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      • “Abbiamo detto agli israeliani: ‘Sentite, se dovete andare, noi saremo al vostro fianco fino in fondo’”.

      “Abbiamo detto agli israeliani: ‘Sentite, se dovete andare, noi saremo al vostro fianco fino in fondo’”.

      “Il successo nello sventare l’attacco di Hezbollah di domenica è il simbolo del vantaggio operativo e di intelligence di Israele“. Secondo il portavoce dell’IDF, l’attacco di Hezbollah è stato in gran parte sventato grazie a 100 aerei israeliani che hanno effettuato attacchi preventivi 24 ore su 24 che hanno distrutto “migliaia di postazioni lanciamissili“.

      “Il gruppo [Hezbollah] è riuscito a lanciare centinaia di razzi contro il nord di Israele, ma i danni causati sono stati piuttosto limitati“, hanno detto in modo sdegnoso i portavoce israeliani (con Israele in pieno blackout informativo e con la totale censura di qualsiasi notizia sui danni causati alle infrastrutture strategiche israeliane o ai siti militari).

      In effetti, si è trattato di un “teatro” messo in scena da entrambe le parti: limitando l’attacco a 20 minuti e in un raggio di 5 km dal confine – e rimanendo Hezbollah all’interno delle “equazioni” di guerra – entrambe le parti hanno segnalato chiaramente l’una all’altra di non essere alla ricerca di una guerra totale.

      La “narrazione del vincitore” da parte di Israele era prevedibile nell’odierna atmosfera di guerra psicologica. Ma questa ha un costo: Amos Harel su Haaretz suggerisce che “in Israele si tende a considerare il successo nello sventare l’attacco di domenica come una nuova prova del consolidamento della deterrenza regionale e della supremazia strategica occidentale“. Ma una tale valutazione, ammette, “sembra essere tutt’altro che accurata“.

      In effetti è proprio così (tutt’altro che accurata). Il teatro della domenica si è concluso senza alcun cambiamento della situazione strategica nel nord di Israele: il logoramento quotidiano continua da oltre la frontiera del Libano, fino al nuovo confine di 40 km che definisce l’estensione della perdita di territorio da parte di Israele in quella che è diventata la no-go area di Hezbollah.

      Il punto strategico non è che parlare di un successo nel contrastare le capacità di Hezbollah sia altamente fuorviante. Piuttosto, crea aspettative di un successo militare da cui si trarranno conclusioni sbagliate. Ci siamo già passati e non era andata bene…

      Seymour Hersh, decano del giornalismo investigativo statunitense, questa settimana ha ripubblicato un articolo che aveva scritto nell’agosto 2006 sul pensiero statunitense nel contesto di una guerra di Israele contro Hezbollah – e sul suo ruolo di progetto apripista per un successivo attacco statunitense all’Iran.

      Ciò che Hersh aveva scritto all’epoca rappresenta un sorprendente déjà vu della situazione odierna. Continua ad essere pertinente, perché il pensiero neoconservatore statunitense raramente si evolve, ma rimane costante.

      “La grande domanda per la nostra aeronautica“, aveva osservato Hersh nel 2006, “era come colpire con successo una serie di obiettivi difficili in Iran“, aveva detto l’ex alto funzionario dell’intelligence.”Chi è l’alleato più vicino all’aeronautica statunitense nella sua pianificazione? Non è il Congo, è Israele“. L’ufficiale aveva continuato:

      “Tutti sanno che gli ingegneri iraniani hanno fornito consulenza a Hezbollah su tunnel e postazioni missilistiche sotterranee. E così l’USAF è andata dagli israeliani con alcune nuove tattiche e ha detto loro: concentriamoci sui bombardamenti e condividiamo ciò che abbiamo sull’Iran e ciò che avete sul Libano“.

      “Gli israeliani ci hanno riferito [che quella contro Hezbollah] sarebbe stata una guerra a basso costo con molti vantaggi“, aveva detto un consulente del governo statunitense con stretti legami con Israele: “Perché dovremmo opporci? Saremo in grado di scovare e bombardare missili, tunnel e bunker dall’aria. Sarebbe una dimostrazione per l’Iran“.

      “Il consulente mi ha riferito“, continua l’articolo di Hersch, “che gli israeliani hanno ripetutamente indicato la guerra in Kosovo come esempio di ciò che Israele avrebbe cercato di ottenere. “In Kosovo e in Serbia le forze della NATO… hanno bombardato e mitragliato metodicamente non solo obiettivi militari, ma anche tunnel, ponti e strade, per settantotto giorni… Israele ha preso la guerra del Kosovo come modello… Gli israeliani avevano detto a Condi Rice: Voi l’avete fatto in settanta giorni, ma a noi [per finire Hezbollah] ne servono la metà, trentacinque giorni“”.

