Dobbiamo prendere atto che il mondo è diventato come un enorme condominio in cui siamo tutti fortemente e inevitabilmente interconnessi: relazioni economiche, politiche, geopolitiche e culturali rendono il nostro tempo estremamente complesso e difficile, vissuto nella continua ricerca di soluzioni che portino ad un armonico rapporto fra le nazioni. E’ di questi giorni la definizione di un’operazione che ha creato caos a livello internazionale e fortissime ripercussioni nelle relazioni fra Stati Uniti e il resto del mondo: i dazi imposti dal presidente Trump.
Per comprendere il vero significato di questa iniziativa, come premessa, dobbiamo cercare di capire la dinamica che giustifica i dazi. La loro funzione primaria è quella di tutelare le produzioni nazionali relativamente al loro mercato interno, garantendo contemporaneamente anche il completo mantenimento dell’occupazione. Ricordiamo che la ricchezza di una nazione è determinata dalla sua capacità di produrre beni e servizi; è importante, quindi, utilizzare tutta la capacità lavorativa dei suoi cittadini e delle sue imprese cercando di tendere alla piena occupazione con la quale si raggiungerebbe il suo massimo potenziale. Tecnologia e forza lavoro sono i due pilastri dell’economia produttiva.
Torniamo ai dazi e alla loro applicazione ottimale. Economie diverse, valute nazionali diverse, regole diverse comportano sensibili variazioni dei costi di un prodotto da uno Stato all’altro. Si può verificare che un prodotto importato possa essere economicamente più conveniente se proveniente da un Paese con costi più bassi. Questo comporterebbe una riduzione delle vendite e quindi del fatturato alla corrispondente azienda nazionale che, come conseguenza, sarebbe costretta a licenziare parte delle sue maestranze contribuendo, così, ad aumentare il livello di disoccupazione, il più grande danno per l’economia e il benessere della nazione. E’ importante sottolineare la natura macroeconomica del problema che riguarderebbe, in aggregato, tutte le aziende coinvolte e non solo il ridimensionamento della singola impresa. L’applicazione dei dazi, quindi, risulta utile per tutelare quei settori in cui è presente una buona capacità produttiva a livello nazionale; diverso è per quei prodotti che non sono oggetto di produzione interna o lo sono ma in quantità insufficiente e che, quindi, necessitano di essere importati. In questo caso, i dazi provocherebbero un aumento dei costi con conseguente aumento del tasso d’inflazione che andrebbe a gravare interamente sulle tasche dei consumatori diminuendo il loro potere d’acquisto. Questo ci fa comprendere come un’imposizione indiscriminata su tutti i prodotti di importazione di un’altra nazione non si possa intendere come una scelta economica conveniente. Nel caso di Trump, sembra ormai chiaro che la sua strategia nell’applicazione dei dazi sia orientata prevalentemente a creare forti pressioni sugli altri Paesi per fini politici; i casi di India, Brasile e Cina, con gli alti dazi imposti, salvo poi, in alcuni casi, a clamorose retromarce, ne appresentano la dimostrazione più evidente. Sorprende, comunque, vedere l’arroganza e la prepotenza del presidente americano che tratta le altre nazioni come totalmente subalterne al suo potere decisionale. Speriamo nell’avvento di un prossimo multipolarismo che possa fare da contraltare a questo sconcertante e insensato atteggiamento egemonico.
Un altro elemento interessante di valutazione è dovuto all’attuale posizione del dollaro come moneta di riserva mondiale; questo status permette agli USA deficit di bilancio e deficit commerciali enormi in un rapporto che non è possibile né permesso a nessun altro Paese. Quindi, se questo non rappresenta un problema, in quanto la richiesta di dollari sul mercato monetario rimane comunque alta, è superfluo, oltre che quasi impossibile, ridurre il deficit della bilancia commerciale. Questo ci conferma definitivamente la natura politica dell’imposizione dei dazi USA..
Diverso è il problema per quanto riguarda la reindustrializzazione degli Stati Uniti, aspetto più logico e lodevole, vista la loro autolesionistica politica di delocalizzazioni degli ultimi decenni. Per favorire questo processo, però, basterebbe, e sarebbe molto più efficace, una detassazione con incentivi fiscali per chi fosse disposto a investire nel settore della produzione interna. Le risorse finanziare non sarebbero un problema in quanto lo stato può finanziare qualsiasi politica industriale attraverso deficit di bilancio che verrebbero, fra l’altro, compensati, in parte, dall’aumento del fatturato interno e, comunque, visto il ruolo del dollaro come moneta di riserva mondiale, sarebbe sempre possibile reperire risorse attraverso l’emissione di Titoli del Tesoro (Treasury Bonds). Altro importantissimo obiettivo sarebbe quello di creare un conseguente e sensibile aumento dell’occupazione
Un problema di finanziamento della spesa pubblica si potrebbe verificare solo nel caso si avviasse realmente un processo di de-dollarizzazione; questo comporterebbe una diminuzione del suo valore del dollaro sui Mercati Finanziari che potrebbe ridurne sensibilmente la fiducia e, quindi, la domanda. In questo caso, il primo effetto negativo si ripercuoterebbe sull’obbligo di dover azzerare i deficit commerciali e ciò comporterebbe danni incalcolabili, oltre che sul tenore di vita dei cittadini, anche sulla riduzione delle spese verso l’estero, prime fra tutte, quelle militari (costa molto mantenere 800 basi militari sparse per il modo)……e questo sarebbe un gran bene.
