Torre Annunziata. Jasmine è una donna di circa 40 anni, felicemente sposata con Rino, madre di tre figli maschi, che ha un salone di bellezza sul corso principale. Dalla morte del padre però è spesso inquieta a causa di un sogno ricorrente, quello di una bambina bionda che le corre incontro tra le braccia. Quell’immagine diventa un desiderio: una figlia la vuole davvero. Ne parla prima con il figlio maggiore e poi con il marito che però non sembrano sostenerla. Lei però non si dà per vinta e decide di seguire il tortuoso iter delle adozioni internazionali anche se la sua scelta rischia di mettere in crisi l’equilibrio familiare. C’è una spesa importante da sostenere, proprio nel momento in cui il figlio più grande si sta trasferendo a Milano e Rino vuole aprire una falegnameria a Capri. Ma Jasmine fa di tutto per recuperare il denario necessario prima di arrivare in un orfanotrofio della Bielorussia dove il suo sogno può diventare realtà.
Andata e ritorno da Torre Annunziata. Come nel cinema di Jonas Carpignano, i tre lungometraggi diretti da Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman dialogano tra loro. Se in Californie Jamila si trova nella palestra dove si allena la pugile Irma Testa, protagonista di Butterfly, in Vittoria la protagonista Jasmine, compariva già nel film precedente.
Il passo è sempre nervoso, inquieto, capace di entrare nel cuore di un disagio intimo, di desideri irrazionali, di spinte emotive.
Prodotto da Lorenzo Cioffi, Giorgio Giampà, Nanni Moretti e Alessandra Stefani, Vittoria è ispirato alla storia realmente accaduta di Jasmine e Rino che nel 2016 hanno cominciato il loro percorso di adozione internazionale. Il confine tra documentario e finzione è sempre molto labile, fragilissimo. Il dettaglio della mano del sogno della bambina diventa il punto di partenza per un legame diretto con la mente di Jasmine.
Un contatto irraggiungibile, un’immagine lontana ma anche ossessiva. Vittoria ricostruisce l’ambiente familiare, lascia avvertire la presenza di una recitazione classica soprattutto nella scena in cui la protagonista annuncia durante un pranzo che adotterà una bambina e poi litiga con il marito. Ma emerge soprattutto l’angoscia di Jasmine già dalla scena iniziale dalla cartomante, nella sua sfuriata nel salone di bellezza e in quei primissimi piani dove nel suo viso c’è disegnata parte della storia della sua vita, con i segni del passato e lo sguardo verso il futuro.
Il cinema di Cassigoli-Kauffman si conferma potentissimo nel catturare la fisicità del gesto, lo scarto tra la quotidianità e la ‘fuga nel (proprio) mondo dei sogni’. Se nella parte centrale prevalgono dei dettagli narrativi comunque importanti (per esempio, il costo e i tempi delle adozioni internazionali), in quella finale Vittoria decolla nel momento in cui convivono paura e speranza, anche prima del viaggio. In una scena appena all’esterno dell’orfanotrofio, quando Rino si passa il pallone con un bambino dell’orfanotrofio e gli vuole offrire delle caramelle, c’è racchiusa tutta la verità di un cinema che va oltre la storia e trova l’imprevedibilità della vita reale dove inattese complicità vengono catturate proprio nel momento in cui avvengono. Nella sua sobrietà, diventa emozionante.