Il Prof. Franco Maloberti, professore emerito del Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione dell’Università di Pavia, è uno di quegli italiani d’eccellenza, celebri nel mondo. Ovviamente non occupa le trasmissioni televisive di casa nostra o i giornaloni mainstream, perchè la sua storia personale e ciò che dice obbliga a guardarsi allo specchio come Paese, sempre più di periferia nella gabbia dell’anglosfera dominata dalle Corporation, sfacciatamente in declino nonostante lustrini e paillettes digitali profusi H24.
Sappiamo tutti che è ormai praticamente impossibile pensare ad una società di massa senza computer, smartphone, o senza elettronica in genere. Anche il portale web che state attualmente utilizzando per leggere questo articolo, in fondo in fondo, si basa sulla microelettronica. E quindi non abbiamo alternativa: cerchiamo di capirne di più. Scopriremo che l’Occidente è in crisi anche sul piano tecnologico, cioè dove si sta giocando il destino del mondo.
La tanto sbandierata supremazia angloamericana sta per finire? L’Intelligenza Artificiale davvero soppianterà l’essere umano?
Il Prof. Maloberti ha appena ricevuto, il 2 dicembre scorso, la laurea honoris causa dall’Università di Macao in riconoscimento dei considerevoli risultati nel campo della microelettronica e dell’eccezionale contributo allo sviluppo di nuove e avanzate tecnologie.
Prima di lui, tra gli altri, il premio è andato anche al connazionale Mario Capecchi Premio Nobel per la medicina; alla Prof.ssa Ada Yonath Nobel per la chimica; al Prof. J. Stiglitz, Nobel per l’economia.
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- Professore, innanzitutto complimenti per il grande risultato personale e grazie per aver accettato questa intervista. Che effetto le fa questa onorificenza e perchè Macao?
Ricevere il titolo di dottore in scienze honoris causa è una grande soddisfazione anche perché l’assegnazione non è solo per meriti scientifici che, ritengo, sono buoni ma non eccezionali, ma anche perché l’Università di Macau, che occupa una buona posizione nel ranking THE, è la sede del ‘mio’ State Key Lab un laboratorio di ricerca microelettronica che in una dozzina di anni è diventato uno dei primi al mondo. Dicevo ‘mio’ perché ho aiutato il mio amico Rui Martins, Vice rettore, nella difficile approvazione del Ministero dell’Educazione cinese per avere l’etichetta State Key Lab, “laboratorio statale chiave” per la microelettronica. Poi, per dodici anni, come Chair dell’advisory committee, ho assistito alla travolgente crescita scientifica di quel laboratorio che ha superato ogni università americana ed europea. In verità, non penso che il mio contributo a quel successo sia rilevante, ma, a quanto pare, l’università e i suoi gestori la pensano diversamente, dato che ora mi onorano con questo titolo.
Ho conosciuto Rui Martins una quarantina di anni fa quando era uno studente di dottorato a Lisbona. Il suo relatore, che incontrai a un meeting, non aveva la possibilità di costruire circuiti integrati. Gli offrii una parte dell’area di silicio che mi era stata assegnata, e lui mandò il suo studente a Pavia per un mesetto circa per fare un progetto. Rui, dopo il dottorato, è andato a Macau, allora colonia portoghese, ad insegnare nella locale università.
Nel 1997 ero a Hong Kong a un congresso e Rui mi invitò per una breve visita. Iniziammo una collaborazione e dopo qualche anno Rui sottopose al governo cinese, con un mio piccolo aiuto, la domanda per avere l’etichetta di laboratorio statale chiave. La domanda fu approvata e il laboratorio fu finanziato con soldi del governo di Macau. Fu anche istituito un “Academic Committee“, ovvero un comitato di controllo e indirizzo, e io ne diventai il presidente. Questo da dodici anni.