Preso atto che, molto probabilmente, la “guerra” dei dazi di Trump è solo un’arma di pressione politica verso gli altri Paesi, è importante capire come, in questo contesto, si muove l’Unione Europea da cui dipende anche l’Italia, vista la nostra completa dipendenza e sudditanza nei suoi confronti. In questo panorama globale, una delle realtà che appaiono sempre più evidenti è la sua assoluta inconsistenza e irrilevanza: non ha una vera struttura politica come uno Stato; i soggetti politici che la compongono non possono avere tecnicamente un ruolo rappresentativo reale in quanto limitati nel loro potere contrattuale da decisioni che devono essere concordate all’unanimità da Paesi che hanno, in pratica, interessi diversi e posizioni alternative. Altro fattore estremamente preoccupante riguarda le posizioni guerrafondaie di Francia e Germania che, al suo interno, stanno condizionando pericolosamente la politica estera di tutta l’Unione Europea sostenuta da una sinistra e inquietante alleanza con il Regno Unito. Nel frattempo, fra i dazi che dovremo subire e le scelte nefaste delle politiche di riarmo, costretti sempre dagli stringenti vincoli di bilancio della UE, stiamo entrando in una spirale recessiva che porterà allo smantellamento dello stato sociale e a un depauperamento del settore produttivo. I Paesi europei dovranno impegnare le loro artificiosamente limitate risorse finanziarie in assurdi e ingiustificabili programmi di potenziamento degli arsenali militari che costringeranno inevitabilmente a drastici tagli in altri settori della spesa pubblica. Questi eventi ci dimostrano, inoltre, in modo inconfutabile la fallacia e il rischio rappresentati da una politica economica basata sulle esportazioni che limita necessariamente le potenzialità del mercato interno. Nel caso dell’Unione Europea, queste problematiche sono addirittura amplificate dalla mancanza, autoimposta dai Trattati, degli strumenti sia fiscali che monetari indispensabili per creare politiche espansive, di sostegno alle imprese nazionali e di tutela del potere d’acquisto dei salari. A queste condizioni, l’Unione Europea, come anche la sua storia ci dimostra, non è mai stata competitiva e mai lo sarà.
Tutto questo si sta evolvendo in un quadro geopolitico mondiale estremamente confuso e irrazionale che non permette una visione chiara delle posizioni e degli obiettivi delle principali potenze mondiali. A questo riguardo, ad esempio, appare strano il rapporto che il governo USA ha con i suoi “alleati” occidentali. Il dialogo dovrebbe essere improntato su una sorta di stretta collaborazione, con spirito costruttivo e non conflittuale, avente l’obiettivo di tutelare gli interessi di tutti i Paesi dell’alleanza. E’ importante considerare che, in questo momento particolare, con le gravi tensioni in corso (guerra in Ucraina e Medio Oriente) e il consolidamento di un “blocco” commerciale/finanziario alternativo a quello occidentale, i BRICS, c’è un’estrema necessità di rafforzare le alleanze e impostare una strategia comune per perseguire una soluzione dei conflitti e una stabilizzazione dei rapporti internazionali. Ma tutto questo sembra non rappresenti l’obiettivo primario della politica internazionale che si orienta su percorsi inconoscibili, difficilmente interpretabili e, spesso, palesemente contraddittori. Questa irrazionalità non pare si possa imputare a sola incompetenza e volubilità, ma potrebbe sottindendere strategie molto più complesse e oscure, terreno fertile per il mondo del “complottismo” che, giustamente, in un contesto mediatico di completa disinformazione, è alla continua ricerca della verità fattuale.
In conclusione, partendo da un’analisi sull’ operazione in corso della “dazificazione” di Trump, abbiamo cercato di delineare i veri obiettivi con i loro “effetti collaterali” ma soprattutto abbiamo cercato di evidenziare le contraddizioni in essa contenute. Questo presuppone e ci predispone a una più attenta osservazione degli eventi che, quasi sicuramente, nascondono altre verità e intenti politici che dobbiamo cercare di comprendere in quanto, da queste scelte verrà deciso il nostro futuro e, forse, la sopravvivenza del genere umano. In questo cammino di crescita verso una nuova consapevolezza, è fondamentale la partecipazione di tutti, con spirito critico e liberi da condizionamenti settari di parte: tutti i Popoli devono essere uniti nella ricerca della verità per il loro interesse comune che non è quello delle classi dominanti; essi sono e rimangono i veri generatori del male sulla Terra.




