Nello sguardo di Antonella Tolve fanno capolino fierezza e tenacia.
La stessa tenacia che si può ravvisare in tutta la sua vita, nella perseveranza che profonde per affermarsi come artista e designer, operando in un meridione d’Italia (e non è un luogo comune, posso assicurarlo), che offre sicuramente meno opportunità di un nord, dove le garanzie di successo per chi opera nel mondo dell’arte, come in altri ambiti, sono decisamente superiori.
Essa fa addirittura sfoggio di una certa sfrontatezza, atteggiamento che adottano le persone che sanno di dover prendere a pugni la vita pur di raggiungere un obiettivo difficile.
Cosa che non gli impedisce però nello stesso tempo, di stabilire una profonda empatia con il suo prossimo, subordinando di conseguenza il raggiungimento dei fini che si è proposta al rispetto per l’altro.
Un modo di essere che alla gran massa di persone condizionate spesso irrimediabilmente, da una propaganda volta solo ad oliare il sistema consumista, può apparire come una bestemmia.
D’altro canto infatti, vediamo nella vita di tutti i giorni, materializzarsi sempre di più la filosofia perniciosa dell’affermazione ad ogni costo, anche se il prezzo è quello di nuocere agli altri pur di raggiungere i propri scopi.
Da questo tipo di modus vivendi, Antonella si tiene a debita distanza, e fornisce la prova vivente che c’è un’alternativa al “mors tua vita mea”.
Durante il nostro incontro (avvenuto purtroppo online) non mi ha mai abbandonato la sensazione di confrontarmi con una persona vera, con la quale è possibile comunicare senza dover abbattere schermi costruiti per posa, paura o altro.
Parlando poi di quello che ci propone il campionario umano, riguardo ad esempio all’anticonformismo così affannosamente perseguito dalla massa ( chissà poi perché) e subdolamente imposto come valore assoluto dai media, lei sicuramente esula dalla norma.
Scrivo questo, pensando alla sua famiglia impostata sul modello della tradizione ( uomo, donna, figli) , cosa che nella società del relativismo e della distruzione di ogni forma di disallineamento al pensiero unico, può apparire come una mostruosità. In fondo, come dimostra la vita di Magritte, che è stato un artista immenso, non serve ostentare nessuna posa, per lasciare il segno nella storia, sia umanamente che artisticamente.
Insomma, parlando con Tolve, mi è parso che il detto “ pane al pane e vino al vino” non si sia mai dimostrato come in questo caso, eversivo.
Dico infine, che se noi siamo la nostra storia, come afferma uno dei protagonisti di “Nel corso del tempo” di Wim Wenders, la nostra storia allora è ciò che facciamo, e quindi la biografia di Antonella si riverbera nella sua arte.
Andiamo ad intervistarla…
- Claudio Vitagliano (CV) – Allora Antonella, come si può definire un’artista che utilizza il computer per creare/ realizzare le proprie opere?
Antonella Tolve (AT) – Io mi definisco artista pop digitale.
- CV – Sei più un’artista o una designer?
AT – Sono un’artista.
- CV – Puoi dirmi in cosa consiste sostanzialmente la differenza tra queste due figure nel tuo personale vocabolario?
AT – Un’artista realizza opere, qualunque sia la tecnica utilizzata, il designer realizza oggetti di cui disegna la forma e che devono anche essere d’uso quotidiano, quindi utili, funzionali.
- CV – Per aiutare a capire il tuo percorso a chi ci leggerà, diciamo che sei passata dall’essere un’artista, nel senso tradizionale del termine, che crea e vende quadri, con l’ausilio di gallerie, critici, curatori e stampa specializzata, a designer che decora oggetti d’uso quotidiano, dico bene?
AT – Non propriamente; continuo a vendere quadri, cioè riproduzioni su tela delle mie opere digitali, sia in edizione aperta che pezzi unici. Oltre ai quadri, mi piaceva l’idea dell’arte applicata, e così ho deciso di decorare oggetti di uso quotidiano utilizzando le mie opere.
- CV – A questo scopo nel 2003 hai creato con tuo marito Rino, Pit Pop ; con quali proponimenti?
AT – PIT-POP è un progetto che vuole raccontare a metà tra arte e design la nostra modernità, la nostra contemporaneità.
- CV – Puoi spiegare brevemente nel concreto, in cosa consiste attualmente la tua attività?
AT – Il mio lavoro rimane quello dell’artista tipico, solo che non uso tele e pennelli ma uno schermo ed un mouse o una tavoletta grafica. Successivamente, tutto ciò che disegno viene usato per decorare oggetti che poi vendiamo sul nostro sito e-commerce.
