Ha suscitato grande scalpore la dichiarazione di un famoso scrittore sistemico e di sinistra: «Se esiste una salvezza possibile per questo mondo, è recuperare l’idea di scarsità». La frase, come spesso accade con i titoli dei giornali, era fuori contesto, ma alla gente ha dato fastidio che questi consigli venissero dati da qualcuno che nuotava nell’abbondanza.
A me la frase è sembrata infelice per un altro motivo molto diverso. Il concetto di «scarsità», riferito al nostro mondo e alla nostra epoca, mi sembra una presa in giro; infatti, né le risorse del pianeta sono «scarse» (anche se, ovviamente, sono finite), né mi sembra serio riferirsi alla «scarsità» quando l’attività economica dei paesi capitalisti è ossessivamente orientata alla crescita, dimenticando che il loro scopo fondamentale non è il semplice aumento della produzione, né il profitto, ma la soddisfazione dei bisogni materiali e spirituali della comunità (ponendo, ovviamente, dei limiti e un ordine gerarchico, come conviene al raggiungimento del bene comune).
La salvezza del mondo non consiste nel recuperare l’«idea di scarsità», ma quella di giustizia, che consiste nel dare a ciascuno ciò che gli spetta. Un’altra cosa è che, una volta soddisfatte le proprie necessità, una persona virtuosa debba amare la povertà, intesa non come un flagello (che dobbiamo sempre combattere), ma come una virtù che ci aiuta a distaccarci dai beni materiali. Infatti, il possesso di beni materiali influenza la persona in modo nefasto: l’uomo non solo “possiede” le cose, ma queste, essendo legate alla sua stessa esistenza, finiscono per “penetrare” nel suo intimo, finiscono per impossessarsi della sua anima, come la cellula cancerosa si impossessa del nostro organismo. Ma la virtù della povertà non si coltiva dalla “scarsità”, bensì dal distacco o dal distacco.
In realtà, recuperare l’“idea di scarsità” salva solo il regno plutocratico mondiale e i governanti malvagi che lo sostengono. A loro conviene che facciamo della “scarsità” un atto eroico: cambiamo l’olio d’oliva con l’olio di girasole, cambiamo la bistecca con la pizza riscaldata, cambiamo l’appartamento di proprietà con la topaia in affitto e condivisa, cambiamo la prole con l’animale domestico, eccetera; e in questo modo salveremo il mondo. Ma facendo queste cose non stiamo salvando il mondo; stiamo salvando il regno plutocratico mondiale che vuole concentrare la ricchezza in pochissime mani (in Spagna, per non andare lontano, l’1% più ricco della popolazione concentra una quantità di ricchezza superiore a quella dell’80% più povero) e i governanti malvagi che agiscono ai suoi ordini. L’invito a recuperare l’“idea di scarsità” che ci faceva lo scrittore di sistema è in linea con quei servizi che i media di cretinizzazione di massa pubblicano assiduamente, presentando come modelli sociali quei poveri diavoli che, per ridurre le spese, mettono la lavatrice nel ripostiglio; o diffondendo anglicismi ripugnanti come staycation (vacanze a casa) o coliving (condivisione dell’alloggio). Non c’è “scarsità” di energia elettrica, così come non c’è scarsità di posti letto in hotel o di alloggi; quello che c’è sono persone che non hanno le risorse per permetterseli. Ma il regno plutocratico mondiale vuole che queste persone “percepiscano” il flagello della povertà che le affligge come una tendenza cool o una scelta creativa e solidale con il pianeta.
Sul pianeta non c’è “scarsità”, ma accaparramento. E più che l’“idea di scarsità” bisognerebbe recuperare l’idea di un’‘economia’ che non sia “crematistica” (secondo la classica distinzione di Aristotele) e che permetta una distribuzione più equa dell’abbondanza esistente, tenendo conto delle esigenze e dei meriti di ciascuno, senza permettere disuguaglianze abusive e senza imporre un egualitarismo abusivo, ma tenendo conto del contributo che ciascuno apporta al bene della comunità. Accettare l’“idea della scarsità” mi sembra piuttosto una forma di conformismo pericoloso, una variante di quella “servitù volontaria” a cui si riferiva La Boétie nel suo classico discorso; solo che con l’abilità di far credere chimericamente al servo che sta salvando il mondo, affinché la sua povertà abbia un effetto euforico.
Curiosamente, la sinistra non ha mai sostenuto la scarsità finché è stata materialista, ma aspirava a creare ricchezza sufficiente affinché nessuno ne soffrisse, combattendo l’ingiustizia (un’altra cosa è se tale aspirazione sia stata raggiunta). Ora la sinistra è diventata idealista e accetta l’ingiustizia, invitando coloro che la subiscono a “superarla”, poiché si tratta di una fatalità che non possiamo cambiare e alla quale dobbiamo per forza di cose adattarci.
Di Juan Manuel de Prada, abc.es




