Un’ombra lunga si allunga sulla gestione dei dati ufficiali della pandemia. Un nuovo studio del Laboratorio DISIA dell’Università di Firenze, firmato da otto accademici e ricercatori indipendenti, accusa le istituzioni italiane di aver diffuso dati distorti sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini anti-Covid.
Il documento, dal titolo “L’informazione statistica sui vaccini anti-COVID-19. Il caso Italia tra errori, mistificazioni e omissioni”, denuncia una comunicazione pubblica segnata da errori metodologici, ambiguità e sottostime sistematiche dei rischi.
Dal documento mergono molti errori di metodo e “narrativa unica” secondo i ricercatori, durante la campagna vaccinale del 2021-2022 la comunicazione istituzionale ha adottato criteri parziali che hanno amplificato i benefici e minimizzato i rischi.
La differenza fra la riduzione del rischio relativo (RRR) e quella assoluta (ARR) è uno degli esempi più emblematici: mentre i media parlavano di efficacia “al 95 %”, la riduzione reale del rischio di contagio nella popolazione risultava inferiore all’1 %.
| Vaccino | Efficacia comunicata (RRR) | Riduzione assoluta del rischio (ARR) | Numero di vaccinati per evitare 1 caso (NNV) |
| Pfizer-BioNTech | 95 % | 0,84 % | 119 |
| Moderna | 94 % | 1,2 % | 81 |
| AstraZeneca | 67 % | 1,3 % | 78 |
Fonte: Olliaro et al., rielaborazione nel Working Paper DISIA
Una differenza che cambia radicalmente la percezione del beneficio reale. Eppure, scrivono gli autori, l’ARR “è stata quasi sistematicamente omessa nei report ufficiali e nelle comunicazioni pubbliche”.
Il “trucco” dei 14 giorni: dati spostati per aumentare l’efficacia
Un’altra criticità emersa riguarda il cosiddetto bias dei 14 giorni.
Molti casi di contagio avvenuti entro due settimane dalla prima dose sono stati conteggiati come infezioni di “non vaccinati”. Questa scelta, sostengono gli studiosi, ha gonfiato artificialmente l’efficacia apparente dei vaccini, spostando numeri dal gruppo dei vaccinati a quello dei non vaccinati.
“Una semplice ridefinizione temporale, spiegano, può alterare il risultato in modo sostanziale, rendendo i vaccini più efficaci sulla carta di quanto non lo siano nella realtà.”
Farmacovigilanza passiva: la punta dell’iceberg
Sul fronte della sicurezza, il rapporto punta il dito contro la farmacovigilanza passiva, basata sulle segnalazioni spontanee di cittadini e medici.
Un metodo che, come noto, sottostima fortemente gli eventi avversi.
Il confronto internazionale è impietoso:
- Austria: 841 segnalazioni ogni 100.000 dosi
- Italia: 89 ogni 100.000 dosi
Secondo gli autori, in alcuni casi AIFA avrebbe addirittura “diluito” i tassi di reazioni avverse, sommando vigilanza attiva e passiva senza distinzione di denominatore.
Il risultato? Percentuali apparentemente basse ma statisticamente ingannevoli.
Un’altra grande bugia ormai ampiamente sconfessata è sul Green Pass perché c’è una domanda che ancor oggi è rimasta senza risposta: su quale base scientifica è stato introdotto?
Il paper contesta fermamente la narrativa secondo cui il vaccino avrebbe ridotto la trasmissione del virus, premessa su cui si è fondato il Green Pass.
Non esisterebbero, affermano gli autori, prove sperimentali solide che dimostrino la capacità dei vaccini di impedire la trasmissione.
“La misura del Green Pass è stata giustificata come strumento di salute pubblica, ma si basava su un presupposto non dimostrato”.
Una conclusione che getta ombre sul fondamento scientifico e giuridico delle restrizioni applicate in quegli anni e che ancor oggi, la stessa Commissione Covid, non ha dato nessun risultato e risposta.
L’indagine va oltre le tabelle ponendo la comunicazione visiva sotto accusa e precisamente, molti grafici diffusi da ISS, AIFA e delle regioni italiane, afferma lo studio, sarebbero stati costruiti con scale e proporzioni fuorvianti, minimizzando visivamente i rischi e amplificando artificiosamente i benefici.
Tra le pratiche contestate:
- omissione di scale proporzionali,
- uso di simboli e colori ingannevoli,
- grafici cumulativi senza riferimento temporale.
In alcuni casi, i ricercatori parlano apertamente di “propaganda statistica”.
Omissioni e censure
Vi è poi l’elenco delle omissioni e delle censure che è davvero molto lungo e fortemente preoccupante.
Tra i casi citati troviamo:
- Report regionali soppressi: in Emilia-Romagna, un rapporto interno mostrava tassi di segnalazione di eventi avversi 10 volte superiori a quelli nazionali, ma non fu pubblicato.
- Divieti terminologici: AIFA avrebbe sconsigliato l’uso di termini come “fallimento vaccinale”.
- Eccesso di mortalità under 50: dati rimossi o non discussi pubblicamente.
- Effetti su lattanti: segnalazioni di neonati esposti tramite allattamento eliminate dalle versioni ufficiali.
- Soggetti fragili non sperimentati: i vaccini sono stati somministrati anche a categorie fragili senza una sperimentazione adeguata, ma questo fatto è stato taciuto o minimizzato.
- Ostacolo alla farmacovigilanza attiva: progetti come “Digicovid” sono stati ostacolati o dichiarati “non da considerare
Un bias strutturale
Il punto più inquietante dello studio sta nella sua conclusione: “Il fatto che nessuno degli errori rilevati favorisca la sottostima dei benefici o la sovrastima dei rischi suggerisce l’esistenza di un bias strutturale nella produzione e comunicazione dei dati.”
In altre parole, gli errori non sarebbero casuali ma sistematicamente orientati in una sola direzione: rafforzare la fiducia pubblica nei vaccini.
Il messaggio finale è un appello alla trasparenza: “La fiducia nei dati ufficiali è la base della democrazia sanitaria,” scrivono gli autori.
Quando le istituzioni manipolano o selezionano l’informazione, si mina non solo la credibilità del sistema, ma anche la libertà di scelta dei cittadini.
Oggi, più che mai, in un’epoca segnata dalla disinformazione e dalla polarizzazione, la qualità dei dati pubblici è una questione politica e morale e non può quindi essere lasciata nella totale disponibilità di un Ente.