A parte gli eventi abbastanza casuali che mi hanno portato alla mia avventura in Oriente, debbo dire che da quelle parti sono tenuto in grande considerazione, direi amore. La mia regola di vita corrisponde al detto “io ti amo tempo presente; tu non mi ami tempo perso” e, appunto a Macau ho trovato quell’amore, in senso scientifico, che non c’è assolutamente in Italia. Da noi impegnarsi è tempo perso. Ma questo è normale, l’Italia è un paese maestro nella distruzione distruttiva, ovvero valorizza sempre i peggiori. Un modo di fare che non è però una esclusiva. Forse anche in Spagna. Ricordo infatti quello che mi disse un mio amico dell’Università Carlo III di Madrid: “Se mi daranno una onorificenza, mi guarderò allo specchio per chiedermi: cosa ho fatto di male?”
- Gli Usa, ancora la prima superpotenza mondiale, a chi devono la loro supremazia tecnologica tanto sbandierata?
L’assetto USA nel settore della microelettronica è cambiato negli anni. In generale, i giovani americani non vogliono impegnarsi nelle discipline microelettroniche. Preferiscono attività più remunerative. Nelle università, normalmente si fermano a livello di master e non fanno il PhD.
Io, negli anni di mia permanenza negli USA, non ho mai avuto PhD americani. Anche tra i professori, di americani ce ne sono pochi. Quello che succedeva nel passato è che la chimera americana era un’attrazione per i cervelli capaci di paesi poveri, Cina e India principalmente. Sono stati quei cervelli che hanno determinato la supremazia tecnologica.
Recentemente decisioni USA non molto brillanti, in particolare le restrizioni ai visti di permanenza, hanno ridotto il flusso di cervelli, e questo ancora prima che la Cina lanciasse le sue iniziative tendenti al richiamo in Patria delle intelligenze più brillanti. Il cinese Thousand Talent Plan del 2008 ha favorito parecchi ritorni, sia di scienziati che di imprenditori. Tra questi, per inciso, c’è Feng Ying un mio studente di PhD di Dallas che lavorava alla Texas Instruments e, nel 2012, è tornato in Cina. Ha cofondato la start-up 3Peak che ora ha quasi mille dipendenti. La Thousand Talent Plan è stata poi estesa a persone con meno di 40 anni ed ha fatto tornare circa 7000 persone in 10 anni.
Cito Feng perché marca la differenza tra la cultura orientale e la nostra. Quando ha saputo della cerimonia, Feng è venuto da Shanghai a Macau per congratularsi e assistere; ha poi invitato a cena me e la mia famiglia nel miglior ristorante di Macau. Lo ho ringraziato, e lui mi ha risposto con un vecchio proverbio cinese: “Insegnante una volta, padre per sempre” .
- Quindi, il mito della tecnologia americana dove il progresso è incessante e infallibile sembra scricchiolare: eppure i mass media ci inondano quotidianamente di messaggi futuristici e avveniristici tanto che le Corporation vincenti ci mostrano un Metaverso dove dovremmo presto vivere, mentre consumiamo da Amazon e Netflix, vivacchiando a sussidio. L’anglosfera rischia di rimanere indietro pure come progresso tecnologico?
Sì, l’impoverimento di capacità tecnico scientifiche in Occidente è un problema che avrà, se non lo ha già, un grosso impatto nella produzione di prodotti elettronici avanzati.
- Il problema riguarda anche l’Europa?
La problematica riguarda anche, pur in modo minore, l’Europa. Le competenze tecnico scientifiche nel settore della microelettronica europea sono di eccellenza analogica. La competenza digitale è invece americana che domina il mercato dei microprocessori e dei DSP. Le capacità analogiche sono importanti per i sistemi. Questi interagiscono con il mondo reale che è analogico, e prevedono spesso l’uso di sensori e processori analogici. Inoltre, servono circuiti per il controllo della potenza che, in molti casi, è per sistemi portatili a livello micro.
