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      • Il trauma come investimento

      Il trauma come investimento

      Ogni tanto capita di respirare una boccata d’aria fresca, grazie a una riflessione che va oltre la fitta nebbia della fuffa.

      In questo caso si tratta del testo, come riportato in lingua inglese da alcuni media, di un’intervista con il generale Aharon Haliva, che era a capo dell’intelligence israeliana il fatidico 7 ottobre del 2023. Un’intervista rilasciata al canale televisivo israeliano Channel 12.

      L’intervista ha suscitato scandalo sui media progressisti, mentre a me è subito piaciuta, perché l’autore parla da tecnico di una questione tecnica, senza ditino imparatore o piagnucolamenti.

      Il generale è un tecnico della guerra, uno dei mestieri più importanti della storia umana, forse quello decisivo, perché non ammette appello.

      Il generale Haliva, nell’intervista, dice tra l’altro:

       

      “Il fatto che vi siano già 50.000 morti a Gaza è necessario, ed è un bisogno delle generazioni future”

       

      “per ogni (vittima) del 7 ottobre, devono morire 50 palestinesi”

      “Non c’è scelta, hanno bisogno di una nakba di tanto in tanto per sentirne le conseguenze”

       

      Ci si scandalizza perché siamo abituati sempre e ovunque ad ascoltare balle giustificazioniste: “mi stavo solo difendendo, lui mi ha guardato male, la vittima sono io…”

      Evidentemente siamo più portati ad ascoltare i bugiardi che i professionisti.

      Inoltre. il generale Halivi fa una divulgazione raccontando di come Israele abbia sostenuto attivamente Hamas, anche – dettaglio interessante – in Cisgiordania.

       

      “Se si destabilizza tutta l’arena palestinese, che impazzisce, è impossibile negoziarci e non ci sarà alcun accordo [sullo stato palestinese].”

      “Hamas è un’organizzazione contro cui puoi combattere liberamente, non ha alcuna giustificazione internazionale, alcuna legittimità, lo puoi combattere con la spada”.

       

      Il generale Haliva ci riporta all’essenziale della guerra, che non sono le pubbliche relazioni nei confronti degli osservatori neutrali affetti da sentimenti umanitari.

      L’essenziale della guerra è garantire a lungo andare la supremazia del nostro gruppo – comunque definito – sull’altro gruppo, con qualunque mezzo e per il periodo di tempo più lungo possibile.

      Non è Israele che la pensa così: è sempre stato così, tranne per un breve intervallo di qualche decennio successivo alla Seconda Guerra Mondiale, in cui ci si è illusi che ci fosse l’albero del bengodi per tutti e che per sopravvivere, non fosse necessario buttare gli altri giù dai rami.

       

      La guerra – cioè una delle principali attività da sempre della specie umana – è stata arbitrariamente identifica con la figura di un baffuto muratore austriaco che la faceva, ci dicono, per pura cattiveria.

      Una bella illusione, che ho condiviso anch’io, ma – appunto – un’illusione.

      Con Gaza, torniamo alla normalità, che ci piaccia o no.

      Il fatto che sia Israele a riportarci alla normalità, è dovuto semplicemente al fatto che questo paese, per motivi etnico-simbolici, rappresenta l’antitesi del baffuto muratore. Essendo nato senza macchia, può permettersi di fare cose normali: ma è solo un inizio, perché a mano a mano che la coperta si fa stretta, il mondo intero inizierà a fare cose normali – troppo comodo prendersela solo con Israele.

      Il lucido spirito militare – scevro, come dice il generale, da ogni spirito di vendetta, qui stiamo parlando in termini professionali – parte dal presupposto della vittoria a lungo termine.

      Si può vincere una battaglia come si vince una partita, poi il campionato ricomincia nella prossima stagione, con il rischio di perdere.

      Il vero militare deve invece pensare alla vittoria a lungo termine: e cioè distruggere per decenni ogni potenziale di reazione da parte dell’etnia nemica.

      Per questo, colpire l’infanzia diventa strategicamente fondamentale.

      Conosciamo tutti qualcuno che a cinquant’anni si ricorda ancora di come il babbo ormai morto non gli comprò la macchinina che voleva all’autogrill, e ne ha ricavato un minuscolo trauma.

      Immaginatevi un bambino che invece ha perso un braccio, dopo aver visto a sei anni bruciare vivi i propri genitori e la sorellina: ecco un trauma serio, che ha il vantaggio di durare quasi sicuramente tutta la vita, quindi per diversi decenni.

      Un trauma-investimento, insomma.

      Traumatizzare sul serio i bambini assicura, per tutta la vita utile dei sopravvissuti, il predominio dei nostri: a Gaza c’è un’occasione unica per sottomettere un’etnia per decenni.

      Sia perché i traumatizzati imparano letteralmente sulla propria pelle la supremazia dell’altra etnia, sia perché non sono più in grado mentalmente di organizzarsi in maniera razionale: lo zoppo, lo scemo, lo storpio, il guercio e il matto – come si diceva in altri tempi – non vanno lontano, nonostante i proverbi.

      La violenza ha molti livelli, e non funziona sempre.

      Il primo livello è quello del vaccino sociale, cioè della piccola aggressione innocua che in realtà finisce solo per aumentare l’immunità del sistema che si vorrebbe aggredire. Le Brigate Rosse con le loro punture hanno rafforzato in maniera straordinaria il potere repressivo dello Stato, a tutti i livelli. Da far loro un Monumento all’Ordine Pubblico.

      Il secondo livello è quello della rissa inconcludente, gli scontri a bassa intensità che non si risolvono.

      Il terzo livello è quello del forte che si afferma in maniera decisiva sul debole. Che è il vero motivo per cui esistono eserciti in questo mondo, ed è l’unico momento in cui ha senso ricorrere alla violenza.

      E su questo, il generale Halivi merita rispetto per la chiarezza con cui si è espresso.

      Ma come è sempre esistita la guerra, esistono sempre i folli come il patrono dei filosofi, San Giustino Martire.

      Anche noi lo scegliamo come patrono, ma ricordando che finì decapitato sotto l’imperatore – filosofo anche lui – Marc’Aurelio.

      Però fece in tempo a scrivere:

       

      “E noi, che eravamo pieni di guerra, di reciproco massacro e di ogni malvagità, abbiamo cambiato in tutta la terra le nostre armi da guerra: le nostre spade in aratri e le nostre lance in attrezzi per l’aratura; e coltiviamo la pietà, la giustizia, la filantropia, la fede e la speranza, che abbiamo ricevuto dal Padre stesso attraverso Colui che è stato crocifisso; e sediamo ciascuno sotto la propria vite, cioè ciascuno ha la propria moglie sposata. Perché voi sapete che la parola profetica dice: «E sua moglie sarà come una vite feconda». Ora è evidente che nessuno può terrorizzare o sottomettere noi che abbiamo creduto in Gesù in tutto il mondo. È chiaro infatti che, anche se decapitati, crocifissi, gettati alle belve, incatenati, bruciati e sottoposti a ogni altro tipo di tortura, non rinunciamo alla nostra confessione; ma più queste cose accadono, più altri e in numero sempre maggiore diventano fedeli e adoratori di Dio attraverso il nome di Gesù.”

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