Il 23 settembre, l’ONU ha pubblicato un rapporto passato sotto silenzio che mette in luce un aspetto quasi sconosciuto dell’Olocausto del XXI secolo a Gaza: il fatto che il genocidio perpetrato dall’entità sionista sta causando un devastante impatto ambientale non solo sulla Palestina occupata, ma più in generale sull’Asia occidentale, Israele compreso. Il danno è incalcolabile perchè l’aria, le fonti alimentari, l’acqua e il suolo sono ampiamente inquinati, in misura fatale. Il recupero potrebbe richiedere decenni, se mai avverrà. Nel frattempo, la popolazione rimasta a Gaza ne pagherà il prezzo, in molti casi con la vita.
Nel giugno 2024, l’ONU aveva pubblicato una valutazione preliminare sull’impatto ambientale del genocidio di Gaza. Aveva riscontrato che la barbarica aggressione dell’entità sionista aveva avuto un profondo impatto sulla popolazione di Gaza e sui sistemi naturali da cui essa dipende. A causa di “vincoli di sicurezza” – vale a dire i continui assalti di Israele – l’ONU non aveva potuto “valutare la portata complessiva del danno ambientale [sic]”. Ciononostante, l’organismo era stato in grado di raccogliere informazioni secondo cui “la portata del degrado era immensa” ed era “peggiorata in modo significativo” dal 7 ottobre.
Ad esempio, l’Olocausto del XXI secolo di Tel Aviv ha “degradato in modo significativo le infrastrutture idriche, con il risultato di un approvvigionamento idrico gravemente limitato e di bassa qualità per la popolazione”. L’ONU ritiene che ciò “stia causando numerosi effetti negativi sulla salute, tra cui un continuo aumento delle malattie infettive”. La contaminazione delle acque sotterranee è dilagante, con implicazioni catastrofiche “per la salute ambientale e umana”. Nessuno degli impianti di trattamento delle acque reflue di Gaza è operativo, mentre “la grave distruzione dei sistemi di canalizzazione e il crescente utilizzo di pozzi neri per i servizi igienico-sanitari hanno aumentato la contaminazione della falda acquifera, delle zone marine e costiere”.
Una fila per l’acqua a Rafah, Gaza
Di conseguenza, il genocidio “ha praticamente eliminato i mezzi di sussistenza dei pescatori di Gaza”. In questo ambito la “distruzione della capacità istituzionale” da parte di Israele ha fatto sì che “non esistono controlli efficaci sulla contaminazione della catena alimentare proveniente dall’approvvigionamento ittico, con conseguente consumo di pesce avvelenato” da parte dei palestinesi affamati. “Gli ecosistemi marini sono stati chiaramente contaminati da munizioni, liquami e rifiuti solidi”, aveva concluso l’ONU. La situazione richiede “un ripristino urgente” dell’approvvigionamento idrico e della capacità di raccolta delle acque reflue della Striscia “per prevenire ulteriori impatti sulla salute umana e impedire future epidemie di malattie trasmissibili”.
Altrove, le “valutazioni con telerilevamento” condotte dall’ONU nel mese di maggio indicavano che il 97,1% delle colture arboree di Gaza, il 95,1% della sua boscaglia, l’89% dei suoi terreni erbosi/incolti e l’82,4% delle sue colture annuali erano stati “danneggiati”. Di conseguenza, “la produzione di cibo non è possibile su larga scala” e “il suolo è stato contaminato da munizioni, rifiuti solidi e acque reflue non trattate”. L’ONU ha concluso che l’”attività militare” dell’entità sionista ha provocato il “degrado del suolo attraverso la perdita di vegetazione e la compattazione”, con risultati disastrosi.
Le conseguenze del genocidio di Gaza si ripercuotono anche nello stesso Israele. Il Ministero della Salute di Tel Aviv calcola che, solo nel 2023, l’inquinamento causato dalla guerra lampo di Benjamin Netanyahu abbia provocato almeno 5.510 morti premature a livello locale. Considerando che il massacro su scala industriale perpetrato dall’entità sionista – principalmente attraverso attacchi aerei – si è successivamente intensificato raggiungendo livelli senza precedenti, possiamo solo ipotizzare quanto la situazione sia peggiorata oggi. I funzionari israeliani erano riluttanti a pubblicare il rapporto del 2023 e non sono disponibili dati più recenti. La ragione di questo silenzio è ovvia.
