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      • Dissenso: quale partecipazione?

      Dissenso: quale partecipazione?

      Il 15 settembre ha avuto luogo la mobilitazione, in occasione del 78° anniversario della costituzione del Territorio Libero di Trieste, contro i piani NATO e il corridoio IMEC, che vedono il porto di Trieste come uno degli obiettivi e snodi principali. Trieste si è ritrovata, nell’ultimo periodo soprattutto, al centro di reiterate violazioni dei trattati internazionali: sia Ucraina che Israele, infatti, si trovano rifornite attraverso il suo porto. Una situazione, se vogliamo, esacerbata già dai relativamente recenti (e ancora scottanti) fatti al porto di cui siamo stati testimoni: quando le proteste contro il green pass arrivarono al culmine e i portuali vennero presi a manganellate e idranti.

      La questione ha suscitato una serie di iniziative che sono riuscite ad attirare l’attenzione di giornali, organizzazioni politiche e non, centri studi e case editrici. Trieste si è così ritrovata al centro di una vera e propria primavera identitaria e culturale, di una città che si è vista ospite si importanti presentazioni e mobilitazioni, affrontando l’ambito geopolitico locale (forse per la prima volta) con un linguaggio potabile. Fra le iniziative curate dal CeSEM, rappresentato da Maria Morigi, e gli eventi culturali ed editoriali le Anteo Edizioni, il perno centrale è sempre stato rappresentato da un’organizzazione che rappresenta una novità non solo in termini di idee, mollando posticce visioni unidimensionali sulla collocazione di Trieste, indipendentismi di cartapesta, ma anche in termini di età: il Fronte della Primavera Triestina (che non a caso ho definito più volte, e sottoscrivo nuovamente, “l’unica cosa buona venuta fuori dall’ex movimento studenti contro il green pass”).

      Trovandosi in un contesto di divisioni e frizioni, alcune nate anche prima che nascessero loro per età anagrafica, sono riusciti a piantare un substrato in cui hanno trovato radici una moltitudine di realtà, come prima accennato, e formare un comitato per questo evento decisamente trasversale, includendo anche un’altra realtà giovane come quella del Socialismo Italico di cui sono segretario. La mobilitazione, oltre che nel riuscire di lunedì a mobilitare circa cinquecento persone, aveva delle parole d’ordine che rispecchiano a pieno ciò che era già stato delineato dalle analisi del centro studi e dagli eventi ad esso correlati. Nella sua trasversalità sul piano politico, andando ad abbracciare una porzione di cittadinanza stanca, preoccupata, ma mai abbattuta. Ma su questo tornerò a breve.

      Per questo, è importante più che mai fornire gli strumenti affinché si formino coscienze critiche e si faciliti la messa in discussione di tutto e tutti: la realtà oggettiva emerge soltanto quando viene purgata dai soggettivismi, che alimentano ignavia. Andando proprio a parlare di quella…

      Il corteo è riuscito, come poc’anzi detto, di lunedì, a portare in mobilitazione contro la NATO circa cinquecento persone, che seppur, visti i tempi e le condizioni attuali, sia un degno successo, è un dato che fa riflettere: qualcuno più sapiente di me in matematica ha accennato corrispondere a circa lo 0,3% dei triestini.

      Se fosse stato un corteo su qualsiasi altra motivazione, comprensibile. Ma un corteo così ideologicamente variegato, su un tema così stringente, ovvero il trovarsi la guerra in casa, fa riflettere su quanto la massa in questa fase politica sia scollegata completamente dalla realtà.

      Ho avuto modo con i miei compagni di organizzazione di prendere parte alla mobilitazione, se c’è una cosa che mi ha fatto tornare alla mente certe considerazioni nicciane di Carmelo Bene sugli “zombie”, i cittadini passivi, sono state le persone che ci guardavano come se vedessero delle bestie rare, non capendo che era una manifestazione che li riguardava a pieno. Cosa li farà svegliare? Una portaerei posteggiata davanti casa? La lettera per il fronte? Secondo me neanche quello. Forse, alcuni di questi, neanche la fame.

      Metto le mani avanti in questa considerazione, che non è sfiducia o rassegnazione, quanto semplicemente una rappresentazione concreta dei fatti, non ho mai creduto alla “democrazia”. Continuo a non farlo, e penso che chi la agiti come clava non abbia ben chiare le sue origini: il démos krátos, binomio che eccita tanto i ferventi costituzionalisti, veniva inteso in modo molto diverso nell’Ellade da cui si originò. Non era un potere popolare aperto a tutti, era un’elezione da cui venivano esclusi coloro non considerati meritevoli dai canoni sociali.

