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      • DENTRO LA NOTIZIA

      DENTRO LA NOTIZIA

      C’è una domanda generale, che è andare a votare oppure no, e una domanda dentro la prima domanda, che è: se non votare esprime contrarietà all’intero sistema, esiste un modo per esprimere ancor meglio, o anche molto meglio, questa contrarietà, questa repulsione morale per la degenerazione di fatto del sistema? Un sistema che non ci rappresenta, ma che è pur sempre reale quanto oppressivo, al quale non si può sfuggire nella “normale” vita quotidiana fatta anche e soprattutto di esigenze primarie.

      Ovviamente non mi riferisco a forme di opposizione al di fuori delle regole istituzionali, che possono andare dalla semplice e composta disobbedienza civile alle forme più cruente di lotta armata, fino alle estreme conseguenze di una vera e propria guerra civile generalizzata, che però fortunatamente non si intravede neppure nei più lontani e pessimistici orizzonti previsionali, non fosse altro per come si è ridotto l’italiano-medio del terzo millennio.

      Non è una questione di lana caprina, tutt’altro, dal momento che il “partito” del non voto già oggi ha la maggioranza assoluta, senza alleanze con alcun’altra forza politica. Nessun altro partito istituzionale può anche solo sperare di poter competere con questi risultati elettorali schiaccianti. Ma, buon per loro, non se ne curano minimamente, visto l’effetto nullo, anzi a loro favorevole, che ha l’astensione nella spartizione del potere che perseguono come scopo primario della loro esistenza.

      Di questo parliamo, di come si può evolvere e rafforzare il partito del non voto, affinché passi dal non contare nulla, come adesso, a contare moltissimo come forza d’urto necessaria ad abbattere questo sistema marcio, che si perpetua legalmente (o quasi) anche se illegittimamente, ipocritamente e senza alcuna vergogna. Si tratta quindi di una analisi di realtà, ben più pesante di una semplice analisi di principio. Anche se i principi sono fondamentali, sono pur sempre le radici che alimentano qualsivoglia politica formale e di fatto.

      Fortunatamente in Italia la tecnica elettorale è rimasta sostanzialmente ferma alla scheda cartacea da segnare con la matita copiativa nel segreto dell’urna. Cosa possibile solo con la propria presenza fisica certificata.

      C’è poi la fase di spoglio delle schede, distribuita capillarmente su tutto il territorio, e la fase di coordinamento della raccolta dati al Viminale. Le possibilità di brogli elettorali sono piuttosto ridotte con questa tradizionale procedura. Una di queste è la manipolazione delle schede bianche da parte di un qualche scrutatore disonesto, che ci mette un attimo a porre la crocetta sul partito che più gli aggrada, rendendo la scheda valida a tutti gli effetti, anche a prova di controlli successivi.

      L’ovvio consiglio all’astensionista che si reca alle urne è quindi quello di annullare inequivocabilmente la propria scheda, ad esempio barrando l’intera pagina, o più pittorescamente esprimendo il proprio dissenso-disprezzo con espressioni colorite a tutta pagina, il che non cambia l’esito del voto ma in qualche misura, seppur minima, gratifica il dissenziente stesso scandalizzando gli scrutatori, o forse suscitando in qualcuno di essi una tacita approvazione.

      Ora, qual è il senso di tutto ciò? Un senso c’è, ed è anche molto profondo, ben al di là delle emozioni del momento. Per scoprirlo basta fare un piccolo esercizio di fantasia, ma ben radicato nella realtà della “notizia”.

      La notizia è che oggi almeno un avente diritto al voto su due diserta le urne. A termine di paragone ricordiamo che quando le donne per la prima volta furono ammesse al voto nel 1946 l’affluenza alle urne fu del 89%.

      Immaginiamo ora che i non votanti di oggi siano in massima parte persone dalla coscienza vigile, ben informate dei fatti, che esprimono così la loro opposizione non a singole forze politiche ma all’intero sistema dentro il quale queste stesse forze operano, governando almeno formalmente il Paese.

