François, che ha una relazione con Anne, vede un mattino un uomo che esce con lei dalla sua abitazione. Non sa che si tratta di un aviatore, suo ex, che le ha annunciato che il loro rapporto è definitivamente chiuso. François si ritiene tradito e cerca una spiegazione che Anne rinvia ma incontra casualmente l’uomo con una donna e si mette a pedinare la coppia. Li segue su un autobus dove conosce la quindicenne Lucie alla quale dice di essere un detective incaricato di verificare la fedeltà della donna. Lucie decide di affiancarsi a lui nel pedinamento.
Dopo essersi concesso una pausa con due film di derivazione letteraria (La marchesa Von… e Perceval le gallois) Rohmer affronta un nuovo ciclo di opere che denomina “Commedie e proverbi”. È lo stesso regista a delinearle gli orizzonti: “La gente nei miei film non esprime idee astratte, non c’è neppure un’ideologia, se non implicita, ma rivela cosa pensa dei rapporti tra uomini e donne, dell’amicizia, dell’amore, del desiderio, della propria concezione della vita, della felicità, della noia, del lavoro, del tempo libero: tutte cose che sono già state discusse, ma spesso in maniera, indiretta, nel contesto di una trama drammatica”.
Ecco allora che seguendo François che si improvvisa detective Rohmer ci propone una sua riflessione sulla comunicazione ad inizio anni Ottanta: non sembra più esserci un aggancio effettivo alla realtà tanto che François viene colto da improvvise sonnolenze che diventano segno esteriore del bisogno di distaccarsi da un reale ormai difficile da decodificare: Perché la ‘donna dell’aviatore’ potrebbe rivelarsi essere la sorella ma chi garantisce l’autenticità dell’informazione che Christian ha dato ad Anne?
La fotografia scattata dai giapponesi è di scarsa utilità e così il centro focale del film si gioca sui campi lunghi che ci dicono dell’osservazione del neodetective e della sua quindicenne assistente che si destreggia nel tentativo di comprendere chi sono i due e che cosa François vuole da lei e da loro: la stessa Anne finisce con l’essere rappresentata come una donna bella e triste, difficile però da definire. Forse è molto meglio attenersi al completamento del titolo: “On ne saurait penser à rien”. Si corrono meno rischi di equivocare.