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      • Socrate: maestro dell’arte di smascherare gli idioti (Condannato, ieri con la cicuta, oggi con gli hashtag)

      Socrate: maestro dell’arte di smascherare gli idioti (Condannato, ieri con la cicuta, oggi con gli hashtag)

      C’è chi nella vita inventa qualcosa di utile: la ruota, la bussola, la penicillina. E poi c’è Socrate, che non inventò nulla di tangibile ma rese immortale la più crudele delle arti: mettere a nudo l’ignoranza altrui con la delicatezza di un boia gentiluomo. La sua filosofia non è fatta di trattati, scuole o manuali: è una disciplina da arena.

      E il campo da gioco era la piazza di Atene, dove smontava la gente pezzo dopo pezzo, lasciandola nuda di certezze e vestita solo di imbarazzo.

      Il suo slogan pubblicitario, “so di non sapere”, ha resistito a secoli di interpretazioni, ma resta un colpo di genio retorico: ammettere la propria ignoranza come punto di partenza, ma trasformarla in un’arma.

      Una specie di trappola dialettica in cui il vero ignorante non era mai lui, ma l’altro, quello che osava sentirsi sapiente. Oggi lo chiameremmo “gaslighting filosofico”.

      Allora lo chiamarono “sapienza”.

      La sua tecnica preferita era la maieutica, ovvero il parto delle idee. Non che fosse un ginecologo del pensiero, ma certo aveva l’abitudine di tormentare gli interlocutori fino a farli partorire, tra sudore e imbarazzo, la consapevolezza di non sapere nulla. Se gli si chiedesse un parallelismo moderno, potremmo immaginarlo come il più feroce dei conduttori televisivi, capace di incalzare l’ospite fino a trasformare un dibattito in una gogna. Socrate non aveva bisogno di share: aveva già tutto il pubblico dell’agorà.

      Sul piano etico, il filosofo sosteneva che nessuno compie il male volontariamente: il male è solo frutto dell’ignoranza. Un’idea raffinata e consolatoria, se non fosse che, applicata al quotidiano, rischia di sembrare una barzelletta. Se qualcuno ti deruba, secondo Socrate, non è cattivo: semplicemente non sa che rubare è male.

      La prossima volta che vi svaligiano casa, provate a pensarci: magari vi sentirete parte di un esperimento filosofico.

      Eppure, dietro queste provocazioni si nascondeva un principio serio: per Socrate, sapere il bene significa farlo. La conoscenza è virtù, l’ignoranza è vizio. Il problema è che questo rendeva lui non un filosofo, ma un fastidioso specchio: avvicinarti a Socrate significava vederti riflesso come più stolto di quanto credessi.

      E, si sa, nessuno ama gli specchi che non lusingano.

      Il suo destino era scritto: Atene non poteva tollerare troppo a lungo un uomo che minava le fondamenta dell’orgoglio collettivo. Così lo accusarono di “corrompere i giovani” e di “non rispettare gli dèi”. Due capi d’imputazione che, tradotti, suonano come: “ci stai rendendo ridicoli”.

      Perché in fondo, Socrate non fu condannato per ciò che pensava, ma per ciò che faceva: mettere in imbarazzo gli altri. Un crimine che, oggi come allora, resta il più imperdonabile.

      Bevve la cicuta con calma olimpica, come se stesse partecipando a una degustazione, e consegnò all’umanità un epitaffio in forma di metodo: non la certezza, ma il dubbio.

      Non la verità, ma la ricerca della verità. Un lascito pericoloso, che infatti ancora oggi fa tremare chi preferisce slogan facili e risposte immediate.

       

      E qui arriviamo al presente. Che fine farebbe Socrate oggi? Non verrebbe processato dall’Areopago, ma dalla piazza virtuale dei social. Sarebbe denunciato come “hater”, flaggato come “fake news”, linciato a colpi di hashtag.

      I suoi interlocutori, smascherati, lo accuserebbero di “offendere la sensibilità” e partirebbero petizioni online per metterlo a tacere. La cicuta, al confronto, sarebbe sembrata un atto di clemenza.

      La verità è che Socrate non appartiene al passato, ma al nostro tempo più di quanto immaginiamo.

      Perché se allora disturbava la democrazia ateniese con le sue domande corrosive, oggi disturberebbe la nostra società con lo stesso strumento: il dubbio. E il dubbio, si sa, è la sostanza di cui si nutre la libertà.

      Ecco perché, a distanza di duemila quattrocento anni, non ricordiamo i suoi accusatori, ma solo lui. Perché ci ha lasciato la consapevolezza che la conoscenza non si possiede: si rincorre, e chi dice il contrario è già caduto nella sua trappola.

      In fondo, il suo vero insegnamento è questo: non temere di non sapere, ma temi chi è convinto di sapere tutto. Quelli, ieri come oggi, sono i veri pericolosi.

       

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