Con chiunque io parli – e provi a sostenere che alzando i tassi – contrariamente a quanto si pensi, le banche centrali stanno in realtà mettendo in atto una misura inflattiva – vengo guardato come se fossi appena sceso da Marte.
Warren Mosler, padre fondatore della Modern Monetary Theory (MMT), è uno dei pochi che, da sempre, sostiene che in fatto di contrasto all’inflazione, i banchieri centrali interpretano al contrario la politica sui tassi. E da quando è scoppiato il fenomeno inflattivo in corso, non si è mai stancato di mostrare questa evidenza, confezionando paper ben argomentati e tweet giornalieri che mostrano come pagare interessi più alti faccia affluire maggior denaro nelle tasche del settore privato, aumentandone la capacità di spesa.
Del resto, anche un bambino capirebbe che se metti in tasca più soldi alla gente, questi comprano di più.
Poi naturalmente quando si parla di fenomeni inflattivi, il detto “tutto il mondo è paese” perde per intero il suo valore. Questo perché essendo il livello dei prezzi (inflazione) direttamente determinato dalla politica fiscale dei singoli governi, è chiaro che forme ed intensità con cui essa si manifesta, difficilmente saranno le stesse tra una nazione ed un altra.
Mosler giustamente analizza quanto avviene negli Stati Uniti, dove l’alta spesa per interessi va ad aggiungersi al già importante deficit che l’amministrazione Biden sta conseguendo da tempo, con la sua nota politica economica espansiva, denominata Bidenomics.
Il risultato è che l’inflazione non scende….. guarda strano!
Ma ancora più strano è che finalmente, pare che tra coloro che da sempre sostengono il pensiero unico mainstream, nonché tra gli addetti ai lavori che operano nel mondo della grande finanza d’oltreoceano, si comincia a prendere coscienza che alzare i tassi non raffredda l’inflazione.
In attesa che arrivi il momento che anche i banchieri centrali se ne accorgano, vi riporto questo articolo tradotto dall’inglese, uscito pochi giorni fa su Bloomberg, che testimonia questa inaspettata presa di coscienza da parte di tre diavoli della finanza.
Questa volta, i tassi più alti stanno stimolando la spesa e l’economia
Di Ye Xie, Bloomberg
14 June, 2024
Secondo una stima, le famiglie statunitensi ricevono interessi attivi su oltre 13mila miliardi di dollari di asset a breve termine.
Si suppone che l’aumento dei tassi di interesse rallenti l’economia. E se invece lo aiutassero?
L’idea è così radicale che rasenta l’eresia. Ma mentre l’economia americana va avanti, confondendo gli esperti che avevano messo in guardia da un’imminente recessione, sempre più investitori sono disposti almeno a prendere in considerazione il modello economico marginale sostenuto dai seguaci della Modern Monetary Theory.
I contrari – che ora includono figure di spicco come il gestore di hedge fund David Einhorn e il guru obbligazionario di BlackRock Inc. Rick Rieder – sostengono che il balzo dei tassi di interesse da quasi lo 0% a oltre il 5% negli ultimi due anni sta dando agli americani un flusso significativo di reddito dalle loro obbligazioni e dai conti di risparmio per la prima volta in due decenni. “La realtà è che le persone hanno più soldi”, dice Kevin Muir, un ex trader di derivati che scrive una newsletter di investimenti chiamata Macro Tourist. Queste persone – e aziende – stanno a loro volta spendendo una fetta abbastanza grande di quel denaro ritrovato, secondo la teoria, per spingere verso l’alto la domanda e sostenere la crescita.
In un tipico ciclo di rialzo dei tassi, la spesa aggiuntiva da parte delle persone e delle imprese che ricevono interessi non è nemmeno lontanamente sufficiente a compensare il calo della domanda da parte di coloro che smettono di prendere in prestito denaro perché tassi più alti rendono più costosa la stipula di mutui e l’emissione di obbligazioni. Questi fattori causano la classica recessione indotta dalla Fed (e, in teoria, un corrispondente calo dell’inflazione).
Ma questa volta è diverso per alcuni motivi, sostengono i contrari. Il principale tra questi è l’esplosione del deficit di bilancio degli Stati Uniti: gli interessi aggiuntivi che il governo deve pagare sul suo debito mettono più soldi nelle tasche degli investitori obbligazionari americani (e stranieri). Solo nel mese di aprile, il pagamento degli interessi è ammontato a 102 miliardi di dollari, più del doppio dell’importo di dieci anni fa.