“Movimento sicuro”
Il rapporto delle Nazioni Unite descrive in dettaglio come la distruzione a Gaza sia “estesa” e stima che il 78% delle “strutture siano distrutte o danneggiate” nella Striscia, comprese case, ospedali, moschee e scuole. A livello locale, i detriti “sono ora 20 volte superiori al totale dei detriti generati da tutti i precedenti conflitti a Gaza dal 2008”. Le stime attuali suggeriscono che “saranno necessarie operazioni di sgombero, smistamento e riciclaggio o smaltimento di oltre 61 milioni di tonnellate di detriti”. Gran parte di questi detriti “è contaminata da amianto e sostanze chimiche industriali”.
Tra le macerie sono sepolti innumerevoli resti umani, il cui recupero richiederà naturalmente “sensibilità”. Nel frattempo, i sopravvissuti di Gaza devono sopportare “notevoli quantità di polvere” create dai bombardamenti e dalle demolizioni dell’entità sionista, che hanno “contribuito all’aumento dei casi di infezioni respiratorie”, con oltre 37.000 casi segnalati solo nel giugno 2025. Anche gli ordigni inesplosi rappresentano un rischio elevato nelle aree urbane, rendendo necessaria la loro rimozione in condizioni di sicurezza “per mitigare i rischi di future esplosioni, danni, lesioni traumatiche e perdite di vite umane”.
Gaza oggi
L’ONU riconosce tuttavia che i suoi risultati sottovalutano in modo significativo la reale situazione sul campo, poiché “i dati disponibili sulla qualità dell’aria sono limitati, a causa del monitoraggio minimo della qualità dell’aria” a livello locale. Tuttavia, tra le “sfide note” figurano “l’inquinamento causato dalle esplosioni e dagli incendi dovuti ai bombardamenti, nonché le emissioni provocate dalle esplosioni di munizioni e dagli incendi derivati nelle strutture bombardate, compresi gli impianti industriali, che probabilmente hanno anche rilasciato sostanze chimiche tossiche nell’aria”. Inoltre, la “natura ripetitiva” degli attacchi israeliani “probabilmente avrà un impatto cumulativo sull’ambiente” a Gaza:
“Il ripristino di danni così estesi al territorio, al suolo, agli alberi, ai corsi d’acqua e agli ecosistemi marini sarà essenziale per una ripresa sostenibile della Striscia di Gaza. Il ripristino richiederà la cessazione delle ostilità. La prima fase della ripresa si concentrerà necessariamente sul salvataggio di vite umane, attraverso il ripristino dei servizi essenziali (in particolare l’acqua potabile) e la rimozione dei detriti per facilitare la circolazione in sicurezza”.
Il rapporto delle Nazioni Unite sottolinea che “tali problemi relativi alla qualità dell’aria non miglioreranno in modo sostanziale fino alla cessazione del conflitto”. Al momento della stesura di questo articolo, non si intravede alcuna fine. Anche un cessate il fuoco sarebbe inevitabilmente di breve durata, data la consolidata abitudine di Tel Aviv di violare immediatamente accordi del genere. Nel frattempo, i funzionari dell’entità sionista sono determinati a riprodurre il genocidio di Gaza nella Cisgiordania occupata illegalmente, avendo ormai chiarito in modo inequivocabile la loro intenzione di annettere ulteriori territori con la forza bruta e lo sfollamento totale dei civili.
Uno studio del luglio 2025 della rivista accademica Environmental Research: Infrastructure and Sustainability ha concluso che lo stupro di Gaza da parte di Israele ha creato almeno 39 milioni di tonnellate di macerie, la cui rimozione potrebbe generare oltre 90.000 tonnellate di emissioni di gas serra e richiedere quasi quarant’anni per essere completata. La semplice rimozione delle macerie equivarrebbe a 737 giri del mondo di un camion ribaltabile o a 2,1 milioni di veicoli che percorrono 29,5 chilometri fino ai siti di smaltimento.
“Livelli allarmanti”
La distruzione ambientale causata dall’entità sionista dal 7 ottobre 2023 non si limita affatto a Gaza. I successivi scambi di missili tra Hezbollah e Tel Aviv erano culminati nella criminale invasione del Libano da parte di Israele nell’ottobre 2024. I combattimenti hanno provocato una devastazione su vasta scala dei terreni agricoli. Gli attacchi delle forze di occupazione sioniste hanno bruciato oltre 10.800 ettari di terra libanese – un’area quattro volte più grande di Beirut – incenerendo decine di migliaia di alberi, dozzine di fattorie e frutteti.
