Sorvegliare e punire di Michel Foucault, libro fondamentale per comprendere I meccanismi che realizzano la crudeltà del potere, analizza la nascita della prigione, mostrando come il sistema punitivo sia passato da una forma di potere basata sul supplizio e la spettacolarizzazione della pena, a un sistema di sorveglianza e disciplina pervasivo, che addestra e normalizza gli individui attraverso il controllo dei corpi. Quello che viviamo oggi. Le tecnologie del potere si manifestano nelle scuole, nelle fabbriche, negli ospedali, nelle strade. Assistiamo alla creazione di forme raffinate di disciplina e punizione, che toccano capillarmente il corpo e la vita di ogni persona: la disciplina crea ‘corpi docili’, corpi funzionali in fabbrica, negli eserciti, nelle classi scolastiche, nelle Università. La disciplina genera una nuova economia ed una nuova politica dei corpi, attraverso l’osservazione ed il controllo. È una disciplina delle individualità che controlla la distribuzione spaziale dei corpi, in tutti i momenti della vita. Il Panopticon, nell’analisi di Foucault, diventa metafora ed incubo dell’ascolto-sorveglianza, incarnazione di una moderna istituzione disciplinare. Il recluso/sorvegliato non può mai sapere quando (e se) effettivamente è sorvegliato.
Mi è sembrato indispensabile citare Foucault e la sua analisi di sorveglianza e punizione per tornare a parlare di qualcosa che è passato sulle nostre teste e di cui non si parla più, non si parla abbastanza. Parliamo dell’articolo 31 del decreto sicurezza, secondo il quale i governi potranno autorizzare i servizi segreti a costituire, promuovere e dirigere una associazione terroristica. Sconcerta il silenzio sceso su questa norma aberrante che sovverte i principi stessi di una pur discutibile democrazia. Avremmo dovuto parlarne ogni giorno: parlarne anche in relazione alle recenti manifestazioni a Roma, Milano e in tutt’Italia per Gaza e alle conseguenti lamentazioni mainstream sulla ‘violenza della piazza’.
Facciamo un passo indietro: il ddl 16/60, approvato dalla Camera a settembre 2024, uno dei più forti attacchi mai visti contro libertà di protesta, introduce 30 nuovi reati, aggravanti e ampliamenti di pena, introduce una logica di sicurezza basata su proibizioni, punizioni e repressione del dissenso, superando anche i diritti alla privacy e veicolando l’idea che le manifestazioni di protesta siano qualcosa di sovversivo da reprimere. Nella generale aberrazione del decreto c’è però un punto più aberrante di tutte le altre norme, pur aberranti. Parliamo dell’articolo 31 del ddl che prevede che “le pubbliche amministrazioni e i soggetti che erogano servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al Dis, all’Aise e all’Aisi collaborazione e assistenza necessarie per la tutela della sicurezza nazionale”. E ancora, che i servizi segreti “possono stipulare convenzioni con questi soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza”.
Non so se ci rendiamo conto di quello che significa e di quello che già sta accadendo: si viola l’inviolabile libertà delle Università decretando che studenti e docenti che facciano attività politica, o appartengano ad un movimento politico, ad un’attività politica ‘pericolosa’, ad un’associazione considerate ‘sovversiva’, dovranno essere segnalati dall’Università stessa su richiesta dei Servizi.
Come scrive La legge per tutti, “… prima questi organi di tutela della sicurezza nazionale potevano chiedere informazioni riservate agli Atenei sugli studenti iscritti, nonché sui docenti, ma le Università potevano opporre i motivi di privacy (e anche l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali era intervenuta più volte per limitare queste richieste di accesso”. Il pericolo evidente è quello di trasformare rettori e organismi di ricerca in informatori segreti, schedando ricercatori e studenti: la ‘sicurezza’ giustifica tutto! La cosiddetta “sicurezza nazionale” diventa più importante della protezione di dati sensibili come le opinioni politiche e il diritto di associazione. Oltre alle università, questo meccanismo perverso riguarda tutte le Pubbliche Amministrazioni e permette agli organi investigativi, attraverso apposite convenzioni, di accedere alle banche dati e ai fascicoli informatizzati che contengono le informazioni sul personale dipendente o sugli studenti iscritti alle Università. Per questa ragione gli Enti Pubblici o le Università non potranno opporre “il diniego a fornire le informazioni in base alla normativa sulla riservatezza dei dati personali, neppure quando si tratta di dati sensibili, la cui divulgazione o diffusione altrimenti costituirebbe reato”.
In nome di un arbitrario rafforzamento delle misure di controllo e prevenzione in relazione a terrorismo e sovversione, si giustifica l’ampliamento delle prerogative dei servizi segreti all’interno dell’Università, da sempre collegata alla libertà di pensiero e alla ricerca. Stiamo tornando alle leggi speciali? Qualsiasi lezione o argomento considerato “pericoloso” dai servizi segreti potrà condurre ad una segnalazione alle autorità, con conseguenti ripercussioni disciplinari per gli insegnanti o gli studenti coinvolti, monitoraggio delle proprie opinioni politiche, dei contenuti delle proprie ricerche e attività accademica, è un attacco gravissimo all’autonomia dell’insegnamento universitario. I servizi segreti possono accedere indiscriminatamente ai dati sensibili, come le affiliazioni politiche o le opinioni personali degli accademici e degli studenti. La libera espressione stessa è messa in discussione e ogni posizione considerate ‘sovversiva’ viene vista come una minaccia all’ordine costituito. L’articolo 31 del decreto concede
E sulle altre norme introdotte, ricordiamo sommariamente che viene introdotto il reato di lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale, con l’arresto in flagranza, previsto il riconoscimento di un beneficio economico, fino a 10mila euro, per le spese legali sostenute da agenti indagati o imputati per abusi commessi durante il servizio. Il decreto prevede un vera e propria stretta penale, in primis per le persone rom, poi inasprisce le pene per chi impiega minori nell’accattonaggio, che ora possono arrivare fino a cinque anni di reclusione, rende facoltativo – e non più obbligatorio – il rinvio della pena per le persone condannate che sono incinta o che hanno bambini più piccoli di un anno. In sostanza, anche loro potranno finire negli Istituti a custodia attenuata per le detenute madri (Icam, che sono soltanto quattro in Italia); sono inasprite le pene (fino a cinque anni di carcere) per il reato di danneggiamento se avvenuto in manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico. In questi casi è anche previsto l’arresto in flagranza differita; il blocco stradale, finora illecito amministrativo, diventa un reato punito con un mese di carcere e una multa fino a 300 euro. La pena può però arrivare fino a sei anni di reclusione se il blocco è commesso da più persone nel corso di una manifestazione. È stato inoltre mantenuto il contestatissimo principio della punibilità della resistenza passiva, cosiddetta “norma anti-Gandhi”; si introduce il reato di ‘rivolta carceraria’: sarà punito sia chi commette atti violenti o minacce all’interno di un carcere, sia chi resiste passivamente e si limita non eseguire gli ordini impartiti “per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza”. La norma si applica anche nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr).
E così via…. l’aberrante “decreto sicurezza” limita il dissenso e pone l’accento sull’autorità e sulla repressione piuttosto che sulla libertà e sui diritti: è la realizzazione del “sorvegliare e punire”.
Abbiamo superato anche il Panopticon, diagramma di un meccanismo di potere nella sua forma ideale”, vediamo realizzarsi una tecnologia della repressione che ha come finalità quella di massimizzare la docilità e l’utilità degli individui, controllare la mente e il corpo, arrivare ad un’autodisciplina interiorizzata e al terrore generalizzato. Non permettiamolo.




