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      • Dottor Bob a proposito di “Homo obliviosus”

      Dottor Bob a proposito di “Homo obliviosus”

      Homo obliviosus? Il dottor Bob parla di Mencken in questo contesto, ma Mencken non ha mai usato questo termine. Ha invece coniato, per descrivere il grande pubblico che considerava facilmente manipolabile, il termine homo boobiens, che si traduce in “uomo sciocco” o “uomo del popolo”. “Homo obliviosus” riflette invece accuratamente il concetto di Mencken del cittadino medio: ignaro dei propri interessi e soddisfatto della sicurezza e della protezione piuttosto che della libertà e della conoscenza autentiche, [persino] disposto a partecipare alla propria sottomissione. Si avvicina al concetto di “dimenticanza dell’essere” di Heidegger, descritto in modo così elegante da Hannah Arendt.

      Questa idea del dottor Bob mi ricorda il mio precedente articolo su Speer, un uomo intelligente che era deliberatamente inconsapevole, che si era reso “inconsapevole” della realtà del suo mondo. Come ho scritto, non è nulla di nuovo, ma qualcosa che si tramanda di generazione in generazione, indipendentemente dalle differenze. Inoltre, il termine ‘obliviousus’ evoca la possibilità dell’“oblio” per tutti noi, che tutti dobbiamo affrontare.

       

      Parla il dottor Bob

      Stavo viaggiando in auto, in stile Kerouac, sull’autostrada dell’“informazione”, un luogo desolato con solo sporadici segni di vita senziente, se non addirittura assente, quando mi sono imbattuto in uno di quegli artefatti che rendono lo sforzo quasi degno di essere compiuto.

      Si trattava di un articolo scritto da H.L. Mencken nel 1920, centocinque anni fa. In esso, egli lamentava gli orrori della democrazia e ne prediceva il brutto dénoument (il tragico epilogo, potremmo dire in italiano, N.d.T.).

       

      Questo può sembrare strano a chi è indottrinato a credere che la democrazia sia una “cosa buona”, e chi non lo è? Il trucco sta nel confondere le caratteristiche sociali, che non hanno nulla a che vedere con la democrazia con la democrazia stessa, come se non potessero esistere indipendentemente.

      La caratteristica principale implicita, ovviamente, è la “libertà”, mai definita, seguita dall’“autodeterminazione”. Se tutti hanno diritto di voto, secondo la teoria, allora la vita di tutti sarà autodeterminata e saremo liberi di fare ciò che vogliamo.

      Il fatto che ciò sia assolutamente assurdo viene convenientemente messo da parte. Siamo piuttosto bravi a “dimenticare”.

      Ciò che raramente viene riconosciuto – ma che per Mencken è fondamentale – è che la democrazia così come viene praticata è essenzialmente una tirannia della folla, e la tirannia della folla è possibile solo con un pensiero di gruppo estremo. I dissidenti devono essere cancellati, devono sparire.

      Quindi, nell’attuale forma di “democrazia”, sarebbe pienamente “democratico” che la maggioranza – diciamo “i bianchi” – decidesse di uccidere tutti i ‘neri’. La maggioranza governa, giusto? Per prevenire, o almeno ritardare, questa eventualità, è necessario porre dei limiti alla democrazia in modo da proteggere i “diritti umani” essenziali.

      L’assurdità di tutto ciò dovrebbe essere immediatamente evidente a chiunque abbia gli occhi aperti, il che esclude i gattini molto piccoli, immagino, ma non molti altri. Non ci sono “diritti” che devono essere rispettati! Questa è una bugia che raccontiamo a noi stessi per evitare la dissonanza cognitiva.

      C’è solo potere. Poteri in competizione tra loro.

      La classe parassitaria ha potere sulla maggioranza solo perché la maggioranza le concede tale potere. Se i parassiti abusano troppo di questo potere – cosa di cui la classe parassitaria è fin troppo consapevole, da qui lo stato di sorveglianza globale, i farmaci, i robot, l’intelligenza artificiale e presto i chip cerebrali – allora il vero potere esprimerà il suo disappunto.