L’uso diffuso da parte di Israele di munizioni illegali al fosforo bianco contro il Libano ha anche devastato le zone agricole del sud del Paese. Le analisi di laboratorio dell’Università Americana di Beirut avevano rilevato che, già nel gennaio 2024, il suolo locale era stato contaminato da metalli pesanti a “livelli allarmanti”. Alcuni campioni avevano mostrato concentrazioni di fosforo pari a 97.000 milligrammi per chilo, oltre 120 volte la concentrazione considerata sicura a livello globale. Anche i raccolti e l’acqua sono stati contaminati in modo pericoloso, “mettendo a rischio la salute del bestiame e degli esseri umani” per molti anni a venire.
Attacco con fosforo bianco da parte dell’entità sionista contro il Libano, novembre 2023
Nel frattempo, sono diffusi “gravi danni ambientali che colpiscono gli ecosistemi naturali”. Dei 214 milioni di dollari stimati di danni inflitti al Libano durante il conflitto, le risorse naturali di Beirut ne sono state colpite per 198 milioni (95,2%). In totale, Tel Aviv ha lanciato circa 7.000 attacchi aerei in tutto il Libano, mentre la sua marina militare ha condotto più di 2.500 bombardamenti sulla costa del Paese. Sono state prese di mira oltre 10.000 abitazioni e quasi 1.000 edifici privati, insieme a ponti, fabbriche, strade e altre infrastrutture.
Una storia altrettanto orribile si è verificata durante la fallita guerra dei 12 giorni dell’entità sionista contro l’Iran nel giugno 2025. Teheran stima che il conflitto abbia prodotto 150.000 tonnellate di macerie a livello locale, mentre gli attacchi israeliani ai depositi petroliferi di Rey e Kan nella capitale hanno incenerito 19,5 milioni di litri di carburante, immettendo nell’atmosfera 47.000 tonnellate di gas serra e 578 tonnellate di inquinanti atmosferici. Il deliberato attacco a South Pars, uno dei giacimenti di gas più grandi al mondo, ha bruciato 5,5 milioni di metri cubi di gas.
Questo bombardamento ha rilasciato oltre 12 milioni di tonnellate di gas serra e 437 tonnellate di sostanze inquinanti. Da allora, la qualità dell’aria in diverse province dell’Iran è peggiorata in modo pericoloso, mentre in numerose zone si sono verificati straripamenti fognari e interruzioni nell’approvvigionamento di acqua potabile a causa degli attacchi di Tel Aviv alle infrastrutture correlate. Fortunatamente, nonostante Israele e Stati Uniti abbiano ripetutamente preso di mira siti di energia nucleare in tutto il Paese durante il loro bombardamento fallito, non vi sono ancora indicazioni di una conseguente fuga radioattiva che minacci non solo gli iraniani, ma più in generale l’Asia occidentale.
Al momento, non è possibile quantificare la quantità di sostanze chimiche letali e polveri rilasciate nell’atmosfera locale dell’Iran e del Libano a causa della barbarie indiscriminata di Israele. Tuttavia, la storia dimostra che l’impatto di tali offensive è letale nel lungo periodo. Il bombardamento illegale della NATO sulla Jugoslavia, durato 78 giorni nel 1999, aveva preso di mira principalmente siti civili e industriali. Un successivo rapporto del Consiglio d’Europa aveva concluso che oltre 100 sostanze tossiche erano state diffuse in tutta la regione a causa della campagna. Non a caso, l’ex Jugoslavia è oggi ai primi posti nella classifica mondiale dei tassi di cancro.
Risultati di un attacco NATO contro una raffineria petrolifera jugoslava, Pancevo, maggio 1999
Paradossalmente, anche se l’entità sionista dovesse mantenere i suoi fragili cessate il fuoco con Beirut e Teheran e smettere di annientare i palestinesi, il genocidio di Tel Aviv continuerebbe senza sosta, in modo invisibile, attraverso l’aria corrotta che i civili respirano, il cibo che mangiano e l’acqua che bevono. Eppure, in un amaro colpo di scena, l’eredità ambientalmente rovinosa della folle sete di sangue di Tel Aviv ha reso nullo e privo di significato l’obiettivo finale di Benjamin Netanyahu di sradicare Gaza per far posto al Grande Israele. Qualsiasi insediamento sionista nella zona sarebbe letteralmente suicida.