      “La Casa Bianca di Bush”, ha detto un consulente del Pentagono, “si sta agitando da tempo per trovare un motivo per un attacco preventivo contro Hezbollah”, aggiungendo: “Era nostra intenzione ridure la forza di Hezbollah, e ora c’è qualcun’altro che lo sta facendo… Secondo un esperto del Medio Oriente, che conosce le idee attuali dei governi israeliano e statunitense, Israele aveva elaborato un piano per attaccare Hezbollah – e lo aveva condiviso con i funzionari dell’Amministrazione Bush – ben prima dei rapimenti del 12 luglio [2006]: “Non è che gli israeliani avessero teso una trappola in cui Hezbollah era caduto”, aveva detto, “ma alla Casa Bianca c’era la netta sensazione che, prima o poi, gli israeliani l’avrebbero fatto”, aveva scritto Hersh.

      “La Casa Bianca era più concentrata sul privare Hezbollah dei suoi missili, perché – se ci fosse stata un’opzione militare contro le strutture nucleari iraniane – bisognava sbarazzarsi delle armi che Hezbollah avrebbe potuto usare in una potenziale rappresaglia contro Israele. Bush voleva entrambe le cose“, così era stato detto a Hersh.

      “L’amministrazione Bush era strettamente coinvolta nella pianificazione degli attacchi di rappresaglia di Israele. Il presidente Bush e il vicepresidente Dick Cheney erano convinti… che un’efficace campagna di bombardamenti dell’aviazione israeliana contro i complessi sotterranei di missili e i centri di comando e controllo di Hezbollah, pesantemente fortificati, in Libano, avrebbe potuto alleviare le preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza e fungere da preludio a un potenziale attacco preventivo americano per distruggere le installazioni nucleari iraniane, alcune delle quali sono anch’esse sepolte in profondità“.(Grassetto aggiunto).

      (Un ex ufficiale dell’intelligence aveva dichiarato: “Abbiamo detto agli israeliani: ‘Guardate, se dovete andare, saremo dietro di voi fino in fondo‘”.

      “Nonostante questo, alcuni ufficiali in servizio presso lo Stato Maggiore Congiunto erano profondamente preoccupati che l’Amministrazione avesse una valutazione della campagna aerea molto più positiva del dovuto“. Aveva detto l’ex alto funzionario dell’intelligence. “Non c’è modo che Rumsfeld e Cheney traggano le giuste conclusioni“, aveva continuato. “Quando il fumo si diraderà, diranno che è stato un successo e si sentiranno ancora più sicuri per il loro piano di attacco all’Iran“.

      (Questo è il punto in cui ci troviamo oggi: Quando il fumo si diraderà dall’”esemplare attacco preventivo in Libano” di domenica, Netanyahu lo userà con Washington per rafforzare il suo desiderio di coinvolgere gli Stati Uniti in un attacco all’Iran).

      “Il bombardamento strategico è un concetto militare fallito da novant’anni, eppure le forze aeree di tutto il mondo continuano ad applicarlo“, aveva detto a [Hersh] John Arquilla, un analista della difesa presso la Naval Postgraduate School… Anche Rumsfeld [condivideva la visione disincantata di questo esperto]: “La forza aerea e l’uso di truppe speciali avevano funzionato in Afghanistan, e lui [Rumsfeld] aveva cercato di farlo di nuovo in Iraq. L’idea era la stessa, ma non aveva funzionato. Pensava che Hezbollah fosse troppo arroccato – e che il piano di attacco israeliano non avrebbe funzionato, e l’ultima cosa che voleva nel corso della sua amministrazione era un’altra guerra che avrebbe messo le forze americane in Iraq in maggiore pericolo“.

      “Il piano israeliano del 2006, secondo l’ex alto funzionario dell’intelligence, era ‘l’immagine speculare di ciò che gli Stati Uniti stavano pianificando per l’Iran’“. Le proposte iniziali dell’aeronautica statunitense per un attacco aereo volto a distruggere la capacità nucleare iraniana, che includevano l’opzione di un intenso bombardamento di obiettivi infrastrutturali civili all’interno dell’Iran erano state osteggiate dai vertici dell’esercito, della Marina e del Corpo dei Marines – secondo quanto riferito da funzionari attuali e precedenti. Avevano sostenuto che il piano dell’Aeronautica non avrebbe funzionato e avrebbe inevitabilmente comportato, come nella guerra israeliana contro Hezbollah, l’utilizzo di truppe sul terreno.

      David Siegel, l’allora portavoce israeliano, aveva affermato che la leadership del suo Paese riteneva, all’inizio di agosto 2006, che la guerra aerea aveva avuto successo, avendo distrutto più del 70% della capacità di lancio di missili a medio e lungo raggio di Hezbollah.

      Israele, tuttavia, nel 2006 non aveva distrutto il 70% dell’inventario missilistico di Hezbollah. Era stato ingannato dall’operazione di depistaggio dell’intelligence di Hezbollah. Gli israeliani avevano bombardato delle postazioni vuote.

      Oggi sentiamo la stessa narrazione esultante da parte del portavoce dell’IDF, il contrammiraglio Hagari, che ostenta il successo degli attacchi israeliani di domenica.