      Probabilmente in modo letale.

      Nella misura in cui le minoranze (e le donne, che tecnicamente sono una maggioranza, ma sembrano incapaci di agire in quanto tali soprattutto a causa delle “ancelle” presenti nelle loro stesse file) ottengono qualche vittoria nella lotta, è perché, come chiaramente espresso da Derrick Bell, è conveniente per il gruppo al potere. Egli lo ha definito convergenza di interessi.

      Non si limita ai neri americani. Tutti i gruppi relativamente impotenti in una società possono andare avanti solo quando è nell’interesse del gruppo più potente permettere loro di farlo.

      Quindi la democrazia nella sua espressione attuale – in realtà, è semplicemente il “diritto di voto” – non è altro che il governo della folla. E non commettiamo l’errore di qualificarlo come un diritto di voto universale. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità.

      Ovviamente, i bambini, i “malati di mente” (leggi ‘diversi’), i prigionieri e gli ex detenuti, i non cittadini, ecc. non hanno alcuna voce in capitolo. Alla faccia dell’“autodeterminazione”.

      La più importante di queste categorie è quella dei “non cittadini”. Si tratta delle persone più colpite dalle azioni, ad esempio, del governo degli Stati Uniti (il nostro standard globale di “democrazia”).

      Che voce in capitolo hanno i gazesi, i siriani, gli iraniani, i somali, i congolesi, i venezuelani, i salvadoregni, i cubani o persino i russi e i cinesi su chi “governa” l’America, e quindi il mondo? Nessuna.

      Il solo accenno – assurdo – che i russi abbiano cercato di influenzare le elezioni americane – cosa che gli americani fanno ovunque sulla Terra – ha causato anni di isterismi e minacce. I russi non l’hanno fatto, ma perché non avrebbero dovuto? Dopo tutto, le elezioni sono comprate e pagate, e con un’eccezione palesemente ovvia, le influenze straniere non rientrano nemmeno tra le prime sette:

      1. I media
      2. L’oligarchia
      3. Il complesso militare-industriale (l’industria dell’offesa)
      4. Il governo stesso
      5. Israele e i suoi lobbisti (apertamente!)
      6. Le grandi compagnie petrolifere, le grandi aziende farmaceutiche, il settore FIRE, ecc.
      7. Interessi particolari (ad esempio, la NRA, l’AARP, forse l’AFL-CIO)

      Quindi, che possibilità ha quel ragazzo che vive in uno slum di Chicago di vedere soddisfatti i propri interessi, per non parlare di un orfano affamato nella Striscia di Gaza?

      Si tratta di una strana concezione della democrazia, che dovrebbe significare “governo del popolo” o, meglio, autogoverno.

      L’unico modo in cui il diritto di voto può funzionare in modo equo è se richiede il consenso. Ciò significa che non ci deve essere nemmeno un voto contrario. Buona fortuna! Ciò richiederebbe un mondo di adulti e bambini ben educati che ascoltano i loro anziani. Fattibile in una tribù di cacciatori-raccoglitori di poche decine di persone. Su scala globale? Scordatevelo.

      Di cosa stavo parlando? L’ho dimenticato.

      Ah, giusto. Mencken. Ha detto:

      Più grande è la folla, più difficile è la prova. In aree ristrette, davanti a un elettorato limitato, un uomo di prim’ordine riesce occasionalmente a farsi strada, trascinando con sé anche la folla grazie alla forza della sua personalità. Ma quando il campo è nazionale e la lotta deve essere condotta principalmente di seconda e terza mano, allora tutte le probabilità sono a favore dell’uomo che è, intrinsecamente, il più subdolo e mediocre, l’uomo che sa diffondere con maggiore abilità l’idea che la sua mente sia un vuoto virtuale.