      Il fatto che il popolo si lasci imbambolare costantemente dalle idiozie derivate dalla ‘siddetta democrazia borghese, che cerchi costantemente chi risolve i problemi scartabellando le liste elettorali come se fossero piccoli testi sacri e passi da adorare un politico per odiarlo il giorno dopo, mi ha riportato alla mente un bellissimo, e attualissimo incredibilmente, passo de Il Coriolano di Shakespeare: “Colui che detti cortesi ti rivolgesse, sarebbe adulatore al disotto d’ogni abborrimento. Che chiedete voi, disprezzevole razza, cui né guerra, né pace contenta? L’una vi atterrisce, l’altra vi fa ribelli. Chi di voi può fidarsi? Lioni vi si crede, e non siete che timidi daini: volpi vi si immagina e non siete che paperi. Voi non offrite maggior sicurezza, no, d’un carbone acceso sul ghiaccio, o d’un granello di grandine al sole. La vostra virtù sta nell’innalzare chi si sottomise al delitto, nel deprimere quegli che amò la giustizia. Chi merita onori si cattiva il vostro odio; e le vostre affezioni rassomigliano agli appetiti inordinati di un infermo, che desidera sol quello che vale ad accrescere il suo tormento. Colui che riposa sul vostro favore, nuota con pinne di piombo, o fa opra d’abbattere la quercia coi giunchi. Razza sciagurata! Fidare in voi? Ogni minuto vi cangia, e ad ogni minuto vi si vede esaltar colui che aborrivate, deprimere quegli di cui vi facevate ghirlanda.”

      A scrivere la storia dall’alba dei tempi, non a caso, trasversalmente a livello politico e come perfettamente delineato dal Malaparte in Tecnica del Colpo di Stato, sono state sempre le minoranze organizzate che hanno saputo fare presa gradualmente sulla massa, senza che la massa facesse presa su di loro, cosa che avrebbe portato a edulcorare tutto il piano ideologico.

      Per una massa intrisa di tutto il peggiore della forma mentis borghese, che trova il suo apice nel credersi tutti dei Bezos mancati, per una massa che trova la sua principale gratificazione nel lamentarsi delle questioni, senza effettivamente muoversi per porvi rimedio, c’è veramente da auspicarsi che questa minoranza organizzata non finisca a imborghesirsi a sua volta.

      Lasciamo a Gaber quello che è di Gaber, tanto la partecipazione o è limitata, o è incerta.

      Perché non esistono solo momenti di disinteresse, esistono anche momenti di sovra-interesse su un certo tema.

      Non a caso, mutatis mutandis, inerentemente alle manifestazioni di questi giorni fino ad arrivare al 22 settembre, seppur lo spontaneismo abbia contribuito fortunatamente a rimpolpare le piazze sul sentito tema della Palestina, resta il nocciolo di una mancanza di organizzazione unitaria fra le varie azioni per poter definire il tutto in un taglio politico: mentre il blocco dei porti da parte dell’USB e di altre organizzazioni ha lodevolmente rotto i maroni ai sionisti, così come le azioni agli stabilimenti Leonardo, l’occupazione delle stazioni ferroviarie è stata molto meno fortunata e immediatamente presa a pretesto dalla macchina del fango per azionarsi in tutto il suo putridume. C’è chi viene per rendersi partecipe di una lotta e chi per fare casino, è così dai tempi arcaici e ha sempre fatto parte della manifestazione da quando esiste il termine stesso manifestazione.

      Ma su una cosa, siamo sinceri, invito all’onestà intellettuale. Nessuna organizzazione né sindacale, né certamente politica, dispone ad oggi di forze sufficienti per gestire con ordine e servizio di sicurezza manifestazioni di questo tipo, formate da centinaia di realtà (spesso anche difficili da fare andare d’accordo per anche solo una mobilitazione e di numeri limitati) e centinaia di migliaia di persone apartitiche (ma non apolitiche, per distinguere atto e azione) che non accettano minimamente indicazioni di alcun tipo. Quindi è ovvio che si presentino certe situazioni, e rimane vergognoso il tentativo di strumentalizzarle. Resta un ma: finita la mobilitazione, l’ignavo che torna a casa, l’ha capito perché si è mobilitato?

      Il militante certamente, è stato convocato dalla propria organizzazione apposta. Ma la linfa vitale del corteo, a parte una parola d’ordine condivisibile e una lotta ritenuta sacrosanta, non sa altro del suo ruolo nella storia. Per questo, e i fallimenti degli anni ‘70 dovrebbero insegnare non solo a sinistra, il proselitismo non si fa in piazza. In piazza si dimostra che si è, si rafforzano le convinzioni di chi già le ha. Il movimentismo è uno strumento utile se affiancato alla capacità di istruire e formare, altrimenti è semplicemente un andare dietro alla moda del momento, definibile a sua volta codismo.

      Tornando al discorso di prima, sulle minoranze organizzate, vedete quali azioni di questi giorni sono servite e quali decisamente meno, e chi ha fatto cosa: sindacato, partito, organizzazione. Separate il grano dal loglio, onde evitare di farvi prendere all’amo da chi sparge fango sulle lotte giuste e chi, pur avendo fatto vagamente la comparsa, ne reclama l’Oscar come attore protagonista. Sta lì il nocciolo della questione: siate critici, anche delle vostre stesse organizzazioni (se ne fate parte).

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