Einhorn di Greenlight Capital, uno dei più noti investitori value di Wall Street, afferma che le famiglie statunitensi ricevono interessi su oltre 13mila miliardi di dollari di asset a breve termine, quasi il triplo dei 5mila miliardi di dollari di debito al consumo, esclusi i mutui, sui quali devono pagare gli interessi. (Molti americani sono riusciti a mantenere tassi estremamente bassi sui loro mutui trentennali durante la pandemia, proteggendoli da gran parte del dolore causato dall’aumento dei tassi.) Ai tassi odierni, questa differenza si traduce in un guadagno netto per le famiglie di circa 400 miliardi di dollari. all’anno, stima Einhorn.
Un altro cambiamento importante riguarda la demografia. Con il pensionamento dei baby boomer, gli anziani sono diventati il principale motore dei consumi statunitensi. Sebbene i tassi di interesse più elevati danneggino i mutuatari a basso reddito, arricchiscono i pensionati, che tendono ad avere più risparmi e che rappresentano oltre il 20% della spesa dei consumatori, afferma Rieder di BlackRock.
A corollario della teoria dell’aumento dei tassi-aumento della crescita, c’è l’idea che i tagli dei tassi potrebbero spingere l’inflazione verso il basso, non verso l’alto, perché ridurrebbero il reddito e la spesa. “Le persone spendono – spendono gli anziani e i redditi medio-alti – e mantengono l’inflazione dei servizi a livelli elevati”, ha detto Rieder in un’intervista a Bloomberg Television. “Vorrei sostenere che, in realtà, se si tagliano i tassi di interesse, si riduce l’inflazione.”
Per essere chiari, la maggior parte degli economisti e degli investitori crede ancora fermamente nel vecchio principio secondo cui tassi più alti soffocano la crescita. A riprova, essi sottolineano l’aumento delle inadempienze su carte di credito e prestiti auto e il rallentamento della crescita occupazionale, sebbene ancora robusta. Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics, ha parlato a nome dei tradizionalisti quando ha definito la nuova teoria semplicemente “fuori base”. Ma anche Zandi riconosce che “i tassi più alti stanno facendo meno danni economici che in passato”.
Alcune precisazioni riguardo all’inflazione e quanto sta succedendo nel nostro paese.
L’inflazione, come ad esempio l’imposta sul valore aggiunto (IVA), è sostanzialmente un tipo tassa di quelle che arrecano più danni ai sistemi economici. Una tassa che tende a colpire le classi meno abbienti (oggi la maggioranza in Italia) e soprattutto i salariati che rappresentano la categoria di consumatori finali per eccellenza.
Nei paesi come il nostro, la cui economia naviga in costante stato recessivo da decenni in conseguenza del perdurare delle note politiche di austerity – con zero crescita, alto tasso di disoccupazione involontaria e soprattutto per quanto ci riguarda un risparmio concentrato in poche mani e dentro le istituzioni finanziarie – alzare i tassi aggrava notevolmente lo status e compromette in modo definitivo ogni possibilità di crescita reale.
Rate di mutuo più costose e prezzi più elevati per beni essenziali (come l’energia ad esempio), riducono la capacità di spesa delle famiglie in altri settori, evento che immancabilmente porta ad una riduzione dei loro fatturati, causa questa di futuri fallimenti con conseguente innalzamento della disoccupazione.
E’ chiaro quindi che aumentare i tassi nel nostro paese – per combattere un aumento del livello dei prezzi che ha le caratteristiche della stagflazione – è decisamente una misura errata che porta ad aggravare la nostra già pessima economia. Oltre a non mitigare l’inflazione nel breve termine, stante il fatto che le aziende, di fronte a costi più elevati (energia e credito), tenderanno ad alzare il prezzo dei prodotti.
Un giorno, prima o poi i prezzi subiranno una flessione, e quel giorno su tutti i giornali si magnificheranno le politiche dei banchieri centrali, ma chiaramente, tale flessione non sarà certo dovuta all’azione sui tassi da parte della Banca Centrale, ma bensì dalla perdita di domanda conseguente all’aggravarsi della crisi economica come ampiamente spiegato (*).