“Questo è uno dei giorni più importanti della storia americana. È la nostra dichiarazione di indipendenza economica. I posti di lavoro e le fabbriche torneranno a ruggire nel nostro Paese, e lo vedete già. Rafforzeremo la nostra base industriale nazionale”.
Il presidente Donald Trump annuncia tariffe unilaterali nei confronti di 180 Paesi nonostante i pericoli di inflazione, recessione e interruzioni della catena di approvvigionamento, 2 aprile 2025
Questa è probabilmente la peggiore politica economica che abbia mai visto…. Non c’è modo che questa politica riporti l’industria manifatturiera negli Stati Uniti e “renda l’America di nuovo ricca”… semmai ci renderà molto più poveri. Molti dicono che questa politica tariffaria è la “fine della globalizzazione”. Io non la penso così….. Questa è la fine della partecipazione dell’America alla globalizzazione….
Molson Hart@Molson_Hart, Fondatore e CEO di Viahart, azienda di prodotti di consumo
Lo scopo della politica tariffaria del Presidente Trump non è quello da lui delineato. Se l’obiettivo delle tariffe fosse quello di reindustrializzare il Paese e creare più posti di lavoro nel settore manifatturiero, l’annuncio sarebbe stato accompagnato da una politica industriale per uno sforzo governativo coordinato con l’obiettivo di ricostruire le industrie critiche americane. Avrebbe fornito dettagli su incentivi fiscali, investimenti infrastrutturali, formazione della forza lavoro, sussidi governativi e finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo; il tutto finalizzato a raggiungere gli obiettivi dichiarati da Trump. A questo punto, a fine aprile, Trump avrebbe già fatto numerose apparizioni pubbliche con importanti leader bancari e commerciali che avrebbero espresso il loro sostegno a questo ambizioso progetto di riconvertire il Paese in una centrale manifatturiera. Trump avrebbe anche presentato una panoramica dei numerosi accordi pubblico-privati stipulati con ricchi capitalisti che sostengono l’idea e vorrebbero partecipare alla sua realizzazione.
Ma nulla di tutto ciò è accaduto, perché non esiste una politica industriale, così come non c’è alcuna aspettativa che l’imposizione di onerosi dazi sulle importazioni dall’estero possa magicamente “riportare i posti di lavoro in America”. È tutta una chimera che mira a ingannare l’opinione pubblica. Quindi, cosa significano veramente i dazi? Ecco come il WSWS risponde alla domanda:
Il vero scopo dei dazi di Trump (secondo le parole del socialista Tom Hall) è “preparare le catene di approvvigionamento per una guerra mondiale, soprattutto contro la Cina”. (L’amministrazione) “sta promuovendo una politica che ricorda il periodo più buio del XX secolo, quello del nazismo, quando la guerra commerciale aveva preceduto lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale nel settembre 1939”. World Socialist Web Site
Troviamo questa analisi convincente, ma non particolarmente credibile. È vero, Trump non è riuscito a sostenere i suoi editti tariffari con alcuna proposta solida per ricostruire l’anemica base industriale americana. Ma questo non significa che si stia preparando ad una guerra con la Cina. Mi sembra un po’ esagerato. Tuttavia, vale la pena di porre la domanda a Grok per vedere se l’analogia storica è accurata.
Domanda: Hitler aveva usato la guerra commerciale per rafforzare i canali di rifornimento della Germania prima della guerra?
Grok – Sì, Hitler aveva sfruttato la guerra commerciale globale e le turbolenze economiche degli anni Trenta per rafforzare le linee di approvvigionamento della Germania e prepararsi alla guerra. Lo Smoot-Hawley Tariff Act e le successive tariffe di ritorsione da parte di altre nazioni avevano interrotto il commercio globale, dando alla Germania la possibilità di perseguire l’autarchia (autosufficienza economica) e di assicurarsi risorse strategiche attraverso accordi bilaterali. Ecco come:
Il regime di Hitler mirava a ridurre la dipendenza dalle importazioni incrementando la produzione interna, in particolare nell’agricoltura e nei materiali sintetici (ad esempio, carburante, gomma). Il “Piano quadriennale” nazista (1936) dava priorità al riarmo e all’autosufficienza per mettere al riparo la Germania da eventuali perturbazioni commerciali.
Accordi commerciali bilaterali: visti gli ostacoli al commercio globale, la Germania aveva negoziato accordi di baratto con le nazioni più piccole, soprattutto nell’Europa orientale e nei Balcani….
Sfruttare le economie indebolite: la guerra commerciale aveva indebolito le economie a livello globale, rendendo i Paesi più disposti a commerciare con la Germania a condizioni favorevoli….
