Lo scorso fine settimana, il popolo elvetico è stato chiamato alle urne per decidere su tre temi particolarmente sentiti a livello globale: l’imposizione minima OCSE/G20 (anche nota come tassazione minima per le multinazionali), la legge sul clima e l’innovazione (transizione verde) e la legge COVID-19. Il risultato delle votazioni è stato una triplice conferma: 78,5 % di sì per la tassazione delle imprese, 59.1% di sì per la transizione verde e 61.9% di sì per la legge COVID.[1]
Il risultato non arriva in maniera troppo inaspettata. Anzi. Le cose sembrano essere andate esattamente come dovevano andare — almeno rispetto a ciò che viene comunemente chiamata “opinione pubblica”. Tanto il Consiglio Federale Svizzero, quanto l’Unione Europea avevano entrambi espresso nitidamente le loro posizioni favorevoli e i sistemi propagandistici hanno così agito di conseguenza e conseguentemente comunicato i risultati con soddisfazione. Come già discusso in un precedente articolo [2], invece della voce del popolo, ciò che si sente nel risultato di questi referendum è la propaganda di un’opinione “pubblica” schiavizzata dai poteri privati e il silenzio di coloro che ormai si sono arresi. Esattamente: l’astensionismo è quello che anche in Svizzera, come nel resto dell’Europa continua a prevalere. Infatti non va ignorato che il 18 giugno si sono recati alle votazioni solo il 42% degli aventi diritto di voto. Interessante da notare anche quanto la percentuale dell’astensionismo quadri quasi perfettamente con la media europea. Sarà mica una coincidenza?? [3]
Anche se sembrano due posizioni completamente diverse, tanto l’astensionismo legato all’indifferenza quanto il votare a favore dello status quo e della finta “opinione pubblica” hanno la stessa causa sottostante: la mancanza del tempo necessario per approfondire e comprendere le conseguenze delle deliberazioni legislative che si stanno votando.
Il tema dell’astensionismo merita un paio di parole soprattutto considerando quanto stia andando di moda ultimamente. Quanto va di moda affermare “ah, guarda, ma io non mi interesso di politica” o dire “oh, ma tanto non cambia mai nulla, che senso ha perdere tempo” o “ma cosa ti agiti a fare che tanto con il tempo le cose si sistemano da sole?”. Ai miei occhi sta prendendo la forma di uno tsunami di persone apolitiche che spaziano dal lamentone cronico al dicasi guru zen della pazienza, includendo probabilmente l’egoista/narcisita di turno. Sarà mica che la maggioranza della popolazione è composta da siffatti elementi? Come si può non notare che l’astensionismo, all’opposto di essere segno di opposizione, è scelta consapevole di resa? Esso altro non è che conscia decisione d’abbandonare il proprio potere di agente nell’arena sociale. La scelta di non credere nella politica o nel dirsi non interessati ad essa, significa non essere interessati a lasciare il proprio segno sul mondo. Significa non essere interessati a farsi agente creativo della propria stessa vita. Incapacità di perseverare contro disuguaglianze e sistemi corrotti. Il non fare nulla e il non provare neanche a creare o supportare reti di resistenza e cambiamento significa aver accettato la mancanza di peso delle proprie opinioni ed azioni.
È importante notare che in Italia l’astensionismo è particolarmente diffuso tra gli elettori tra i 18 e i 44 anni, spesso indecisi o senza una precisa collocazione politica. [3] Sbaglio, o proprio questa fascia d’età è quella che possiede le energie e lo slancio vitale per innescare un cambiamento? Se proprio coloro che hanno le forze sono persi e privi di direzioni, come possiamo indurre un cambiamento? Quanti nuovi partiti sono stati fondati negli ultimi anni? E quanti di essi si fanno portavoce di veri cambiamenti strutturali ed educativi che permettano di mettere fine a questa fase storica concentrata sulla confusione e l’apatia?