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      • PONTE SULLO STRETTO: L’ENNESIMO “BANCOMAT” PER I NOSTRI OLIGARCHI!

      PONTE SULLO STRETTO: L’ENNESIMO “BANCOMAT” PER I NOSTRI OLIGARCHI!

      Solo pochi giorni fa, sul web, mi sono preso l’appellativo di greco-marxista!

      Io, che prima di approcciarmi allo studio della Modern Monetary Theory (MMT), mi sono sempre ritenuto un liberale convinto, di fronte a tale commento, devo dirvi la verità, ho provato un profondo sentimento di lusinga. Questo perché, attraverso la piena consapevolezza – raggiunta grazie al lavoro di Mosler e co. – di quello che è la moneta ed il corretto funzionamento dei sistemi economici moderni, oggi sono ben cosciente che il socialismo di Karl Marx è decisamente migliore per l’intera umanità rispetto all’attuale sistema guidato dalle idee neoliberal, totalmente distruttivo della vita.

      Per dirla in pochissime parole e con un esempio credo comprensibile a tutti:

      Con il socialismo di Karl Marx un pezzo di pane ci sarà sempre per chiunque, mentre con i dogmi neoliberisti che guidano l’attuale, finiremo tutti, prima o dopo, morenti sotto un ponte.

      Compreso questo concetto (almeno spero!), passare a parlare di opere pubbliche e monopoli di stato è una diretta conseguenza. E quindi l’annoso tema relativo al Ponte sullo Stretto per collegare la Sicilia al resto della penisola, si sposa perfettamente con il tema sempre verde della lotta tra socialismo e liberalismo.

      Sono anni che nel nostro paese si parla di questa imponente opera pubblica che eviterebbe a chi viaggia e commercia, le noiose perdite di tempo che caratterizzano il trasporto marittimo.

      Nel paese dove nei secoli passati sono state costruite opere gigantesche apprezzate ancora in tutto il mondo, senza doversi domandare se ci fossero o meno i soldi per realizzarle; nonostante i mezzi a disposizione e la tecnologia avanzata raggiunta nel terzo secolo dopo Cristo, oggi non siamo stati ancora in grado di realizzare questa opera.

      Nonostante un Colosseo e innumerevoli cattedrali sparse per il paese, costruiti a braccia e senza un “becco di quattrino”, in Italia siamo andati avanti per decenni chiedendosi dove avremmo trovato i soldi per costruire il Ponte sullo Stretto.

      Certo, in un sistema economico dove il denaro è stato fatto diventare merce rara e con la chiara intenzione, dei nostri potentati, di renderlo ben presto esaurito, l’interesse pubblico e le risorse (umane in primis) per realizzarlo passano in secondo piano rispetto a quello che è il desiderio preminente di accumulo di denaro da parte di pochi eletti.

      Ecco che, opere di interesse pubblico, facilmente realizzabili attraverso una semplice creazione di denaro da parte degli Stati – per di più fornendo lavoro ai molti che oggi nel nostro paese ne sono sprovvisti – vengono fatte apparire invece, come imprese titaniche equiparabili a scalare l’Everest scalzi e senza vestiti in pieno inverno.

      Finalmente, pare si sia trovata la quadratura economica all’interno dei quelli che sono gli interessi dei nostri moderni feudatari ormai digital, ed addirittura, qualora il ponte fosse realizzato, è già stata comunicata agli italiani quella che sarà la tassa da pagare per passarci sopra.

      E’ la relazione di aggiornamento, redatta dai professori della Bocconi Roberto Zucchetti e Oliviero Baccelli consegnata nel dicembre del 2023 a dirci che “Per le classi di pedaggio dei veicoli stradali in transito sul Ponte – si legge nell’analisi -, sulla base delle indicazioni provenienti dalle relazioni sugli scenari di traffico, si ipotizzano valori coincidenti con le classi tariffarie dei traghetti al 2023”.[1]

      Il pedaggio avrà un costo minimo di 32-36 euro!

      Ho parlato di “tassa”, equiparando il pedaggio ad un prelievo fiscale, questo perché dentro un sistema economico in stato recessivo stabile caratterizzato da deflazione salariale e calo dei profitti – come lo è il nostro ormai da decadi – ogni costo aggiuntivo per famiglie ed imprese equivale ad un prelievo fiscale e non al doveroso pagamento per utilizzare un servizio.

      E qui si pone il problema di che fine fanno questi soldi: denaro che di fatto come spiegato rappresenta una tassazione e quindi soldi pubblici. Essendo affidata la realizzazione e la successiva gestione di tali opere ad aziende giuridicamente private – seppur con partecipazione statale – la realtà vissuta in questi anni ci mostra che, tra privatizzazioni e gestione finanziaria di tali entità al di fuori di quella che è la funzione e l’interesse pubblico, di soldi al nostro Tesoro, alla fine dei conti, ne arrivano ben pochi. Non perché ne avrebbe bisogno per esigenze di finanza, ma perché sappiamo poi ne necessità in virtù della religiosa devozione ai dogmi imposti dalle regole europee, materializzatisi nel Patto di Stabilità.

      Ecco che la realizzazione e la futura gestione di queste opere, di fatto monopoli pubblici, non è certo mossa dall’intento di modernizzare il paese e rendere più agevole la vita agli italiani, ma è l’occasione per rimpinguare i portafogli di manager e oligarchie che poi sappiamo bene essere gli stessi che di fatto controllano le nostre istituzioni.

      Come già spiegato nell’articolo precedente, diventa secondario l’aspetto giuridico ricondotto alla proprietà di un asset, rispetto alla funzione pubblica, qualora questa venga onorata nella gestione dei suddetti monopoli.

      Purtroppo per noi, abdicare alla funzione pubblica, ormai è diventa la normalità dentro le aziende di Stato e le nostre istituzioni.

      Proseguendo nel ragionamento, si lasciano gli italiani privi di opere essenziali, proprio perché ai governi viene impedito di creare quella stessa moneta che poi viene concesso creare al sistema bancario, quando si decide realizzarle.

      Intendiamoci, non è che sono contrario al credito bancario, che di contro, ritengo essenziale per una crescita generalizzata del benessere di un paese, purché ricondotto alla sua funzione pubblica, con tassi di banca centrale a zero e la garanzia illimitata da parte del monopolista della valuta sui depositi che con esso (il credito,ndr) si creano.

      Ma quando si tratta di opere pubbliche, a maggior ragione consistenti in monopoli di fatto, la loro realizzazione e la conseguente gestione dovrebbe essere ricondotta improrogabilmente dentro quelli che sono i confini della funzione pubblica.

      Parliamoci chiaro, sto parlando di ingenti somme di denaro che vengono elargite per mezzo di scelte e decisioni politiche a vantaggio di qualcuno rispetto al resto del paese.

      E questo, sinceramente non è più accettabile! A maggior ragione in un paese, come il nostro, dove povertà assoluta e relativa stanno crescendo a vista d’occhio!

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