Controllo delle economie vicine: l’influenza economica della Germania sull’Austria e sulla Cecoslovacchia prima della loro annessione (1938-1939) aveva garantito l’accesso alle loro risorse e alle loro industrie, rafforzando ulteriormente le linee di approvvigionamento.…
Anche se la guerra commerciale non era stata l’unico fattore, aveva creato un’economia globale frammentata che Hitler aveva sfruttato per sostenere la macchina bellica tedesca. Nel 1939, questi sforzi avevano garantito alla Germania una rete di rifornimenti solida, anche se non completa, per le prime fasi della Seconda Guerra Mondiale. (Grok)
Si potrebbe quindi affermare che Trump stia pensando come Hitler, cercando di rendere gli Stati Uniti più autosufficienti nell’eventualità di un confronto militare con la Cina. Questo potrebbe spiegare perché sta ricucendo le relazioni con Putin (in modo da poter spostare la sua attenzione sulla Cina). Potrebbe anche spiegare il suo improvviso interesse per la Groenlandia, che fornirebbe agli Stati Uniti un facile accesso a metalli preziosi, terre rare e riserve di petrolio e gas nel caso in cui scoppiasse una guerra nell’Asia-Pacifico. Il sequestro de facto del Canale di Panama potrebbe rientrare in questo stesso paradigma, in quanto riguarda il controllo di rotte e passaggi marittimi critici. Sono tutte azioni che il governo penserebbe di intraprendere se stesse pianificando un conflitto a lungo termine con un concorrente di pari livello situato nell’altra metà del mondo.
Ma non siamo ancora convinti che questi siano i prodromi di una guerra con la Cina. Pensiamo che si tratti della fase di “stupire e sconvolgere” di una strategia di contenimento aggressiva che cerca di isolare e accerchiare la Cina senza sfociare in una vera e propria guerra attiva. Tuttavia, dovrebbe essere ormai abbastanza ovvio che la stravagante Festa della Liberazione era solo un modo per nascondere il vero motivo di Trump, quello di lanciare formalmente una guerra commerciale contro la Cina. Ecco cosa c’è dietro la raffica di dazi sparati a casaccio contro amici e nemici. Il vero obiettivo è la Cina, la più grande minaccia emergente che gli Stati Uniti abbiano mai affrontato.
L’embargo sulle merci cinesi suggerisce che Washington sta finalmente compiendo il suo definitivo pivot verso l’Asia. L’Ucraina viene consegnata agli alleati della NATO, mentre gli Stati Uniti spostano la loro attenzione verso l’Estremo Oriente. L’amministrazione è già impegnata a rafforzare la propria presenza militare nella regione, a costruire il sostegno per una coalizione anti-Cina, a fomentare incidenti nello Stretto di Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale e ora a imporre un embargo totale alla Cina senza alcun preavviso e senza la minima provocazione. Le nuove tariffe si inseriscono perfettamente nella più ampia strategia di Washington di contenere l’unico rivale che, con ogni probabilità, diventerà l’indiscusso egemone regionale.
Ma, a prescindere dalle intenzioni di Trump, non c’è dubbio che il piano è stato mal concepito e non sta avendo l’impatto sperato. Ad esempio, Trump pensava che le sue gigantesche tariffe avrebbero fatto correre il premier cinese Xi Jinping al telefono per vedere con quali concessioni avrebbe potuto placare Trump, l’uomo forte. Ma finora non è successo e non sembra che succederà. Al contrario, il Ministro degli Esteri cinese ha ripetutamente affermato che “tutte le tariffe unilaterali dovranno essere rimosse” prima che la Cina parli con Trump. In breve, la Cina non ha lasciato a Trump altra scelta che capitolare o assistere al crollo dell’economia statunitense. Date un’occhiata a questa lista di previsioni sulla recessione fatte da alcuni dei più grandi nomi della finanza:
Goldman Sachs: Previsione: Aumentate le probabilità di recessione degli Stati Uniti al 45% per il 2025… Se le tariffe reciproche andranno avanti, si prevede una recessione, anche se lieve, simile alla crisi dot-com del 2001….
JPMorgan Chase: Previsione: Il CEO Jamie Dimon prevede che le tariffe rallenteranno la crescita e aumenteranno l’inflazione…
TD Securities: Previsione: Ha alzato le probabilità di recessione degli Stati Uniti al 50% a causa di dazi “più forti del previsto”.
Moody’s Analytics: Previsione: Il capo economista Mark Zandi ha alzato le probabilità di recessione al 40%, definendo i dazi “carne da macello per una recessione economica”…..
Deutsche Bank: Previsione: Vede un “significativo aumento del rischio di recessione”. I dazi aumentano l’inflazione di base PCE di 1-1,5 punti e riducono la crescita attraverso l’aumento dei costi e la riduzione della competitività. L’incertezza e le ritorsioni amplificano i rischi di recessione.
Morningstar, Previsione: Definisce le tariffe una “catastrofe economica autoinflitta”, prevedendo una recessione con una crescita del PIL ridotta per il 2025-2026… Ragionamento: Le tariffe aumentano i tassi effettivi al 20-25%, i più alti dagli anni ’30, quelli dello Smoot-Hawley Act, aumentando l’inflazione e riducendo la domanda dei consumatori. Le interruzioni della catena di approvvigionamento e le ritorsioni peggiorano i risultati.
Quindi, anche se nessuno può prevedere una recessione con una precisione del 100%, c’è un crescente consenso sul fatto che le tariffe avranno un impatto sulla spesa, sull’inflazione e sulla crescita. Gli esiti previsti sono semplicemente inevitabili.
