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      • La strage dei negozi di prossimità

      La strage dei negozi di prossimità

      Vi sarà capitato di osservare che nelle città italiane, piccole, medie e grandi, nei villaggi, nei paesi, si assiste a una silenziosa desertificazione del commercio al dettaglio.  Dove c’era un’edicola, ora c’è una serranda che la chiude e la impacchetta come un fantasma grigio e nero. Chi vuole un quotidiano, è costretto a comprarlo nei supermercati.  Dove c’era una rivendita del pane e dei commestibili, troverete locali vuoti. Idem per l’abbigliamento, forse tra i settori più penalizzati. Anche gli esercizi che forniscono servizi (ferramenta, lavanderie, cartolerie, ecc.) bisogna andarseli a cercare almeno due comuni al di fuori del proprio. Il commercio di vicinanza ha visto un calo significativo negli ultimi dieci anni, con stime che indicano la chiusura di oltre 140.000 negozi tra il 2012 e il 2023/2024 (fonte Agi).

      Le cause principali di questa tendenza sono l’ascesa del commercio on line, la concorrenza della grande distribuzione (outlet, supermercati, centri commerciali, catene di globalizzazione), l’aumento di affitti e tasse, e le difficoltà burocratiche per chi vuole ottenere una licenza. La crescita dello shopping online ha certamente avuto una forte incidenza sulla chiusura dei negozi con l’aumento di affitti e tasse e le difficoltà burocratiche rappresentano un peso insostenibile per molte di queste attività. Specie poi, se l’esercente è italiano. Scorciatoie e agevolazioni, invece, per l’aspirante esercente straniero.

       

      Questo fenomeno porta a un rischio di “desertificazione commerciale” nelle città, specialmente nei centri storici laddove botteghe e piccoli laboratori artigianali avevano una funzione di animazione, di punto di riferimento e di ritrovo del borgo stesso che nel Bel Paese costituisce una sorta di biglietto da visita, una carta di identità . E mentre i borghi (anche quelli di notevole impatto storico e richiamo turistico) languiscono, avrete notato qualcuno di quei lugubri veicoli di Amazon sempre più  simili a carri funebri, che lanciano la merce bella impacchettata davanti ai cancelli o ai portici delle abitazioni.
       
       
      Si infilano dappertutto, perfino nelle località fuori mano. Il picco delle vendite on line, lo si è realizzato, come è facile intuire, durante  i confinamenti sanitari della cosiddetta “pandemia”.  Lì, c’ è stata una grande manna dal cielo per i  grandi distributori del e-commerce globale. Ed è lì che è stata assestata una consistente mazzata contro il commercio al dettaglio.
       
       

       

      I dati e  le fonti  di questa desertificazione commerciale,  si possono reperire dalla Confesercenti e dalla Confcommercio. Eccone alcuni, sebbene non ancora aggiornati al 2025

       

      Dati di Confesercenti:
      Dallo studio di Confesercenti del 2024 si evince che sono cessate 140.000 attività commerciali in Italia negli ultimi 10 anni.

      Dati di Confcommercio:
      Dalle analisi di Confcommercio, nel periodo 2012-2024 sono sparite 118.000 attività al dettaglio.

       

      Tuttavia, le associazioni dei commercianti e artigiani non ci dicono che in realtà è in atto da tempo un progetto concentrazionario e  centralizzatore lobbistico che mira a liquidare tout court, lo stile di vita italiano.

      Infatti lo spopolamento dei piccoli comuni  dovuto anche al calo delle nascite, è inversamente proporzionale alla nascita di “città parallele” – quelle che Marc Augé chiama “non luoghi”. Ovvero false cittadelle commerciali alienanti sempre più simili a delle Disneyland che ricordano l’ingannevole Paese dei Balocchi di Pinocchio. Lì, i  consumatori re-infantilizzati e zombificati  per l’uopo, si aggirano per reparti con sguardo inespressivo, tra le merci.

       

      Fanno parte di questo malsano progetto anche le sperimentazioni sulle “smart city”, dette anche “città intelligenti”, altri ghetti commerciali creati bell’apposta per controllare i cittadini e non fare muovere le persone al di fuori di un certo perimetro, con la scusa “green” di frenare l’inquinamento e la CO2 nelle città. La Milano di Sala ne è già un tragico esempio.

      C’è inoltre la questione non secondaria dell’impatto urbanistico, territoriale e sociale. La chiusura di molti negozi  di prossimità porta a una desertificazione commerciale delle città, con un impatto negativo sulla qualità della vita nei quartieri (si pensi solo a bambini ed anziani) con conseguente perdita d’identità delle nostre città. Non dimentichiamo inoltre che ogni negozio, ogni bottega, ogni esercizio che chiude i battenti,  crea  quasi automaticamente zone di degrado con graffiti e scritte con bombolette spray sulle saracinesche e sui muri adiacenti. Non ultimo, si assiste a bivacchi sotto i portici, a zone franche di gente dedita allo spaccio e al malaffare, accompagnati da sporcizia varia (bottiglie e lattine vuote sparse in giro, cartacce, ecc).

       

      Il dettagliante aiuta a mantenere ordine, bellezza, pulizia. Spesso orna il suo habitat con  zone dehors ornate da fioriere e composizioni floreali che sono parte integrante dell’arredo urbano.  Insomma, tutto ciò che di bello abbiamo sempre dato per scontato nei nostri centri piccoli e grandi, rappresenta una forma di civile presidio del territorio, oggi -ahimè –  messo sempre più  in precarietà. E non basta farne solo una questione di “ordine pubblico” con qualche agente in divisa lì piantonato nei pressi.

       
      C’era una volta un’edicola….
       

       

      Forse mi sono distratta, ma non mi pare che questo governo autodefinitosi “sovranista” e “identitario” stia spingendo per il mantenimento e la conservazione di quella che è una cifra specifica del cosiddetto made in Italy proprio a partire dal ripristino delle botteghe storiche, delle arti e dei mestieri, attuando magari opportune agevolazioni per un settore tanto in sofferenza.

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