Julie è una giocatrice di tennis di talento, la più forte del suo club. Un giorno apprende della morte di una giocatrice e il suo allenatore finisce sotto indagine. Tutti le fanno domande e la incoraggiano a parlare, ma Julie decide di mantenere fino all’ultimo un silenzio assoluto sulla vicenda.
Un film introspettivo e fortemente attuale, che mostra come il silenzio possa diventare un’arma per scagliarsi contro gli abusi sessuali nel mondo dello sport.
È l’opera prima che firma Leonardo Van Dijl, scrittore e regista belga che sceglie di ambientare la sua storia nel microcosmo del tennis. Non segue un trend, il suo film si pone agli antipodi del patinato quanto adrenalinico Challengers di Guadagnino, a partire dalla scelta di puntare su una tennista e non su un’attrice professionista come protagonista. È Tessa Van den Broeck, che al suo esordio sullo schermo se la cava bene nell’interpretare una giocatrice che non intende “tradire” il suo allenatore e si rifugia nel silenzio. Lui è indagato a seguito del suicidio di una giocatrice, non sapremo mai esattamente quale causa ci sia dietro, ma lo spettro dell’abuso sessuale aleggia per tutta l’opera, supportato da una battuta alquanto ambigua e controversa che l’allenatore stesso rivolge a Julie: “Quando mi hai chiesto di fermarmi mi sono fermato”.
Lo stile registico è asciutto e documentaristico, mai didascalico, mai retorico, ma anche mai appassionante. Il tennis giocato, gli allenamenti, tutto sa di verità, anche il cerchio di apprensione che si stringe intorno a Julie, la giocatrice-modello con un rapporto privilegiato con il suo allenatore. Di che natura è questo rapporto? A quali compromessi occorre scendere per primeggiare? Sono interrogativi che Van Dijl dissemina ad arte lungo lo svolgersi della narrazione, finendo tuttavia per proporre per tutta la durata del film di fatto lo stesso tono, le stesse inquietudini, la stessa trama e la stessa mancanza di pathos. Succede poco fuori, perché succede molto dentro l’animo di Julie, ma ben poco emerge, poco viene mostrato. È una scelta precisa, che tuttavia non paga molto da ogni punto di vista, a partire dal ritmo della narrazione.