- CV – So che il modus operandi dell’artista come lo si intende di solito, nel tuo caso si limita alla realizzazione dello schizzo. Da lì in poi, cosa accade?
AT – Lo schizzo con la matita è sempre la prima cosa che faccio. Poi procedo con le mie linee orizzontali, verticali e diagonali per strutturare il disegno che ho in mente. Per i colori, uso le palette del programma con cui disegno, utilizzando generalmente quelli da me preferiti che sono i primari.
- CV – Una domanda strettamente tecnica: con quale procedimento avviene l’apposizione del decoro sulla superficie del complemento?
AT – Il procedimento tecnico varia in base all’oggetto su cui viene riprodotta l’opera. Si tratta comunque delle tecniche migliori e più moderne che il mercato della stampa ci mette a disposizione.
- CV – Che tipo di clientela è la tua? guardano all’artisticità del prodotto oppure per loro la cosa non ha rilevanza?
AT – Il nostro cliente tipo è l’appassionato del genere Pop, il collezionista o comunque l’amante del colore e dello stile contemporaneo.
- CV – Nel tuo sito fai riferimento a grandi artisti della storia dell’arte a cui ti sei ispirata; quali sono?
AT – In realtà, agli inizi ero piuttosto eclettica, per cui mi sono rifatta a più protagonisti e movimenti della storia dell’arte. Non c’è dubbio che essendo il progetto PIT-POP ispirato alla Pop Art, io abbia rivolto in primis la mia attenzione ad artisti come Roy Lichtenstein e Keith Haring. Questo però non vuol dire che i miei bordi spessi e neri siano riconducibili solo ad Haring. Quando studiavo storia dell’arte al liceo classico infatti, ero attratta anche dal segno deciso di Georges Rouault e Fernand Léger. Parliamo di artisti nati alla fine dell’800 e morti nei primi anni ’50 e che quindi non avevano nulla a che fare con l’arte Pop. Nonostante ciò, anche loro, mediante le opere selvagge del primo e l’uso dei colori primari e delle sagome nere nelle opere più tarde del secondo, hanno influenzato la mia formazione. Sicuramente quindi, questi due artisti, oltre a quelli prima citati, hanno lasciato un segno in me che si è sedimentato nel tempo ed è tornato a galla nel momento in cui provavo, sperimentavo e ricercavo uno stile che poi ha dato vita a PIT-POP.
- CV – Mi permetto di rilevare comunque una contraddizione : agli esordi, sei passata dalla pubblicità all’arte per godere di maggiore libertà ; non ti pare che decidere poi di decorare prodotti di consumo, e stare quindi in un mercato altamente condizionato da prezzi e fogge è come tornare ad essere creativamente ingabbiata?
AT – Questo potrebbe accadere perchè il prodotto di design aderisce quasi sempre alle mode . Io però, cerco di tenere fede al mio stile Pop senza subire troppo il richiamo delle tendenze correnti. Ciò che disegno è prima di ogni cosa arte, ed è appunto il mio stile e il mio messaggio che voglio veicolare, prima ancora che rendere appetibile l’oggetto d’uso quotidiano.
- CV – Prima di Pit-Pop come si svolgeva la tua attività artistica?
AT – Prima di fondare PIT-POP avevo un’altra partita IVA con cui mi occupavo di grafica e comunicazione, ma parallelamente al lavoro di grafica pubblicitaria disegnavo soggetti e situazioni che poi avrebbero fatto parte delle produzioni di PIT-POP.
- CV – So che produci ancora opere uniche, per lo più quadri, su commissione. Ti capita anche di lavorare spontaneamente, senza committenza?
AT – Si, disegno sempre, appena ho tempo ; è ciò che più mi piace.
- CV – Ti avvali ancora della collaborazione delle gallerie?
AT – No, sarebbe difficile vivere di sola arte, se non si è artisti più che affermati, dando l’esclusiva ad una sola galleria.
- CV – Allarghiamo la conversazione a temi generali. Perché la Pop Art e non l’Espressionismo astratto ad esempio?
AT – Perché della Pop Art mi è sempre piaciuto il messaggio chiaro e popolare, se vogliamo “democratico”, con un linguaggio che anche grazie alla ritrovata forma figurativa, parla a tutti, non solo a un’élite di pochi iniziati. Dopo tanta avanguardia di indubbio valore artistico, ma anche incomprensibile ai più, tornava la figura accompagnata da un messaggio di facile recepimento, un’arte che traeva ispirazione dal comportamento della massa, dal popolo, partendo dal basso…insomma, era “popolare”.
