L’Italia detiene ufficialmente la terza riserva aurea più grande al mondo, con oltre 2.450 tonnellate, dietro agli Stati Uniti e alla Germania. Stimata in quasi 300 miliardi di euro, pari a circa il 13% del PIL italiano, questa riserva è iscritta nel bilancio della Banca d’Italia. Circa la metà di questo tesoro è conservata sul territorio italiano, l’altra metà negli Stati Uniti, mentre una piccolissima parte si trova nel Regno Unito e in Svizzera.
Il mese scorso, i senatori del partito Fratelli d’Italia, guidati da Giorgia Meloni, hanno presentato un emendamento al progetto di bilancio 2026 volto a sancire per legge che le riserve auree “appartengono allo Stato, per conto del popolo italiano”.
La BCE ha reagito immediatamente. In un parere legale pubblicato il 2 dicembre, ha invitato le autorità italiane a riconsiderare la proposta, sottolineando l’importanza di preservare l’indipendenza della Banca d’Italia e osservando che lo scopo esatto della misura rimaneva poco chiaro.
Da parte sua, il senatore Lucio Malan ha giustificato l’iniziativa come un mezzo per proteggere l’oro italiano da un uso improprio e chiarirne il vero proprietario. “In Italia, la proprietà di ogni immobile, ogni auto, ogni barca è registrata. Non dovremmo fare lo stesso per un bene che vale quasi 300 miliardi di euro?”, ha dichiarato al Financial Times.
Perché questa ambiguità?
In ogni Paese, il governo centrale gestisce il bilancio – pianificando la spesa, aumentando le tasse e ricorrendo al prestito se necessario – mentre la banca centrale guida la politica monetaria, influenzando la quantità di denaro e di credito in circolazione.
In circostanze normali, l’indipendenza di una banca centrale dal governo è considerata essenziale per impedire a quest’ultimo di utilizzarla per finanziare politiche elettorali a breve termine stampando moneta, con il rischio di causare un’inflazione galoppante nel lungo periodo.
Storicamente, in tempi di grave crisi – crollo finanziario, guerra o epidemia – questa indipendenza è stata messa in discussione. La necessità non conosce legge, la banca centrale finanzia quindi le misure del governo per rispondere all’emergenza.
Con l’introduzione dell’euro, l’Italia, come altri paesi dell’eurozona, ha affidato la propria politica monetaria alla BCE, con sede a Francoforte, pur mantenendo il controllo del proprio bilancio.
Le circa 2.450 tonnellate di oro in questione costituiscono una componente essenziale delle riserve valutarie della Banca d’Italia. Per qualsiasi banca centrale, le riserve valutarie – generalmente costituite da valute estere, oro e diritti speciali di prelievo (DSP) – svolgono un ruolo cruciale per la stabilità e la credibilità di una moneta, in quanto consentono di difenderla efficacemente in caso di grave crisi economica.
Lo status dell’oro nell’Eurosistema
Dal punto di vista giuridico, le riserve auree rimangono beni nazionali: in Italia sono di proprietà della Banca d’Italia. Tuttavia, la loro gestione è rigorosamente regolamentata dal diritto europeo. La BCE ha il potere esclusivo di definire la politica delle riserve valutarie dell’Eurosistema, compreso l’oro.
Pertanto, qualsiasi operazione significativa – vendita, prestito, swap o accordo di riacquisto – richiede la previa approvazione del Consiglio direttivo della BCE. La Banca d’Italia può utilizzare il proprio oro per operazioni di minore entità, ma qualsiasi mobilitazione significativa rimane soggetta al veto di Francoforte.
Il disegno di legge presentato dal senatore Malan e da diverse decine di parlamentari mira a spezzare questa catena di subordinazione. L’obiettivo non è solo simbolico: si tratta di impedire qualsiasi futura decisione della BCE di mobilizzare l’oro italiano a beneficio dell’Eurosistema.
La BCE ha reagito con fermezza. Nei suoi pareri del 2 dicembre e dei giorni successivi, ha giudicato la riforma “incomprensibile” e dannosa per l’indipendenza della Banca d’Italia. Dietro l’argomento poco convincente dell’indipendenza, Francoforte difende in realtà il suo effettivo controllo sull’oro italiano e applica la massima spesso attribuita a Talleyrand: “Si può uscire dall’ambiguità solo a proprio danno”. Ovviamente, in caso di grave crisi dell’euro, intende poter mobilizzare queste riserve per difendere la moneta unica e non per finanziare un singolo Stato membro.
Nonostante gli adeguamenti apportati dai parlamentari italiani, la BCE persiste nella sua opposizione e chiede il ritiro totale della proposta. Quella che prima era una disputa tecnica tra esperti sta ora entrando nel dibattito pubblico italiano. La questione centrale rimane: chi possiede realmente l’oro della Banca d’Italia? Il popolo italiano, che lo ha accumulato nel corso delle generazioni, o l’Eurosistema, che ritiene di averne bisogno per garantire la propria sopravvivenza?
Sono finiti i giorni in cui la BCE affermava di essere impegnata nella lotta ai cambiamenti climatici. Oggi Christine Lagarde sta dedicando tutte le sue energie a mantenere il controllo dell’istituzione sull’oro italiano.
Un dibattito che rivela le tensioni europee
Questo conflitto illustra le crescenti tensioni all’interno dell’Unione Europea. I Paesi dell’Eurozona stanno registrando livelli di debito storicamente elevati: quello della Francia ha raggiunto il 113% del PIL, quello dell’Italia il 135%. Questa situazione riduce il loro margine di manovra e la loro capacità di assorbire futuri shock finanziari.
La perdita dell’accesso all’energia russa, abbondante e a basso costo, continua a pesare fortemente sul settore industriale tedesco, motore storico delle esportazioni dell’eurozona. Inoltre, l’attuale sconfitta della NATO in Ucraina potrebbe portare al ritiro delle forze armate statunitensi dal Vecchio Continente, compromettendo seriamente la stabilità e la sicurezza future dell’Unione Europea.
Negli ultimi anni, i Paesi BRICS hanno osservato che la Russia è riuscita a resistere alle sanzioni occidentali imposte dal febbraio 2022, grazie in particolare alle consistenti riserve auree della sua banca centrale, rimaste intoccabili nonostante le misure ostili adottate dai paesi del G7.
Per quanto riguarda il congelamento dei beni russi, investiti principalmente in obbligazioni europee, esso ha minato la credibilità dell’euro e del dollaro, portando al contempo ad acquisti massicci di oro da parte delle banche centrali del Sud del mondo, con un conseguente aumento del suo prezzo di oltre il 130% in dollari in meno di tre anni.
Non sorprende quindi che l’Italia stia cercando di assicurarsi una strategia di uscita. Rivendicare la piena sovranità su un bene così strategico potrebbe rivelarsi saggio in caso di disintegrazione della NATO, dell’Unione Europea e dell’eurozona.




