La fase finale della seconda guerra mondiale ha portato il mondo, fra le altre cose, a conoscere la più terribile e temibile arma finora concepita dall’essere umano: la bomba atomica.
Un’arma da armageddon, come dimostrato dalla scellerata decisione statunitense di utilizzarla per polverizzare due città (e tutto ciò che esse contenevano) del Giappone imperiale già sostanzialmente distrutto dal conflitto. Il tutto per impedire che l’URSS arrivasse prima anche lì, dopo aver già liberato il cuore dell’Europa ripulendo la Berlino nazista nel maggio dello stesso anno.
Un’arma dunque da sempre temuta sia dalle Potenze che la possedevano che da quelle che non l’avevano nei propri arsenali (ed oggi decisamente più letale di allora).
Un’arma da “fine del mondo”, “utilizzata” dall’inizio della guerra fredda solamente come deterrente. Una deterrenza che scoraggiava qualsiasi idea di provocare uno scontro tra Potenze nucleari, così come da allargamenti di conflitti oltre la “soglia critica” per una delle potenze che la possedevano.
Un utilizzo dunque “intelligente” (se si può utilizzare questo termine per armi di sterminio), il quale per certi versi dava anche una certa dose di “stabilità globale” incentivando (e sostanzialmente obbligando) le grandi Potenze a dialogare e trovare un accordo prima della catastrofe.
La fine della guerra fredda e l’inizio del momento unipolare, però, hanno cambiato radicalmente la situazione.
E certamente in peggio.
In questo periodo, infatti, l’unica potenza nucleare capace di “dettare legge” ai quattro angoli del mondo è stata quella con capitale Washington. Un dominio sostanzialmente incontrastato dovuto alla dissoluzione della sua principale antagonista e all’ “annichilimento” che questo fatto portò a tutto il movimento socialista (e dei “non allineati”) globale.
Un momento unipolare che ha visto dunque gli USA impegnati nel rimodellare a proprio piacimento l’architettura geopolitica globale, con interventi più o meno decisi in varie parti del mondo. Iraq, Afghanistan, Libia, Serbia sono solo alcuni di essi. Interventi che hanno visto la resistenza degli stati aggrediti ma la sostanziale mancanza di sostegno da parte delle altre Potenze almeno in teoria in grado di supportarle adeguatamente.
Un “momento magico” che ha portato analisti, strateghi e politici esaltati da tale situazione ad iniziare a dare anche una base teorica e ideologica a tale dominio. Una “fine della storia” dove il liberalismo, con al vertice politico la borghesia finanziaria e apolide (e sfruttando le capacità militari USA e NATO), aveva trionfato “senza” possibilità di regresso.
E con l’idea che qualsiasi tentativo di modificare il nuovo status quo (o contrastare i disegni espansionistici di esso) sarebbe inesorabilmente caduto sotto i colpi del garante liberale globale.
Una visione, alla prova dei fatti, miope e foriera di pericoli apicali per l’umanità.
Infatti, mentre il “gioco unipolare” muoveva le sue carte, una parte di mondo sempre più consistente iniziava a risvegliarsi e a provare ad uscire dal torpore post bipolarismo.
Ed è così che vari paesi del c.d. “sud del mondo” hanno iniziato a contrastare tali disegni e a cercare nuove vie sovrane e unitarie, nonché a promuovere modelli di sviluppo alternativi.
Potenze anche nucleari o con accordi strategici con Potenze detentrici di quest’arma.
Dunque, il mondo si è trovato (e si trova) nel mezzo di una “guerra mondiale a pezzi” (cit. Papa Francesco) dove il rischio di deflagrazione totale si fa sempre più concreto.
Infatti, se la debolezza di varie Potenze regionali e globali post guerra fredda aveva garantito agli USA (e in generale all’occidente collettivo) la capacità di intervenire in giro per il mondo a difesa dei suoi esclusivi interessi e senza sostanziale opposizione, la situazione è ora radicalmente diversa.
Il colonialismo e il neo-colonialismo vengono ora e sempre più visti con disprezzo dalla grande maggioranza della popolazione mondiale. Nazioni e popoli che hanno creato (e stanno creando) capacità di resistenza e risposta sempre più adeguate. CELAC e ALBA-TCP in America Latina e i BRICS+ nel mondo, così come gli accordi di partenariato strategico fra la Russia e la Cina (con vari altri attori globali) sono solo alcuni degli esempi più significativi.
Uno scontro fra unipolarismo e multipolarismo, dunque, che modella e modellerà l’intero globo.
