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      • DIGNITAS INFINITA, L’INGANNO DI UN RITORNO ALLA LEGGE NATURALE

      DIGNITAS INFINITA, L’INGANNO DI UN RITORNO ALLA LEGGE NATURALE

      La dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede ripropone la nozione di diritto naturale e di legge naturale proprie della tradizionale dottrina della Chiesa, considerata nella sua unità di fede e di ragione? La domanda è interessante perché presuppone che nel suo recente magistero la Chiesa docente se ne sia allontanata.

      Alla questione molte autorevoli menti hanno risposto di sì, che con questo documento la Chiesa è tornata alla propria visione tradizionale della legge naturale a fondamento metafisico. Per esempio, il presidente Marcello Pera in una intervista pubblicata su La Verità di lunedì 15 aprile ha detto: «Il papa è ritornato alla dottrina tradizionale cattolica. Dopo tanti segni di apertura verso il mondo laico, non ultima la strana concessione della benedizione, purché sbrigativa, en passant, delle coppie omosessuali. mi sembra che abbia adottato una posizione in linea con quella dei suoi predecessori. Se prima c’era stato qualche strappo, ora si vede un vistoso rammendo».

      Lasciando da parte per ora la questione del «vistoso rammendo», che riprenderò in seguito, bisogna notare che effettivamente l’impressione del ritorno alla tradizione è in qualche modo giustificata. Si pensi addirittura che viene citata la famosa definizione di Severino Boezio della persona umana come individua substantia rationalis naturae, definizione coltivata solo da circoli cattolici di nicchia. Vengono poi adoperati termini vituperati dal linguaggio teologico cattolico odierno, come l’aggettivo “ontologico” o l’espressione “natura umana”. Anche la preferenza assegnata all’espressione “dignità umana” piuttosto che a “dignità personale” va nello stesso indirizzo. Bisogna riconoscere che le espressioni “diritto naturale” e “legge naturale” non ci sono nel lungo testo, ma gli ottimisti hanno buon agio nel fare riferimento ad espressioni sostitutive come le due ora ricordate. E poi c’è quel lungo elenco delle principali minacce alla legge naturale della dignità umana.

      Detto questo, bisogna anche osservare che ci sono delle stranezze. Il riferimento a Locke e a Kant, come espressioni, seppure un po’ attenuate, della visione metafisica cattolica della dignità della persona, lascia perplessi. Se l’impianto del documento vuol essere “ontologico”, la cosa diventa impossibile nei due autori appena citati. Nel primo c’è una assonanza linguistica dato che anch’egli ha scritto un saggio sulla legge naturale, ma non molto di più, nel secondo poi il discorso diventa decisamente impraticabile. Anche l’elogio riservato alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU, che, come noto, si rifà a precedenti dichiarazioni a cominciare da quella del 1789 dell’Assemblea nazionale costituente nella primissima fase della Rivoluzione francese, sembra improprio ed eccessivo. Infine, l’apprezzamento per il “personalismo”, come corrente che avrebbe approfondito il carattere soggettivo e relazionale della persona, non è completamente accettabile, a cominciare dalla famosa distinzione maritainiana tra “individuo” e “persona” che tanti equivoci ha provocato, o come la definizione di Mounier della persona come “processo di personalizzazione” che adombra le derive liberali dell’autodeterminazione. Tutto questo ridimensiona il cosiddetto ritorno alla visione tradizionale circa il fondamento metafisico realistico della persona e della legge naturale.

      Anche nell’elenco degli attentati alla dignità della persona umana e alla legge naturale che da essa promana si possono notare delle incertezze. Tutte le forme dell’attuale dispregio della legge naturale vengono messe sullo stesso piano. La povertà, la guerra, i migranti, con cui inizia appunto questo elenco, oppure la violenza digitale con cui esso si conclude, sono di una gravità diversa dall’aborto o dall’eutanasia, la violenza contro le donne andrebbe più realisticamente contestualizzata e descritta. Si nota la mancanza della dottrina dei principi non negoziabili che avrebbe potuto aiutare a gerarchizzare le cose.

      Tornando ora al “vistoso rammendo”, si può notare che questa ripresa della legge naturale contrasta con il suo abbandono lungo tutto questo pontificato. L’approccio metafisico tentato in Dignitas infinita era stato in precedenza sostituito dalla regola del “caso per caso”, che più antimetafisica non si può. Non c’è traccia di riferimenti sistematici alla legge naturale nei documenti magisteriali recenti e, anzi, Amoris laetitia e Fiducia supplicans la contraddicono. Lo stesso dicasi per le posizioni concrete espresse dalla gerarchia sull’omosessualità e sul transgenderismo. Della teologia morale, la disciplina che dovrebbe appunto occuparsi dell’ontologia del bene legato alla dignità della persona, viene promossa una radicale revisione, evidente, per esempio, nel nuovo corso dell’Istituto Giovanni Paolo II, e oggi i maestri in cattedra nelle principali istituzioni accademiche cattoliche fanno un discorso assai diverso rispetto a questo “vistoso rammendo”.

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