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      • PENSARE L’IMPENSABILE

      PENSARE L’IMPENSABILE

      Siamo nel 1788, è estate, due contadini stanno zappando in un campo nella campagna francese.
      Sulla strada che corre vicino al campo, spunta dalla polvere sollevata dagli zoccoli dei cavalli, una bella carrozza, che si ferma poco lontano da loro.
      Da essa scende un signorotto, di buone maniere e ben vestito che li chiama a sè. I due si avvicinano con fare riverente, come si deve a chi è di ceto superiore, inchinandosi e scappellandosi. Il signore a quel punto chiede loro: “ma sapete voi che a partire dall’anno prossimo e per i secoli a venire, voi sarete liberi, io e voi saremo uguali, noi avremo gli stessi diritti e gli stessi doveri e potremo chiamarci tra noi, fratelli?” I due lo guardano con fare dubbioso, chiedendosi, ma senza esprimerlo, che sorta di trucco possa essere quello del signore. “Come Voi più gradite mio signore“, risponde uno dei due inchinandosi con una riverenza. Il giovin signore gira loro le spalle e senza dire altro risale in carrozza e si allontana.
      i due tornano a lavorare, come sempre hanno fatto nella loro vita e così i loro avi, per generazioni hanno fatto da sempre. Ma una volta che il signore è giunto a distanza di sicurezza, scoppiano in una risata fragorosa: “sono pazzi questi ricchi, anzi più sono ricchi e più sono pazzi!! l’avesse sentita mio nonno una baggianata simile!!”

      Nel 1789 scoppia la Rivoluzione Francese, il Re più Re di tutti, Luigi XVI viene decapitato, la monarchia crolla, “Libertè Fraternitè, Egalitè” è il nuovo motto della Nazione. Di lì a venti anni lo sarà di tutta l’Europa.

      Questa immaginifica scenetta non si è mai, chiaramente, verificata ma serve a introdurre il tema di questo articolo con una domanda: quanto siamo disposti a “pensare l’impensabile“?

      L’epoca in cui viviamo ci sta abituando a continui cambiamenti, in particolare in termini tecnologici. Dopo un’iniziale inerzia all’inizio del millennio, internet si è diffusa in tutto il mondo, trasformandolo, creando le basi di successive evoluzioni tecnologiche sempre più profonde. Interi settori economici sono stati sconvolti dall’avvento del World Wide Web prima e dagli smartphone poi: l’industria del turismo, con la quasi sparizione delle agenzie di viaggio grazie ai siti per il turismo “fai da te”, il mondo della comunicazione, con le agenzie di stampa sostituite da Twitter, l’industria bancaria, con il trading online e la possibilità del remote banking che ha decimato gli sportelli fisici. E cosa dire del commercio tradizionale, minacciato prima e surclassato poi da quello elettronico, tanto che la sua azienda più nota, Amazon, ne è oggi un sinonimo e ha fatto del suo proprietario uno degli uomini più ricchi al mondo in meno di dieci anni?

       

      Oggi pensiamo ad ogni nuova evoluzione tecnologica (l’Intelligenza artificiale, su tutte), come qualcosa di ineluttabile, grazie anche all’enorme pressione mediatica che accompagna ogni novità.
      Cosa dire però della politica internazionale? Abbiamo la stessa capacità di accettare che qualcosa possa cambiare in maniera sconvolgente rispetto agli equilibri esistenti? In particolare parliamo dei BRICS e della possibilità che non solo aumentino di numero ma che in un futuro non troppo lontano possano emettere una loro moneta, alternativa al Dollaro e all’Euro, minacciando lo status internazionale di queste valute e con esso quello di USA ed Europa, leader mondiali da secoli. Il dominio occidentale sul mondo ha il suo inizio con le scoperte geografiche avvenute dal XV secolo in poi, scoperte che si sono tramutate in dominio prima e colonizzazione poi. Da quel momento gli europei sono usciti dalla loro area geografica originaria e si sono stanziati in altre aree del mondo (senza considerare qui le modalità con cui ciò è avvenuto), gettando le basi per la seguente affermazione come cultura dominante del mondo.

