A Sokcho, cittadina di pescatori vicina al confine settentrionale della Corea del Sud, la giovane Soo-ha lavora in una piccola pensione. È franco-coreana, ma non ha mai lasciato il Paese: il mondo le arriva solo attraverso i racconti degli altri. Quando alla pensione arriva Yan Kerrand, illustratore francese alla ricerca di ispirazione per il suo nuovo graphic novel, tra i due nasce un rapporto sottile, fatto di silenzi, piccoli gesti, attrazioni trattenute. Mentre l’artista tenta di superare un blocco creativo, Soo-ha si ritrova a rivivere, senza volerlo, le dinamiche sentimentali della madre, risucchiata in un ciclo di desideri e delusioni.
Tratto dal romanzo pluripremiato di Elisa Shua Dusapin, Un inverno in Corea è il racconto di una relazione che si realizza più nel non detto e nelle sfumature che nell’interazione tra i suoi personaggi.
Soo-ha è incuriosita e poi attratta da Yan perché francese come il padre che non ha mai conosciuto, perché artista come lei non è mai stata, perché viaggiatore solitario, agli antipodi di una vita vissuta tra la cucina e il desk di una pensioncina. Eppure Soo-ha ha coltivato la speranza di un momento come questo negli anni, imparando il francese e sognando una vita più soddisfacente.
L’attrazione tra Soo-ha e Kerrand assume connotati quasi edipici, perché la ragazza sembra ripercorrere consapevolmente le orme sentimentali della madre. È un loop affettivo che la condanna al mal d’amore, a un romanticismo introverso e doloroso, amplificato dal confronto con la relazione “giusta” che la famiglia vorrebbe imporle: quella con il giovane connazionale, un ragazzo superficiale e privo dell’aura misteriosa dell’artista francese.
Ma Soo-ha ha bisogno di rivivere gli “errori” materni – errori che peraltro le hanno permesso di nascere – per conoscere se stessa e trovare, forse, la forza di affrontare la vita. La società che circonda Soo-ha di lei non comprende nulla: non capisce perché non segua a Seoul il suo ragazzo né il suo rifiuto di ricorrere alla chirurgia estetica, visto ormai come un passaggio obbligato in una Corea ossessionata dal look e dalle mode occidentali.
Le emozioni più profonde vissute da Soo-ha e le sue insicurezze si manifestano attraverso la relazione con il cibo e la sua meticolosa preparazione di piatti a base di pesce – tra cui il pericoloso fugu, o pesce palla – ma sono in particolare le sequenze di animazione di Agnès Patron a tradurre visivamente i turbamenti dell’animo e il desiderio di libertà di una ragazza bloccata dalle circostanze e dalle menzogne impartitele, seppur a fin di bene, sin dalla più tenera età. Brevi lampi, tracciati con un inchiostro che riprende lo stile impressionista del personaggio di Kerrand, che esprimono la vera essenza di Soo-ha, sepolta sotto abiti dimessi e occhiali dalla montatura ordinaria e rifugiatasi nell’ovatta di una dimensione famigliare e protettiva.




