Nella Siria del governo di al-Sharaʿ, l’attacco israeliano a Damasco e gli scontri che hanno colpito Alewiti e Drusi inducono a considerare che, per risolvere i problemi, non bastano le sole valutazioni strategiche, ma è necessaria una conoscenza delle origini e del ruolo dei vari gruppi etnico-religiosi storici.
In Medio Oriente infatti, oltre alle principali popolazioni arabe, turche e persiane, vi sono numerose minoranze: Curdi, Assiri, Alewiti, Circassi, Turcomanni, Drusi, Yazidi. Sconfitto l’Impero Ottomano, il colonialismo ha tracciato e imposto confini artificiali con l’accordo Sykes-Picot (1916) tra Gran Bretagna e Francia, condannando questi popoli a vivere in comunità non riconosciute e separate tra vari Stati. Ad esempio coloro che professano lo Yazidismo, circa 250.000 individui, vivono in Iraq, Turchia, Armenia , Georgia e Siria e hanno subito sanguinose persecuzioni da parte di gruppi Jadisti. In Israele la comunità drusa abbastanza numerosa è considerata dal governo come l’etnia più vicina a quella ebraica. I Drusi siriani, che hanno sempre mantenuto una notevole autonomia, ora temono di perderla. Per fare un altro esempio, in Iraq esistono confessioni diverse al di fuori dell’Islam – Caldei, Siriaci, Armeni, Assiri, Arabi-cristiani – e tutti, senza esclusione, ambiscono al riconoscimento delle loro tradizioni.
L’Occidente giudica e interviene con soli obiettivi strategici di proprio immediato vantaggio economico, ma senza cognizione di causa, dimostrando un’ignoranza colpevole che genera e costruisce pregiudizi presso l’opinione pubblica. Infatti ben poco interessano le appartenenze e tradizioni storiche delle varie etnie, ma si guarda ai molti gruppi di minoranza (spesso classificandoli in modo pilatesco “tribali”) come a fanatici irrisolti, pronti a fare i mercenari cambiando bandiera, quando non semplicemente etichettandoli come “terroristi”. L’errore dell’Occidente sta nel non comprendere che popoli divisi, vittime di persecuzioni e violenze, tendono proprio ad insistere sull’ affermazione identitaria che aumenti la loro coesione.
Sui Drusi (in arabo Durūz / Al-Darazı ̄) presenti in Siria, Libano e Israele, ora si gioca la nuova instabilità della Siria e apprendiamo che sono armati da Israele e addirittura riservisti dell’IDF. Ma gli strateghi occidentali non si preoccupano delle loro origini e dei motivi che li rendono alleati e strumento di Israele.
Dal punto di vista politico, sotto dominazione turco-ottomana, i Drusi libanesi vissero in accordo con i cristiani maroniti e la protezione francese; nel 1842 iniziarono le persecuzioni e la maggior parte di loro lasciò il Libano per rifugiarsi in Siria dove ottennero una quasi indipendenza sotto mandato francese. Quando si ribellarono alla potenza mandataria ci fu una sanguinosa repressione. Il periodo migliore per i Drusi siriani è stato proprio il periodo dei due Assad, padre e figlio, e così si spiega perché ancora 10 anni fa le minoranze della Siria – Alawiti, Cristiani, Drusi – erano terrorizzate che il crollo di Bashar al Assad avrebbe favorito il potere dei fondamentalisti sunniti e le pressanti interferenze di Israele. L’esempio dei confinanti Libano ed Iraq e l’evoluzione delle rivoluzioni in Tunisia, Egitto e Libia era allora una forte preoccupazione per tutte le minoranze.
Ai tempi di Hafez Assad padre ebbi modo di conoscere l’area di Al Suweyda, delle città nabatee, dell’antica Bosra e di Filippopoli (Shahba), dove le rovine erano abitate da Drusi e le case erano in basalto nero. Allora i Drusi di Siria abitanti del Golan apparivano emarginati, considerati pezzenti, e già erano sospetti per il legame con Israele, infatti fornivano servizi di sorveglianza sul passaggio delle merci (ortaggi, frutta e droga) che dalla Turchia transitavano verso Israele. Però godevano di una certa autonomia e inviavano propri rappresentanti al Parlamento nazionale siriano.
Scavando nel passato, la prima testimonianza non araba sulla comunità drusa in Libano è del viaggiatore ebreo Beniamino di Tudela1 che nel 1167 scriveva: “A dieci miglia di distanza (da Sidone) vivono delle genti, chiamate drusi, che sono in guerra con gli abitanti della città; sono pagani e non conoscono leggi. Abitano sulle montagne e nelle fenditure delle rocce; non hanno re né alcuno che li governi, ma vivono indipendenti; i loro confini arrivano al Monte Hermon…”
La setta etnico-religiosa drusa, nata in Egitto nell’11° secolo, fin dalle origini sciite ismailite accolse elementi di ebraismo, induismo e cristianesimo. Oggi ha preso definitivamente distanza dall’Islam. I Drusi, considerati eretici o infedeli dai musulmani sunniti, sono stati oggetto di persecuzioni già a partire dal regno del figlio del fondatore, il sesto califfo ismailita fatimide2 Al-Ḥākim bi-Amr Allāh regnante dal 996 al 1021, ricordato per le riforme religiose e le persecuzioni contro ebrei e cristiani. Dal 1043 è stata dichiarata chiusa la “porta dell’adesione“, quindi solo chi è figlio di Drusi può essere considerato parte della setta.
La dottrina, conosciuta da un 20% della popolazione drusa e cioè dagli “intelligenti”3, sostiene che lo spirito divino si è manifestato in forme umane, da Adamo al califfo fondatore Al-Ḥākim; che dalla divinità emanano cinque “ministri“ (Intelletto attivo – Aql, Anima, Verbo, Precedente, Seguente) incarnati in vari personaggi biblici e islamici e nei fondatori della setta. Altro fondamento dottrinale è la trasmigrazione delle anime dopo la morte, inoltre è praticato uno spiccato esoterismo che viene rivelato da un maestro di grado superiore solo a chi sia ritenuto degno. I testi sacri dei Drusi sono il Corano, Kitab Al Hikma (il “libro della saggezza” un corpus di testi della fede drusa), la Bibbia, le opere di Platone e dei filosofi influenzati da Socrate. In realtà è tutto molto “oscuro”: non si conosce la liturgia drusa, né sono testimoniati edifici religiosi: una segretezza che sembra funzionale ad evitare ingerenze coloniali e ulteriori persecuzioni.
Oggi per noi il problema è ridotto al ridicolo di individuare – tra Drusi siriani e Drusi israeliani – chi sono i buoni e chi sono i cattivi… quando invece sarebbe più importante cercar di capire chi strumentalizza chi, perché e per quali fini.




