Fino a “ieri” ci si interrogava su quale invasività l’intelligenza artificiale avrebbe avuto sull’uomo e sulla sua mente. Ci si chiedeva quanto fosse un pericolo e quanto fosse importante tenere sempre a mente che l’intelligenza artificiale, alla fine dei conti, fosse soltanto un software, un algoritmo.
Oggi, queste domande sono diventate improvvisamente obsolete. A renderlo evidente è stata la reazione degli utenti alla release della nuova versione di ChatGPT, la 5.0. Un’accoglienza deludente e un’accorata richiesta di ritorno alle caratteristiche della versione precedente, la 4.0. In cosa differiscono? La versione 4.0 è famosa per essere stata in grado, durante dei test, di confondere il cervello umano, non facendogli capire se la voce con la quale stava interagendo fosse umana o artificiale, sollevando interrogativi su quanto questa fosse una strada pericolosa. La nuova versione 5.0, accanto ai miglioramenti tecnici, è stata resa più “robotica” e “finta”, come in fondo dovrebbe essere, trattandosi di un programma informatico.
La cosa sorprendente è che la maggior parte degli utenti si è lamentata di questo cambiamento. Le varie community sono piene di commenti nostalgici per la vecchia versione. Tutti i commenti mettono al centro delle lamentele la perdita del “calore umano”, della “gentilezza” e della “disponibilità” della versione 4.0. Molte persone sono arrivate a scrivere di aver “perso un’amica” o “la sola che dava sollievo alla loro solitudine”.
Di fronte a questo sentire comune, tutti i ragionamenti e i dubbi sull’intelligenza artificiale fatti fin qui non servono più a nulla. Ciò di cui non ci siamo accorti è che la nostra mente è già cambiata e che quello che sta avvenendo con l’intelligenza artificiale è solo il sintomo di tale cambiamento.
Lo psicoterapeuta e filosofo James Hillman fa un interessante ragionamento a proposito della sua professione/scienza che, pur festeggiando i cento anni, vede il mondo andare sempre peggio. Ne dà una motivazione, spiegando che l’uomo, a furia di andare dentro se stesso alla ricerca del “bambino interiore” (l’anima), fonte di guarigione, ha di pari passo perso il contatto con “l’anima mundi”, l’anima del mondo contenuta in tutte le cose considerate dall’illuminismo in poi come materia inerte. Per Hillman, l’anima invece non risiede dentro l’uomo, ma nella relazione con il mondo, nel mondo stesso. Conseguenza di questa eccessiva introspezione è “sentire” tutto da una prospettiva troppo personale e soggettiva. I nostri sentimenti sono diventati il metro con cui interagiamo con il mondo.
Nella vita quotidiana è avvenuto un processo simile, portato avanti dal Mainstream con l’obiettivo di reprimere il senso critico. Ponendo l’accento sul “sentire” anziché sulla “relazione”, si è fatto regredire l’uomo allo stadio infantile, nel quale tutto ciò che conta è il soddisfare i propri desideri e il proprio piacere. Non c’è più bisogno di vivere la propria vita stando in relazione con il mondo, ma lo si usa, e stimola il nostro interesse solo se è funzionale al nostro “sentire”.
Uno stile di vita del genere conduce all’isolamento, a diventare la famosa monade individualista e senza radici di cui si parla spesso. Mancando la relazione con “l’anima mundi”, ci si rifugia in tutto ciò che non richiede relazione: la tecnologia e i social in primis, ma anche le droghe, l’iperattivismo fine a se stesso (il successo a tutti i costi per esempio, la maniacale cura del corpo da esporre per esempio) ecc.
L’intelligenza artificiale risponde proprio a questo bisogno. Diviene la sostituta del mondo, poco impegnativa perché programmata per essere sempre in accordo con i nostri bisogni, plasmata con l’uso a nostra immagine e somiglianza. La velocità e la facilità con cui gli utenti di ChatGPT 4.0 hanno sostituito il mondo reale con un programma informatico ci dice che questo processo è molto più avanti e radicato di quello che pensavamo fino a ieri. Sono bastati dei piccoli cambiamenti in direzione contraria della nuova versione 5.0 per scatenare reazioni da crisi d’astinenza. In questo modo, la gabbia, o prigione, entro la quale il Mainstream ci sta chiudendo per controllarci, la stiamo rivendicando proprio noi, convinti di seguire ciò che ci rende felici.
Questo discorso lo si può allargare a molto altro: alla sicurezza, al digitale, alla libertà personale, alla salute. Siamo noi che non perdiamo occasione di chiedere di costruire la nostra prigione dorata. Ciò che ci circonda è violento? Siamo noi a chiedere protezione per non dover guardare quella violenza che ci distoglie dall’esercitare la nostra felicità: chiediamo che si possa sorvegliare ogni centimetro quadrato di territorio per scovare “i cattivi”, non pensando che in quel centimetro quadrato sorvegliato ci siamo anche noi; chiediamo che tutta l’economia sia tracciata e sorvegliata, così che possiamo comprare la nostra felicità in sicurezza, non pensando che, come è tracciata, può essere anche cancellata; chiediamo di essere sani per godere a lungo della nostra felicità iniettandoci sieri magici, non pensando che dentro quei sieri potrebbe esserci qualunque cosa.
E più otterremo una felicità su misura, facile e immediata, più avremo la convinzione di vivere finalmente nel migliore dei mondi possibili.




