Nel cuore della strategia israeliana si cela una dottrina che grida vendetta contro la ragione e contro l’umanità: l’Opzione Sansone, una minaccia nucleare che promette di trascinare il mondo nel baratro se Israele dovesse mai sentirsi in pericolo.
Come il Sansone biblico che, accecato e umiliato, abbatté il tempio uccidendo sé stesso e i suoi nemici, così il regime sionista brandisce l’arma atomica come strumento di ritorsione assoluta. Non difesa, ma annientamento. Non deterrenza, ma ricatto globale.
L’Opzione Sansone è stata descritta e documentata da Seymour Hersh nel suo libro The Samson Option: Israel’s Nuclear Arsenal and American Foreign Policy, pubblicato nel 1991. Hersh è uno dei più noti giornalisti investigativi americani, vincitore del Premio Pulitzer, nato a Chicago nel 1937 da una famiglia ebraica di lingua yiddish: il padre immigrato dalla Lituania, la madre dalla Polonia. Cresciuto in un ambiente modesto, Hersh ha dedicato la sua carriera a smascherare le menzogne del potere, anche quando riguardano la sua stessa comunità d’origine. Nel libro, egli documenta come la strategia di ritorsione nucleare totale sia stata concepita negli anni ’60 da leader israeliani come Ben Gurion, Peres e Dayan. Secondo Avner Cohen, storico israelo-americano, Israele ha deliberatamente mantenuto una politica di ambiguità nucleare, ma ha sempre fatto trapelare la possibilità di un uso apocalittico delle armi atomiche in caso di minaccia esistenziale.
Già nel 1973, durante la guerra dello Yom Kippur, Israele mise in allerta tredici bombe atomiche. Secondo lo storico Martin van Creveld, Israele possiede centinaia di testate e può colpire “tutte le capitali europee… persino Roma”. Il messaggio è chiaro: se Israele affonda, il mondo affonda con lui.
Questa strategia non è difesa. È follia istituzionalizzata. È la logica del cane rabbioso, come disse Moshe Dayan: troppo pericoloso per essere disturbato.
E mentre il mondo tace, mentre i media distolgono lo sguardo, il regime sionista continua a costruire arsenali, a opprimere un popolo, e a minacciare l’equilibrio globale.
John F. Kennedy lo aveva capito. Cercò di fermare il programma nucleare israeliano, chiedendo ispezioni e trasparenza. Ma la sua voce fu zittita nel sangue. Dopo il suo assassinio, il progetto proseguì indisturbato. Un monito tragico su quanto costi opporsi alla follia.
Contro la logica del suicidio collettivo, invochiamo la giustizia. Non c’è sicurezza nella distruzione. Non c’è pace nella minaccia. L’umanità deve risvegliarsi e dire no a chi brandisce l’apocalisse come scudo.