Aziende come l’italo-francese STM, Bosh, Siemens, AMS-Osram, per nominare le grandi, hanno ancora una buona dotazione di progettisti, ma il flusso di nuovi cervelli è scarso, anche perché aziende USA vengono in Europa con centri di progettazione e competono nel reclutamento. In questo modo si riduce ulteriormente le disponibilità. Gli americani, come noto, hanno disponibili moltissimi di dollari ‘Fiat’ freschi di stampa, e fanno una facile concorrenza.
- Cosa pensa dei contrasti tra Occidente e Cina sui chip avanzati?
La battaglia per l’alta tecnologia tra Occidente, ma in particolare gli Stati Uniti, e la Cina è ben nota. Gli sforzi occidentali per limitare l’avanzata tecnologica cinese sono di vecchia data. Lady Huawei, la figlia del fondatore del gigante delle telecomunicazioni, è rimasta agli arresti per circa tre anni a Vancouver. Huawei è stata la azienda più colpita, con numerosissime accuse di interferenza, molte non verificate, e cause legali, con poche condanne. Pratiche industriali scorrette sono certo frequenti, ma questo vale per moltissime aziende, incluse, ovviamente, quelle occidentali. Lo spionaggio non è una esclusiva di una sola parte, anzi, come noto c’è stato lo spionaggio alle telefonate di capi dei Paesi amici.
Comunque, il feroce contrasto all’avanzata tecnologica cinese, che comprende il divieto alla esportazione in Cina di prodotti e macchinari ad alta tecnologia, è un boomerang.
Le sanzioni hanno certamente danneggiato la Cina e frenato la sua crescita, ma ci sono stati anche danni non piccoli alle imprese dell’Occidente. Molte aziende americane hanno infatti protestato con la loro amministrazione. È innegabile che la Cina soffra delle restrizioni ma, come accade a persone forti messe sotto pressione, queste reagiscono e trovano soluzioni alternative. In questo caso, l’indipendenza tecnologica.
Certamente, nel medio termine le prepotenze occidentali si riveleranno negative per l’Occidente stesso. Ricordiamo, poi, che la Cina ha anticipato il problema. Già nel 2015 ha lanciato il progetto Made in China 2025, con una roadmap di 35 anni. Con la prima fase ha ottenuto una certa sicurezza tecnologica e, per i semiconduttori, ha sviluppato una tecnologia per circuiti integrati (7 nanometri) che è indietro di solo due generazioni, ovvero cinque anni di ritardo, rispetto alla leader mondiale, la taiwanese TSMC.
Si deve comunque dire che le tecnologie super-avanzate sono parzialmente importanti: servono solo per quei prodotti che richiedono un’enorme quantità di calcolo. Per molte applicazioni, incluse quelle militari, le tecnologie ordinarie sono più che sufficienti.
- La decadenza dell’Occidente, che investe le sue principali istituzioni educative in primis, è ormai talmente plateale da avere riflessi anche nel settore che, all’apparenza, dovrebbe essere il volto della supremazia e della cultura tecnologica?
In aggiunta alle restrizioni imposte nel commercio di semiconduttori sono stati lanciati due grandi programmi di finanziamento: il Chip and Science Act americano, e l’iniziativa Chips for Europe. Entrambe sono reazioni un po’ isteriche e certamente tardive. Non si recupera il tempo perduto sbattendo sul tavolo centinaia di miliardi senza un’accurata strategia. Anzi le centinaia di miliardi sono controproducenti. Parte del progetto americano è di incentivi alle industrie di semiconduttori, a patto che non vendano ai cinesi.
Una seconda frazione di quel gigantesco finanziamento va al NSF e alla NASA, due istituzioni che poco sanno di microelettronica. La NASA dovrebbe stabilire un programma per andare dalla luna a Marte (sic!).