Uno scontro che comprende decisamente anche la questione nucleare, sempre più evocata non solamente come “idea di deterrenza” ma anche come una delle possibili armi da utilizzare qualora non si riesca a raggiungere i propri obiettivi.
Uno sconsiderato tentativo di “banalizzazione del male” che riesce a spostare sempre più in là l’asticella degli “azzardi geopolitici”, in quanto anche l’utilizzo del nucleare ormai rientra nel novero delle possibilità.
Il recente attacco di Israele all’Iran e il soccorso USA all’aggressione rientra proprio in tale nuovo contesto. A tal proposito, infatti, vari analisti occidentali si domandano con leggiadria, fra le altre cose, come Washington e Tel Aviv potrebbero distruggere le centrali nucleari iraniane. Se dunque un’aggressione deliberata contro un Paese sovrano membro delle Nazioni Unite dovrebbe essere fatta utilizzando “solamente” armi convenzionali oppure ricorrendo anche al nucleare.
Di seguito alcuni esempi di tale narrazione, ma se ne potrebbero indicare a decine:
US Reportedly Assesses Only a Nuclear Bomb Could Destroy Iran Nuclear Facility
Nucleare magari tattico, in quanto quella parolina magica non dovrebbe allarmare poi troppo l’opinione pubblica. Opinione pubblica bombardata da fake news di ogni tipo e spesso provenienti proprio da quel main stream che si erge a paladino della verità (per cercare di annichilire anche solo chi si fa qualche domanda “scomoda” e senza mai chiedere scusa quando le narrazioni fasulle certificate a distanza di anni, come quella della provetta di Powell per giustificare la distruzione dell’Iraq, hanno contributo al massacro di qualche migliaio di persone innocenti).
Come ho accennato sopra, però, stavolta la situazione è ben diversa rispetto al pieno momento unipolare e i paesi del sud del mondo sono certamente più attrezzati.
In particolar modo, se l’invasione occidentale dell’Iraq nel 2003 o la distruzione della Libia nel 2011 non ha trovato grande resistenza dalle Potenze che da esse avevano certamente da perdere (in primis quelle “sud del mondo”), con la “questione iraniana” la situazione è certamente diversa.
Un paese che ha un’industria missilistica di altissimo profilo e alleanze decisive, a partire da Russia e Cina. Tutti paesi che fanno parte anche dei BRICS+, organizzazione senza profili squisitamente militari ma che ha tutto l’interesse a non avere membri schiacciati da interessi esterni. La guerra contro l’Iran di questi giorni è infatti prima di tutto contro il mondo nascente (e di stampo in primis economico), con tentativi di danni sostanziali anche e soprattutto alla Cina (il “boccone” per eccellenza).
Un contesto dunque completamente diverso rispetto al passato, dove lo scontro unipolarismo – multipolarismo è pienamente in atto. Con il secondo che si sta sviluppando e il primo che vede erodersi la terra sotto i piedi e cerca di intervenire per invertire la rotta.
E tornando al caso specifico Iran, dunque, se l’utilizzo del nucleare per distruggere parti del Paese non è più considerato un tabù, anche gli alleati di quest’ultimo hanno fatto presente che in casi estremi esistono “contromisure”.
A tal proposito, se infatti il Pakistan ha dichiarato pubblicamente che un attacco nucleare di qualsiasi genere contro il paese con capitale Teheran provocherebbe una risposta dello stesso tenore di Islamabad in sua solidarietà e contro l’aggressore, si sa che anche la Russia e la Corea del Nord hanno dato una loro certa “disponibilità atomica” (oltre alla cooperazione militare che va avanti da anni) qualora capitasse che accadessero determinati tipi di attacco tali da superare tutte le linee rosse.
Se dunque le possibilità di colpi di stato sviluppati in vari modi e ampiamente conosciuti da decenni (vedesi quelli in America Latina, tipo il “golpe bianco” del 2016 in Brasile contro l’allora Presidente Dilma Rousseff, solo per citarne uno), così come atti terroristici e sabotaggi di vario genere, sono e saranno sempre una temibile arma, appare certamente più complicata una vittoria militare diretta contro Teheran.
In conclusione, dunque, una situazione esplosiva (aldilà dei raffreddamenti momentanei delle ostilità) che dovrebbe portare a più miti consigli, partendo dal rispetto delle volontà e dei legittimi diritti dei popoli. Senza imposizioni dall’esterno ma rispettando pienamente il diritto di “scegliersi” il proprio destino.