- CV – Possiamo ritenere che iniziative come quelle di Claes Oldenburg e Keith Haring che aprirono rispettivamente “The Store” nel 1961 e “Pop Shop nel 1986 costituiscano un precedente di ciò che fai tu ora?
AT – Assolutamente si, il mio sogno era proprio di realizzare qualcosa di simile, ma ricontestualizzato, moderno ; uno shop online.
- CV – Ho affrontato varie volte un quesito spinoso riguardo alla Pop Art senza venirne a capo. Approfitto di te, per approfondire e cercare di mettere un punto fermo alla questione : la Pop Art, è stata una stagione che ha promosso la società dei consumi oppure l’ha osteggiata? Capisco di porre la domanda in termini semplici, ma iniziamo da qui.
AT – Io credo che la Pop Art come tutte le correnti artistiche abbia raccontato il suo tempo. E credo anche che l’abbia fatto stando a metà strada tra la critica alla società dei consumi e l’esaltazione della stessa. In fondo gli artisti Pop erano dentro a quel cambiamento epocale e per quanto potessero trovarlo criticabile, essi stessi lo vivevano quotidianamente in prima persona da protagonisti.
- CV – Dopo aver esaminato accuratamente la figura di Warhol, sono arrivato alla conclusione che il suo spirito accentratore, fosse fortemente lusingato dall’attenzione prestata alla sua vicenda dai media e che egli piegasse ai suoi interessi tale attenzione. Insomma, per farla breve, lo muoveva di più la determinazione ad entrare nei libri di storia, ad essere eternamente famoso o ad arricchirsi?
AT – Sul primo quesito sinceramente non saprei esprimermi. Mentre invece per quanto riguarda la fama ( per la quale aveva una vera e propria ossessione) e la ricchezza penso che le abbia fortemente volute e sapientemente realizzate; al riguardo cito due sue frasi celebri : “Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per 15 minuti” e “Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business”.
- CV – Quale è stata a tuo avviso la figura che più delle altre permise alla Pop Art di travalicare i confini del mondo dell’Arte e diventare un fenomeno di costume?
AT – Indubbiamente Warhol, anche se ho sempre trovato geniale il messaggio di Claes Oldenburg.
- CV – E perché un movimento nato in Gran Bretagna ( Eduardo Paolozzi e George Hamilton), è sempre stato identificato come un prodotto originato dalla cultura USA.
AT – In Gran Bretagna ci furono solo le prime “avvisaglie” di Pop Art, mentre negli USA il concetto di “Popular Art” ha trovato terreno molto più fertile, perché in un territorio vasto e pieno di opportunità come quello Americano, tutto è stato amplificato, tutto è stato possibile più che in ogni altra parte del mondo, soprattutto con quella intensità.
- CV – Ti faccio una domanda per introdurre un altro tema…vado? Non ti pare una contraddizione che le opere Pop ( Popular Art) hanno contribuito in modo determinante a dare il via al mercato delle supervalutazioni che conosciamo oggi?
AT – Non credo sia una contraddizione, perché è ovvio che più un’opera è universale, popolare appunto, più si sfrutta tale caratteristica di comunicabilità col fine di trarre il maggior beneficio in termini economici. Diciamo che la Pop Art, in un certo qual senso si iper pubblicizzava attraverso le vicende dei suoi artisti ( soprattutto Warhol), ricevendone in cambio una enorme risonanza mondiale che favoriva il valore pecuniario delle opere in questione. Oggi, tanto per fare un parallelo, lo vediamo con i famosi “influencer” : se spinti da loro sui social, anche i prodotti di un brand che obiettivamente non vale molto, possono andare a ruba.
- CV – In generale, che tipo di anomalie rilevi nel mercato dell’arte contemporanea?
AT – Sistema chiuso, autoreferenzialità e sopravvalutazione di certi artisti.
- CV – Ritieni che tale sistema sia ispirato a regole democratiche, ovvero permette a tutti di potervi accedere, fermo restando il presupposto del talento come dato imprescindibile?
AT – Io noto che in molti casi, vengono osannati artisti che messi a confronto con outsider, risultano sotto l’aspetto puramente artistico inferiori a questi ultimi. Inoltre risulta difficilissimo entrare ed emergere nel sistema dell’arte poiché è un ambiente privilegiato, ragion per cui, chi già ne fa parte non ammette “intrusioni”. Non voglio dire che sia impossibile affermarsi, ma che l’ambiente sia un po’ chiuso e poco meritocratico questo sicuramente risponde al vero.