       

       

       

      La presidenza tende, anno dopo anno, ad andare a uomini di questo tipo. Man mano che la democrazia [il voto] si perfeziona, la carica rappresenta sempre più da vicino l’anima interiore del popolo. Ci muoviamo verso un ideale elevato. In un giorno grande e glorioso, la gente comune del paese raggiungerà finalmente il desiderio del proprio cuore e la Casa Bianca sarà adornata da un vero e proprio idiota. 26 luglio 1920 “Bayard contro Lionheart”

       

      Ma mi sono allontanato dall’argomento, prendendo le strade secondarie, come sono solito fare. Stavamo parlando di dimenticare… se ricordo bene.

      Il motivo per cui ho citato Mencken è per dimostrare che tutti i problemi che fingiamo siano nuovi e mai visti prima – grazie alla caduta in disgrazia e al tramonto di un’«età dell’oro» – sono in realtà ben compresi e discussi da più tempo di quanto chiunque di noi abbia memoria.

       

       

      Non che io sia necessariamente d’accordo con Mencken in tutto e per tutto. Ho il sospetto che ciò che egli desiderasse fosse una “meritocrazia”, che non è altro che una forma diversa di tirannia pensata per attrarre coloro che si ritengono superiori alla maggior parte delle persone. Per parafrasare Ann Richards: sono nati in terza base, ma sono convinti di aver fatto una tripla (le basi precedenti, aver fatto tutto il cammino per propri meriti, N.d.T.).

      E Mencken è solo un esempio molto recente. Potremmo risalire a vari saggi, coloro che hanno spiegato i fatti della vita ai loro scribi, i quali se ne sono presi il merito e hanno ottenuto fama e fortuna, scribi come Laozi, Ban Zhao, Siddhārtha, Maometto, Walt Kelly, ecc. Senza dubbio c’era qualche saggio ai tempi dei faraoni che cercava disperatamente di impartire un po’ di buon senso a un faraone particolarmente ottuso.

       

       

      Il mio punto è semplicemente questo: abbiamo compreso queste cose sin dall’inizio della storia documentata, o almeno da quando abbiamo iniziato a vivere in gruppi che superavano il numero di Dunbar. L’inestimabile e. E. Cummings sottolineava proprio questo punto in una poesia scritta al culmine dell’ultima grande frenesia alimentare degli squali, poco prima che gli Stati Uniti dimostrassero la loro capacità e volontà di vaporizzare esseri umani e condannarne altri a una morte lenta e dolorosa in gran numero, prima con bombe incendiarie, poi con il rilascio improvviso di energia di legame.

      Glielo disse

       

      Platone glielo disse:

      lui non riusciva a

      crederci (Gesù

      glielo disse; lui

      non voleva crederci)

      Lao

      Tze

      glielo disse sicuramente,

      e il generale

      (sì

      signora)

      Sherman;

      e persino

      (che ci crediate

      o

      no) tu

      glielo dicesti: io glielo dissi;

      noi glielo dicemmo

      (lui non ci credette, no

      signore) ci è voluto

      un pezzo nipponizzato della

      vecchia sopraelevata

      della sesta

      avenue, (*)

      nella parte superiore della sua testa: per dirglielo

      (E. E. Cummings 1944, JM)

      Come è possibile allora che conoscessimo queste cose da prima che potessimo scriverle, eppure continuiamo a “riscoprirle” come se nessuno ci avesse mai pensato prima?

      La mia teoria è questa: siamo animali che dimenticano. Da qui il titolo di questo scritto. Uomini saggi? Non credo — di per sé un delizioso esempio di antifrasi. Siamo uomini smemorati. Non appena impariamo una lezione, la “dimentichiamo” e dobbiamo impararla di nuovo.

      Le verità scomode vengono facilmente dimenticate.

       

      E non è una questione generazionale. Potremmo insegnare queste lezioni ai nostri giovani, ma non lo facciamo, e noi stessi dobbiamo ricordarle continuamente nel corso della nostra vita, in una sorta di triste “Giorno della marmotta” della mente.

      Dicono che siamo giovani e non sappiamo, che non lo scopriremo finché non saremo cresciuti.

      Ma nemmeno allora, immagino.

      Non homo sapiens. Homo obliviosus.

      L’avete sentito qui per primi.

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