      Probabilmente alcuni in Israele e negli Stati Uniti saranno profondamente preoccupati che il team di Biden possa cadere in una valutazione molto più positiva di quanto dovrebbe della campagna aerea israeliana.

      Molti commentatori in tutto l’Occidente stanno facendo lo stesso errore. Come ha notato il corrispondente militare di Haaretz in merito agli attacchi aerei di domenica: “c’è una tendenza in Israele a considerare il successo nello sventare l’attacco di domenica come una nuova prova del consolidamento della deterrenza regionale – e della supremazia strategica“.

      In altre parole, l’Iran sarebbe stato dissuaso dal portare a termine il suo “impegno” di ritorsione per l’assassinio di Ismail Haniyah a Teheran dal concentramento di mezzi navali degli Stati Uniti nelle acque del Mediterraneo e del Golfo Persico e dal timore della schiacciante potenza di fuoco americana.

      Chiunque abbia visto i brevi video sulle “città missilistiche” automatizzate sotterranee dell’Iran (e che l’Iran ha permesso per un momento di vedere), dovrebbe capire che il bombardamento a tappeto delle strutture civili iraniane non modificherebbe la capacità iraniana di rispondere in modo letale. L’Iran potrebbe scatenare l’Armageddon regionale, niente di meno.

      Quindi, per chiarezza: chi è esattamente che è scoraggiato e si sta tirando indietro? L’Iran o Washington?

      Tuttavia, “se è vero che la campagna israeliana si basa sull’approccio americano in Kosovo, allora non ha colto nel segno“, aveva detto a Hersh il generale Wesley Clark, comandante degli Stati Uniti. Uccidere civili non era l’obiettivo: “Nella mia esperienza, le campagne aeree devono essere sostenute, in ultima analisi, dalla volontà e dalla capacità di finire il lavoro con truppe sul terreno“.

      E questo – semplicemente – per gli Stati Uniti è impossibile da contemplare per l’Iran.

      “Ci troviamo di fronte a un dilemma“, aveva detto un funzionario israeliano a Hersh nel 2006. In effetti, si trattava di decidere se dare una risposta locale (inefficace) o una risposta globale per affrontare davvero Hezbollah [e l’Iran] una volta per tutte.

      Plus ça change: il dilemma può non essere cambiato, ma Israele è cambiato radicalmente. La maggioranza di Israele oggi sostiene in modo messianico i seguaci di Jabotinsky affinché facciano ciò che hanno sempre voluto e promesso di fare: espellere i palestinesi dalla Terra d’Israele.

      Molti a Washington sanno che i Sionisti revisionisti (che rappresentano forse circa 2 milioni di israeliani) intendono cinicamente imporre la loro volontà agli “anglosassoni”, facendo precipitare gli Stati Uniti in un’ampia guerra regionale, nel caso in cui la Casa Bianca cerchi di indebolire il loro progetto di una nuova Nakba, l’espulsione forzata dei palestinesi.

      Benjamin Netanyahu ha provocato l’Iran una volta (con l’assassinio nel consolato di Damasco di un alto generale dell’IRGC); due volte con l’uccisione di Haniyeh a Teheran e una possibile terza sarebbe se Israele lanciasse un attacco “preventivo” contro l’Iran, nella convinzione che gli Stati Uniti sarebbero intrappolati e politicamente incapaci di stare in disparte mentre l’Iran si vendica contro Israele.

      Tuttavia, se gli Stati Uniti dovessero porre il veto a un attacco contro l’Iran prima delle elezioni americane (e se l’Iran non si vendicasse della morte di Haniyeh prima di allora), il “progetto” Nakba potrebbe essere portato avanti estendendo l’attuale offensiva militare di Gaza alla Cisgiordania o attraverso una grave provocazione sull’Haram al-Sharif/Monte del Tempio (come un incendio alla Moschea al-Aqsa).

      Negli ultimi anni i Sionisti revisionisti sono stati chiari sul fatto che sarebbe stata necessaria una crisi o il caos di una guerra per attuare pienamente il loro progetto di una nuova Nakba.

      L’America, in particolare, è intrappolata dal suo “ferreo” e incondizionato sostegno militare a Israele, che offre a Netanyahu un ampio spazio di manovra.

      Manovra verso un conflitto, che è l’unica via di fuga di Netanyahu “verso l’alto”, mentre i “muri del logoramento” si avvicinano sempre più a Israele. Anche l’Iran e Hezbollah sembrano aver scelto, per ora, di preservare il loro dominio escalatorio attraverso il ritorno ad un logoramento calibrato imposto su Israele.

      Gli Stati Uniti non saranno in grado di mantenere a lungo un tale dispiegamento di navi nella regione; ma, allo stesso modo, Netanyahu non potrà tergiversare politicamente a lungo, nemmeno in patria.

      Alastair Crooke

      Fonte: strategic-culture.su
      Link: https://strategic-culture.su/news/2024/08/30/we-told-israel-look-if-you-guys-have-to-go-were-behind-you-all-the-way/
      30.08.2024
      Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

      Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

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