- CV – Non pensi che il tanto vituperato “messaggio” che l’opera d’arte in epoche precedenti ha sempre veicolato, ma di cui ai nostri giorni si sono un po’ perse le tracce, dovrebbe di nuovo costituire uno degli elementi principali al fine di per la valutare un’opera d’arte?
AT – Certo, assolutamente si. C’è bisogno principalmente di maggiore distanza dal sistema, e quindi circuiti artistici indipendenti, curati da giovani competenti per promuovere gli artisti sconosciuti, che però hanno qualcosa di veramente importante da dire e che non lancino solamente messaggi “omologati” alla visione istituzionale vigente.
- CV: Vediamo che oggi il concetto di “novità” è sempre più ricorrente e ha assunto quasi universalmente una valenza positiva. A tuo modo di vedere, questa cosa può valere anche per l’arte?
AT: L’arte, quando è ben fatta è sempre una novità; in questo caso la parola ha per me una valenza positiva. Se invece novità, significa che il mercato chiede continuamente “altro” perché bisogna stimolare artificialmente e ad ogni costo il sistema della compravendita seguendo forzatamente le tendenze, allora per me il significato diventa negativo.
- CV: Cosa ti suggerisce la parola modernità? E’ un termine sempre coniugabile con positività?
AT: Non credo. Infatti non è detto che ciò che sia moderno sia necessariamente qualcosa di positivo e interessante.
- CV: Parliamo un po’ della tecnologia applicata alla produzione artistica, di cui tu ( possiamo dirlo) sei una precorritrice. Ecco, la domanda è : c’è un depotenziamento dell’immaginario da cui l’artista trae le fonti della propria ispirazione con il continuo ricorso ad essa?
AT: Assolutamente no. Nel mio caso specifico, che mi vede utilizzare tutti i giorni il pc, essa costituisce solo uno strumento che al massimo può velocizzare il processo realizzativo. Fatto sta, che per ciò che conta veramente, ovvero per l’innesco creativo, se non hai le idee, non esiste tecnologia che le possa produrre al tuo posto. Neanche l’intelligenza artificiale di cui si parla tanto lo può fare.
- CV: Ti ho posto questa domanda perché sono convinto , che in linea generale, la tecnologia non sia sempre volta ad agevolare le nostre esistenze. Naturalmente come tutte le cose, dipende dall’utilizzo che se ne fa. Però io vedo un’adesione collettiva acritica, anzi, quasi fanatica nel consenso alla digitalizzazione. Qual è il tuo parere al riguardo?
AT: Penso che in effetti per “proteggerci” dai danni ( disturbi dell’attenzione, mancata percezione della realtà circostante, ecc) che possono derivare dall’uso smodato che si fa della tecnologia, specialmente degli smartphone, dovremmo dare più spazio al libero pensiero e alla creatività in tutte le sue forme, sia artistiche che di altro genere. Tornare anche a trovare il piacere del contatto sia fisico che mentale con gli altri, potrebbe essere utile.
- CV: Non scorgiamo all’orizzonte i prodromi di una tecnocrazia annichilente dello spirito umano ?
AT: Non credo, ma questo, come dicevo prima, dipende da noi e dagli strumenti culturali che abbiamo a disposizione e che siamo disposti a mettere in campo.
- CV: L’epoca postmoderna propone scenari in cui l’uomo vede mortificate le sue peculiarità caratteriali e sociali con modi di fare e di pensare standardizzati. L’arte può essere uno dei rimedi?
AT: L’arte “deve” essere sempre un rimedio a tutto ciò che è omologazione al sistema e assenza del pensiero critico.
- CV: L’artista è sempre stato identificato nell’immaginario collettivo come il massimo detentore della libertà individuale; ciò corrisponde ancora al vero?
AT: Se l’artista lo vuole davvero, ed è anche disposto a pagare pegno, io credo di sì.
- CV: La pratica artistica e la fruizione dell’arte, possono essere parte integrante di un processo di rivitalizzazione del libero arbitrio?
AT: Certamente. L’arte deve sempre avere una sua funzione sociale, deve sempre essere dalla parte di chi vuole essere libero e non asservito ad un sistema. Essa può contribuire all’emancipazione dell’individuo da un punto di vista sociale, e in conseguenza di ciò, grazie ad una nuova consapevolezza, anche politico ed economico. L’arte deve sempre smuovere le coscienze. Le persone libere e creative hanno cambiato il mondo.