      In un incontro tra Xi jinping e Putin di qualche mese fa, il primo pare abbia ripetuto una frase (1), secondo il quale

      “ci sono decenni in cui non accade nulla: e ci sono settimane in cui accadono decenni”.

      Subito derubricata a mera propaganda, la frase lascia però intuire come i due leader abbiano rotto gli argini e si stiano liberando dalla briglia che la superpotenza globale americana, e la pluricentenaria espansione europea, avevano imposto loro nell’ultimo mezzo secolo (nel caso della Cina per quasi un secolo, ma altrettanto per la Russia se consideriamo il Marxismo un “prodotto” della cultura europea).
      Il termine BRICS è ormai vecchio di 20 anni, coniato da un economista di Goldman Sachs per usarlo in un “paper” sulla crescita di quelli che sino ad allora erano “paesi in via di sviluppo“. Negli anni è salito alla ribalta ed oggi se ne parla come di un possibile blocco alternativo a quello occidentale, in competizione con esso e con la possibilità di divenire il principale attore mondiale in termini politici ed economici.

      Il meeting di Johannesburg del gruppo dello scorso Agosto è stato preceduto dalle voci circa l’imminenza della nascita di una “moneta dei BRICS“, la cui realizzazione è oggettivamente difficle se la si intende simile all’euro, ovvero creata eliminando le monete nazionali, forse un pò meno se invece la si creasse per affiancare le monete dei singoli paesi (2).
      Le analisi apparse sui principali quotidiani occidentali, economici e non, tendono a sminuire la possibilità che questa operazione riesca o che addirittura il blocco BRICS possa arrivare a vedere la luce come un’entità reale ( e non solo come alleanza temporanea in ottica revisionista rispetto al modello occidentale).
      Ciononostante, durante l’incontro in Sudafrica, il gruppo ha proposto un suo futuro allargamento invitando altre sei Nazioni: Egitto, Argentina, Arabia Saudita, Iran, Etiopia e Emirati Arabi Uniti, a partire dal 1 Gennaio 2024, nell’anno in cui a presiedere il gruppo è la Russia.

       

      Tralasciando gli aspetti sopra descritti, soffermiamoci invece sulle implicazioni più ampie, primariamente di ordine culturale, che la riuscita di questo progetto porterebbe con sè.
      In quanto europei o loro discendenti (tale è la maggioranza degli abitanti di USA, Canada e Australia), siamo portati a pensare il mondo nei termini dell’Occidente Cristiano e ciò si manifesta in parecchi aspetti che diamo per scontati e fanno parte del nostro “senso comune“: le mappe geografiche a cui siamo abituati vedono sempre l’Europa o gli USA al centro, gli abiti utilizzati dai diplomatici e quelli che consideriamo eleganti (giacca e cravatta, per intenderci) sono derivati dalla sartoria inglese (3), la religione che consideriamo universale è il cristianesimo, i canoni di bellezza maschile e femminile derivano dall’immaginario greco classico e romano in prima istanza e dalle rappresentazioni nei quadri degli autori occidentali. Potremmo continuare dicendo che anche l’alfabeto che utilizziamo è prettamente occidentale (Latino, per essere precisi), la Storia e la sua interpretazione (così come la revisione storiografica) considerano l’Occidente come il suo motore, l’urbanistica e l’architettura che consideriamo bella e funzionale, i rapporti familiari (monogamici, più o meno patriarcali e patrilineari), la concezione del ruolo femminile nella società e quello della sessualità, la relazione con il passato ed i propri antenati o l’idea progressiva della Storia. Potremmo continuare ad elencare queste “banalità” per pagine e pagine, dandole per oggettive, ma così non è nel profondo delle culture che appartengono al “rest” (opposto al west, per Huntington), al mondo non occidentale (4).

      L’occidente ha creato la maggior parte del senso che il mondo considera (o che noi pensiamo debba essere) comune e la sua “egemonia culturale” (per dirla con Gramsci) lo mantiene in voga: le istituzioni che lo regolano (l’ONU e le sue agenzie, il FMI, la Banca Mondiale, la Corte Penale Internazionale, tra le altre), il sistema finanziario, i diritti umani che attualmente consideriamo “universali”, l’industria dei Media.