Quindi, cosa dovrebbe fare Trump?
I dati indicano chiaramente che ha commesso un grave errore che richiede un’azione immediata. Deve riconoscere il suo errore e correggere la rotta prima che le interruzioni della catena di approvvigionamento si aggravino e che la fossa che si è scavato diventi ancora più profonda. Deve rimuovere le tariffe, rispettare le norme e i regolamenti dell’OMC e sostituire i consulenti economici del suo team che hanno concepito questa idea folle. Dobbiamo presumere che non sia stato Trump a pensare che i dazi potessero essere usati per contrastare le cosiddette “pratiche sleali” della Cina che “hanno svuotato l’industria manifatturiera statunitense”. No, probabilmente sono stati Robert Lighthizer (uno dei principali artefici della guerra commerciale del primo mandato di Trump) e Peter Navarro, un ex consigliere commerciale di Trump che è stato co-autore di Death by China (2011) e che aveva influenzato la politica tariffaria di Trump durante il suo primo mandato. Questi sono i cervelloni responsabili dell’attuale debacle. Trump è solo il complice inconsapevole che mette in atto le opinioni distruttive di ideologi strampalati. Ci viene in mente una citazione di John Maynard Keynes che, nella sua opera fondamentale The General Theory of Employment, Interest and Money (1936), aveva fatto la seguente osservazione sull’influenza degli economisti defunti:
Le idee degli economisti e dei filosofi politici, sia quando sono giuste che quando sono sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si pensi. In effetti, il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono del tutto esenti da influenze intellettuali, sono di solito schiavi di qualche economista defunto.
Sebbene né Lighthizer né Navarro siano ancora “defunti”, è chiaro che Trump è condizionato dalle loro idee sbagliate.
Ecco un breve curriculum di entrambi:
Robert Lighthizer – uno dei principali artefici della guerra commerciale del primo mandato di Trump e che probabilmente ha influenzato l’attuale strategia tariffaria – è un fidato consigliere di Trump e le sue opinioni protezionistiche coincidono con quelle della maggioranza degli altri nominati da Trump. “Lighthizer vede la Cina come un avversario economico che sfrutta la globalizzazione per minare la produzione statunitense. Sostiene tariffe elevate, controlli sulle esportazioni e disaccoppiamento per proteggere le industrie americane e ridurre il deficit commerciale (295 miliardi di dollari con la Cina nel 2024). Il suo approccio privilegia il nazionalismo economico rispetto al confronto militare o ideologico… Le idee di Lighthizer sono direttamente alla base dell’aumento dei dazi di Trump per il 2025 (125%-245% nei confronti della Cina), giustificato come risposta alla “mancanza di rispetto” della Cina…
Il protezionismo di Lighthizer rispecchia l’intento dello Smoot-Hawley Act di proteggere le industrie statunitensi, ma ignora come tali misure possano aggravare il conflitto economico globale… Robert Lighthizer rimane un consigliere informale nel 2025, responsabile della strategia tariffaria di Trump attraverso i suoi protetti, come Jamieson Greer. (Grok)
Poi c’è Peter Navarro, che vede la Cina come una potenza economica predatrice, che ruba posti di lavoro agli Stati Uniti attraverso pratiche commerciali sleali. Egli sostiene tariffe aggressive, divieti di esportazione e il reshoring della produzione per contrastare il vantaggio commerciale della Cina di 640 miliardi di dollari…. Le idee di Navarro sono per il rafforzamento degli aumenti tariffari e il disaccoppiamento, gli obiettivi di Trump per il 2025… L’approccio pesantemente tariffario di Navarro ricorda il protezionismo dello Smoot-Hawley, che si era ritorto contro il Paese aggravando la Grande Depressione…. Senza una solida politica industriale statunitense le politiche di Navarro potrebbero sconvolgere i mercati globali. (Grok)
Infine, abbiamo Stephen Miran, presidente del Council of Economic Advisers (CEA):
Miran è uno dei principali artefici della strategia tariffaria di Trump; ha proposto un “Accordo di Mar-a-Lago” per ristrutturare il commercio globale, utilizzando le tariffe per costringere i Paesi a “pagare un tributo” per il dominio militare e finanziario degli Stati Uniti (Geopolitical Economy Report, 10 aprile 2025). In un discorso del 7 aprile 2025, [Miran] ha definito la Cina “il nostro più grande avversario” e ha sostenuto che le tariffe potrebbero vincere una guerra commerciale facendo leva sul potere di mercato dei consumatori statunitensi. Ha difeso le tariffe come un successo storico, affermando che “la storia economica americana ha visto periodi di alte tariffe coincidere con uno straordinario successo economico”
(Nota: il Segretario al Tesoro Scott Bessent e Kevin Hassett, Direttore del Consiglio Economico Nazionale (NEC) sembrano essere solo attori minori nel fiasco delle tariffe).
Questi sono gli uomini le cui idee stanno guidando l’attuale politica tariffaria. La crisi economica in atto può essere ricondotta a loro e alle loro visioni deliranti.