo Renzi, dalle poltrone di governo, diede il via libera alla riforma del diritto del lavoro – l’ormai famoso Jobs Act  – non mi risulta che nel partito della Schlein ci fosse tutta questa tristezza che oggi ci manifesta.

      Almeno a Matteo Renzi, oggi passato ad Italia Viva – nella sua ormai risaputa avversione verso i lavoratori e nei confronti di chi soffre (vedi la battaglia che ha combattuto per togliere il reddito di cittadinanza) – il Sistema di potere ha concesso di  rimanere coerente nel tempo, visto che a questo giro pur essendo all’opposizione, è rimasto staccato da PD e M5S, potendo così mostrare tutta la sua contrarietà a concedere una boccata d’aria a chi non arriva a fine mese.

      L’altro leader a cui è stato concesso di posizionarsi a favore del salario minimo, Giuseppe Conte, il giorno prima della votazione ha messo in atto uno show teatrale ad effetto elettorale, stracciando platealmente il testo originario, poi seguito via via da tutti i capigruppo e gli altri firmatari della proposta di legge che hanno ritirato le loro sottoscrizioni.

      Giuseppe Conte, prima da premier e poi con i cinquestelle Stelle in maggioranza, sono stati al governo fino ad un anno fa, ed anche se la parentesi con Draghi non la vogliamo contare, come mai, se ritenevano così fondamentale far respirare questi 4,3 milioni di italiani, non hanno introdotto allora il salario minimo?!

      A livello di dottrina economica, non voglio ripetermi nel dire quanto sia importante per il buon funzionamento di un sistema economico, stabilire per legge un livello di salario minimo decente che possa permettere una vita dignitosa ai lavoratori ed alle proprie famiglie, accompagnato da una misura di politica fiscale del governo dove lo Stato si dichiara disponibile ad assumere chiunque voglia lavorare.

      E ricordo che uno Stato sovrano con i principi costituzionali in tema di lavoro ben chiari come il nostro, ha il dovere di fornire un lavoro a chiunque voglia lavorare.

      Sono concetti che già ho espresso in diversi articoli scritti nei mesi scorsi, per tenervi aggiornati sul dibattito politico relativo al salario minimo e che riporto nelle note finali per chi volesse approfondire l’argomento. [1]

      Un dibattito quello appunto sul salario minimo, che ha visto i vari esponenti di spicco di ogni partito, giocare alla perfezione il loro ruolo all’interno di quella trasversalità che li unisce per rendere servigio ai poteri di casa nostra, i quali, sappiamo bene, ad introdurre il salario minimo manco morti ci pensano.

      Alberto Bagnai – capo economista della Lega – sentito sul tema nell’aprile scorso, ha persino dovuto rinnegare i suoi studi per provare a far passare per oro il ferro, e siccome anche a lui le balle che ci confezionava a livello dottrinale parevano effettivamente di proporzioni eccessive, ha provato a coprirsi con la solita coperta con cui si coprono tutti i nostri politici, tirando in ballo la sempre verde scusa del ce lo chiede l’Europa:

      “la stessa UE dice che non esiste un tema di salario minimo in Paesi come l’Italia, dove la contrattazione collettiva ha una copertura estesissima” [2]

      Peccato che sul tema da Bruxelles abbiano chiarito che ogni Paese membro è libero di decidere in piena autonomia il tipo di azione fiscale da intraprendere. Tant’è vero che Francia e Germania, hanno introdotto il salario minimo già da tempo.

      Questa è l’ennesima prova che dobbiamo ingoiare per renderci conto che dentro la deflazione salariale infinita imposta da questa moneta di stampo coloniale, ci tengono i poteri di casa nostra e non quelli europei.

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