      Un mondo governato da una maggioranza politica ed economica (e per estensione, militare) non occidentale non avrebbe le stesse caratteristiche e la condizione degli occidentali potrebbe tramutarsi, in un secolo o forse anche meno, radicalmente.

      Un mondo in cui la concezione induista o musulmana della società, dei rapporti tra i suoi componenti, del concetto religioso e dell’escatologia (6), della sessualità, della Storia o della finanza, sarebbe un mondo a noi sconosciuto che ci trasformerebbe concettualmente (se non praticamente) da oppressori ed egemoni ad oppressi e marginalizzati.

      Lo stesso senso religioso, attualmente fondato sul monoteismo di stampo giudeo-cristiano-musulmano, potrebbe dover essere rivisto, alla luce della presenza di paesi politeisti (come l’India), atei e materialisti (come la Cina) o eventualmente buddisti (come una buona parte dei paesi asiatici).

      Facciamo alcuni esempi: l’India, sebbene venga definita la più grande democrazia del mondo, ha introdotto questo sistema di governo solo dopo la fine della colonizzazione inglese, ma il suo sostrato culturale è ancora dominato dal sistema delle caste che di democratico non ha nulla (5). Nel pensiero etico musulmano (ovvero conforme alla Sharia) il prestito ad interesse non è contemplato e gli investimenti devono essere socialmente responsabili , prevedere la compartecipazione al rischio ed essere Halal (ovvero leciti, quindi non interessare pratiche contrarie alla mirale islamica come pornografia, droghe, alcool armi e così via). Nella cultura tradizionale cinese, invero spazzata via dalla rivoluzione culturale di Mao, ma che rimane forte nella pratica del popolo non urbanizzato ( ma Pechino sta cercando di reintrodurre gradualmente il confucianesimo), il rispetto per gli anziani e gli antenati è molto sentito, così come la riprovazione sociale per chi non si sposa e non ha figli. Il senso comunitario russo è ancora forte nella cultura popolare, così come il senso di appartenenza alla patria. Il tribalismo resta una componente fondamentale nelle società africane, diverse delle quali hanno strutture sociali matrilineari e matriarcali (7).

      Non è oggetto di questo articolo elencare in dettaglio le differenze culturali, sociali, religiose e semiologiche tra l’occidente e il resto del mondo e come conciliarle tra loro.

      Il punto è sottolineare come si potrebbe arrivare, un giorno, a dover “pensare l’impensabile” almeno secondo tre accezioni:

      • immaginare qualcosa che non avevamo neanche immaginato che sarebbe potuto succedere (non tanto perchè incapaci di pensarlo, quanto per negazione della possibilità stessa di poterlo pensare)

       

      • abbandonare l’idea di essere il “primo mondo”, con tutto ciò che questo status comporta e rapportarsi pariteticamente con altre culture e civilizzazioni.

       

      • adottare concetti, pensieri, astrazioni e simboli che non sono propri della nostra cultura di base e quindi doverli includere nel “nostro” modo di pensare.

       

      La prima eventualità potrebbe presentarsi con l’affermazione di un gruppo BRICS++,ovvero non più di soli 5 paesi ma di 30 o più, nell’arco di un decennio o addirittura prima.
      La seconda ne sarebbe la conseguenza, che sia essa di relegarci al ruolo di “primus inter pares“, di “pari grado” o addirittura “sottomessi“.
      La terza potrebbe essere la scelta obbligata in un mondo non più plasmato a nostra immagine e somiglianza.

      Che si auspichi tutto ciò o lo si tema vale la pena di iniziare ad abituare la mente a “pensare l’impensabile”, iniziando ad ascoltare chi questo “impensabile” lo sta già descrivendo, in barba alla definizione stigmatizzante che si vede affibbiare, sia essa quella di “complottista“, “visionario“, “anti-occidentale” o semplicemente “pazzo“.

      In definitiva, “Stay foolish” (8) non vale solo per inventare un nuovo tipo di telefono.

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