Fratello e sorella, Emir ed Emilie vengono da una famiglia di libanesi cattolici ma hanno perso i genitori in modo traumatico. Con il paese in guerra, Emir decide di emigrare in Brasile in cerca di una nuova vita, trascinando con sé la ragazza che invece è più riluttante. Nel lungo viaggio in nave Emilie incontra Omar, commerciante di tessuti musulmano, e a lui si avvicina approfittando del fatto che Emir è confinato in cuccetta perché senza biglietto. Ma il suo desiderio di controllo sulla sorella, unito alle diversità religiose con Omar, mette i due uomini in rotta di collisione proprio mentre il gruppo sbarca nel “nuovo mondo” brasiliano.
Ottava regia per il cineasta brasiliano Marcelo Gomes, che adatta il romanzo “Ricordi di un certo oriente” di Milton Hatoum facendone uno studio sulla gelosia, l’attrazione e le sottili dinamiche di controllo familiari e di genere.
Il tutto in una forma estetica elegante e senza tempo, di un bianco e nero particolarmente evocativo, che attorno al delicato equilibrio del triangolo di protagonisti ben dipinge anche una classica parabola di migrazione e adattamento culturale.
Per quanto il focus sia sempre a stretta distanza dai tre personaggi principali, dei quali Gomes osserva con granulare sensibilità il velenoso groviglio di attrazione e devozione, il contesto più ampio non si fa mai semplice sfondo. La macchina da presa è animata da un’energia languida che si sofferma sugli altri passeggeri della nave, ognuno con le sue storie di vita diversissime (“Peggio di così, è impossibile” mormora un migrante italiano sullo stato dell’Europa del dopoguerra), e poi più avanti sullo shock dell’esperienza del Brasile, per chi arriva come per la popolazione indigena che li accoglie.
Dall’oceano fino alla foresta che conduce verso la città di Manaus, Portrait of a Certain Orient mette in chiaro che il passato e la memoria continuano a guidare le nostre azioni anche quando ci illudiamo di poter fuggire a continenti di distanza.
Non a caso il film inizia e finisce su delle fotografie, entrambe motivo di dolore. Eppure, in un finale particolarmente riuscito, Gomes fa in modo di rendere inconoscibili quei confini tra felicità e tristezza, costrette loro malgrado a migrare per sempre l’una nell’altra.