Il progetto europeo parte da un regolamento, direi, allucinante: è il 2023/1781 del 13 settembre 2023. Il documento sembra essere scritto da un gruppo di analfabeti microelettronici. Ci sono 82 considerazioni iniziali che sono prevalentemente banalità o peggio. Poi ci sono disposizioni generali. L’articolo 2, quello che fornisce le definizioni, è il più esilarante. La prima definizione riguarda il ‘semiconduttore’. Io, che ho insegnato fisica dei semiconduttori per alcuni anni, non ho mai trovato uno studente così asino da definire il semiconduttore “un materiale, compresi i nuovi materiali, elementare o composto, la cui conduttività elettrica può essere modificata“.
Lo sanno anche gli studenti del liceo che semiconduttore significa un materiale con conduttività intermedia tra metallo e isolante! Per essere più sofisticati, il semiconduttore ha un energy gap nell’intervallo 0.5 – 3 eV (electron volt, ndr).
Non contento, il suddetto articolo 2 fornisce una seconda, ancora più esilarante, definizione:
“Un componente costituito da una serie di strati di materiali semiconduttori, isolanti e conduttori definiti secondo uno schema predeterminato e destinati a svolgere funzioni elettroniche o fotoniche ben definite o entrambe“. Che roba!!! Anche le altre definizioni sono divertenti, ma non al livello del semiconduttore.
Mi chiedo, allora, come è possibile far decidere come usare 43 miliardi di euro, pubblici e privati, a capre di questa portata? Se poi guarda lo schema a blocchi del progetto si scopre con ribrezzo che questo privilegia strumenti di progettazione, per la gioia dei monopolisti americani del settore che venderanno tante licenze software, e si appassiona a sviluppi tecnologici avveniristici. Vorrebbero far diventare realtà i sogni dei tecnologi, senza alcuna considerazione delle reali necessità e delle caratteristiche produttive dell’industria elettronica europea. Anche la recente iniziativa italiana è di analoga assurdità. Ma non andiamo oltre…per descrivere questi sprechi e assurdità servirebbe ben più che il tempo di una intervista.
- Cosa pensa dell’Intelligenza Artificiale, che la propaganda dà ormai come entità superiore rispetto all’intelligenza umana? L’essere umano è già inutile?
La mia opinione sulla cosiddetta intelligenza artificiale, detta anche AI, è di scarsa considerazione. Non voglio arrivare all’estremo di chiamarla deficienza artificiale ma, francamente, quello che fa, non è molto intelligente. Tradurre un testo è una cosa che un umano istruito fa agevolmente, riconoscere un viso o la differenza tra gatto e cane, lo stesso. Scrivere qualcosa in automatico è come fare un riassunto di roba esistente. Guidare un’auto? Lo fa anche una vecchietta di novant’anni. Purtroppo, e questo è l’effetto tristemente ovvio per cosa accade per ogni avanzamento tecnologico, l’AI uccide posti di lavoro.
La vera potenza della AI è il volume di dati esaminati, supposti disponibili, e la velocità di esecuzione. È questo quello che interessa i governanti. Avere strumenti di controllo e verifica su un numero grandissimo di cose o persone.
La convenienza per i cittadini comuni è marginale e, in alcuni casi, un impiccio. Gli algoritmi che vengono impiegati richiedono una mostruosa capacità di calcolo. Servono allora tecnologie ultra-spinte con cui realizzare processori di crescente complessità. Se si valutasse la posizione dell’AI sul diagramma di hype, direi che siamo sul “picco gonfiato di aspettazione”, tra qualche tempo si passerà alla disillusione per raggiungere, direi tra una decina di anni, al plateau di produttività. Quindi, io penso che l’AI sia una recente bolla tecnologica, come lo sono stati il DNA e l’internet delle cose.
Comunque, come tutti i circuiti elettronici, anche quelli dell’AI sono “senz’anima”. Sono un po’, ma non in modo così categorico, dell’idea di Federico Faggin, l’inventore del microprocessore.
All’AI, ‘l’anima’ la costruisce il computer scientist, quello che scrive gli algoritmi, ed il risultato, direi, è inesistente.