      L’esercizio di fantasia è quello di immaginare che questo esercito maggioritario si renda improvvisamente conto che disertando le urne non conta nulla nella realtà, mentre annullando la scheda, unico modo per esprimere la loro opposizione a tutte le forze politiche proposte, cioè al sistema stesso che rappresentano, viene necessariamente conteggiato come “scheda nulla”, che è ben diverso da “scheda bianca”, diventando così un “partito” di fatto che conquista la maggioranza assoluta, dichiarando istituzionalmente che si oppone all’intera classe dirigente in carica, sia nella forma (soprattutto politici) che nella sostanza (soprattutto finanzieri e agenti esteri).

      Chi pensa che questo risultato equivarrebbe all’attuale astensione dal votare, non ha capito nulla di come vanno le cose nella realtà. In tal caso infatti non si potrebbe più attribuire al partito dell’astensione un silenzio-assenso espresso da tutto lo spettro degli atteggiamenti, dal menefreghismo alla soddisfazione per come vanno le cose. L’opposizione al sistema sarebbe chiara e inequivocabile, e se anche la classe politica facesse finta di niente, ignorando la radicalità della critica popolare nei suoi confronti, verrebbe spazzata via insieme alla propria perduta legittimazione, per quanto legalmente intatta sul piano formale ma non più compatibile con la realtà oggettiva e finalmente manifesta.

      Queste considerazioni non fanno il paio con altri “se” utopici, del tipo “se tutti non andassero a votare”, o “se tutti ritirassero i loro soldi dal conto corrente”, ecc. ecc. Infatti parliamo di persone reali, che hanno già deciso e dimostrato di non riconoscersi più in questo sistema, lo rifiutano e vorrebbero perciò cambiarlo radicalmente.

      Dal “giorno dopo” di questa catastrofe istituzionale ricomincerebbero i giochi veri, ma col senno di poi si starebbe ben attenti a non farsi fregare come è già ripetutamente avvenuto fin qui.  Gli allarmi scatterebbero al minimo segnale, e tutti saremmo pronti a porvi sostanziale rimedio. Certo è che occorre un minimo di fiducia in se stessi, nella vita di cui siamo portatori e responsabili, quali mattoni costitutivi essenziali di una comunità degna di questo nome.

      Ricordo infine ai critici-acritici del sistema in quanto tale che il sistema presente non solo è reale, ma è anche una semplice (brutta) forma presa dalla realtà. Crollato un sistema la realtà permane, cambia forma, e diventa automaticamente un nuovo sistema, cioè una nuova realtà con una nuova forma. Le due cose non sono separabili. Ci si può separare dal sistema? Forse, ma solo separandosi dal tutto, dalla comunità, in una dimensione ascetica che non è cosa per tutti. Non è questo di cui parliamo.

      Licenziarsi dal lavoro dipendente per andare a vivere in campagna del proprio orticello non è una fuga dal sistema, qualunque esso sia, ma solo una marginalizzazione che è parte essa stessa del sistema. Perfino gli asociali fanno parte della società. Insomma sistema e realtà per gli umani sono la stessa cosa. Se non ci aggrada possiamo solo provare a cambiarla questa nostra realtà sistemica, mentre negarla non serve a niente, se non a illudersi di tirarsi fuori dai giochi, cioè autoingannarsi.

      Certo i tentativi individuali di cambiare il sistema sono ridicoli nella prospettiva del rapporto di forze tra il singolo e il sistema, ma acquistano forza tramite la condivisione degli intenti, cioè il fondamento di ogni vera politica, la cui purezza o contaminazione dipendono direttamente dalla qualità dei singoli che la sostengono.

      Con questo mi taccio definitivamente sull’argomento, sperando di essere stato più chiaro della volta precedente, e considerando l’imminenza delle elezioni europee come semplice e fortuita occasionalità all’interno di un discorso più ampio e generale, che però si fa ogni giorno più urgente.

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