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      • DESTRA E SINISTRA OSSEQUIANO LE STESSE GERARCHIE ANTROPOLOGICHE

      DESTRA E SINISTRA OSSEQUIANO LE STESSE GERARCHIE ANTROPOLOGICHE

      La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con la segretaria del Pd, Elly Schlein, in occasione dell'incontro sulle riforme istituzionali, a Palazzo Montecitorio, Roma, 9 Maggio 2023. ANSA/Filippo Attili - Ufficio stampa Palazzo Chigi + PRESS OFFICE, HANDOUT PHOTO, NO SALES, EDITORIAL USE ONLY + NPK

      In questi ultimi decenni è cresciuta, anche negli ambienti più insospettabili, l’insofferenza verso la cosiddetta “sinistra”, ritenuta foriera di pulsioni totalitarie. Sebbene le motivazioni di tanta insofferenza siano perfettamente comprensibili e condivisibili, l’approccio al problema appare invece completamente fuorviante. Per quanto l’astio tra “destra” e “sinistra” sia autentico e sincero, addirittura parossistico, ciò non toglie che le due sponde opposte facciano insieme sistema, o gioco delle parti, poiché si avviano dalle stesse premesse, cioè dalle stesse gerarchie antropologiche. La mitologia di destra si basa sul culto della forza, magari ribattezzata eufemisticamente “merito”, che andrebbe lasciata libera di esprimersi anche a scapito dei deboli, ma in definitiva a loro vantaggio, poiché ne verrebbero indirizzati e disciplinati. La “sinistra” pretenderebbe invece di porre alla “forza” dei limiti morali, da imporre attraverso la legge o l’educazione, o entrambe. La diatriba tra liberismo e socialismo si appunta su questo schema, che comunque non scalfisce il mito della “forza”.

      Il successo delle fiabe pseudo-economiche “neoliberiste” di Milton Friedman è stato dovuto alla loro completa aderenza a questo schema mitologico. Stranamente (ma neanche tanto) i più accaniti “bevitori” delle dottrine neoliberiste stanno proprio a “sinistra”, dove si prende sul serio ogni sillaba di Friedman, in modo da potersene scandalizzare. A “sinistra” è bersaglio di particolare indignazione morale la tesi di Friedman secondo la quale l’impresa è responsabile solo verso i suoi azionisti e quindi non verso la società. Il problema di questa affermazione non consiste nel suo irresponsabile egoismo e nella sua immoralità, ma semplicemente nel fatto che non ha nessuna attinenza con la pratica effettiva delle imprese quotate in Borsa.

      Nessuna bolla azionaria crea valore di per sé, bisogna riempirla con qualcosa; tanto per cominciare si diminuiscono le tasse per le imprese, e il vuoto nel bilancio lo si copre aumentando le tasse sui consumi. Anche Reagan, come già la Thatcher, era andato al potere promettendo una diminuzione delle tasse; in realtà le ha diminuite solo ai ricchi, mentre anche lui, come già la Thatcher, ai poveri ha regalato un aumento delle tasse sulla benzina. La mitologia di Friedman afferma che l’inflazione sarebbe dovuta alla troppa moneta che si appunta su troppo pochi beni, e si dimentica dell’effetto inflazionistico delle tasse sui consumi; così quando l’inflazione sale i governi hanno il pretesto per tagliare i salari. A “sinistra” che si fa? Si smaschera la falsa retorica anti-fiscale della destra? Per niente; al contrario, si fa l’elogio delle tasse. Gioco delle parti.

      Ronald Reagan ce l’aveva a morte con quei poveri che egli chiamava gli scrocconi del welfare, ma non ha mai detto niente contro il welfare a favore delle aziende, cioè l’assistenzialismo per ricchi. Negli Stati Uniti poco meno di mille aziende avevano ricevuto nel 2014 oltre cento miliardi in sussidi. Un miliardo era andato ad un’azienda di Warren Buffet, che è diventato un idolo della sinistra perché ha chiesto un aumento delle tasse. Intanto avrebbe dovuto cominciare a restituire quel miliardo. La Meloni si adegua al trend: dice che toglie il reddito di cittadinanza perché non vuole buttare i soldi dalla finestra, ma decide di darli alle imprese “perché così assumono”. Vabbè.

      La sudditanza psicologica nei confronti della “forza” si riscontra persino in molti di quelli che si considerano oppositori all’establishment ed all’imperialismo. Si condanna il bombardamento israeliano su Beirut (peraltro con bombe americane) che ha ucciso un migliaio di persone, tra cui anche il leader politico di Hezbollah, ma poi si ammirano le presunte capacità di “intelligence” di Israele e la sua potenza. Nasrallah non era un capo militare ma il leader di un partito politico rappresentato in parlamento, che non aveva come unica priorità quella di combattere l’occupazione israeliana del Libano (una parte del territorio libanese è ancora occupata da Israele), ma anche quella di prevenire una guerra civile nel proprio paese. Per tenere i contatti con gli altri partiti libanesi, Nasrallah era quindi costretto a rimanere nella capitale già sotto bombardamento e ad esporsi al rischio che i suoi movimenti venissero tracciati; e infatti aveva già designato il suo successore in caso di “martirio”. Dove sarebbe la capacità di “intelligence” da parte di Israele? C’è solo la certezza storica della propria impunità. Nel 1948 i terroristi sionisti della banda Stern uccisero l’inviato dell’ONU, lo svedese Folke Bernadotte; e non solo i sionisti la fecero franca, ma uno degli assassini, Shamir, divenne primo ministro di Israele qualche decennio dopo.

      Lo stesso delirio celebrativo ha invaso i più insospettabili antisionisti nel caso dei cercapersone esplosivi, che erano semplici oggetti truccati con esplosivo e telecomandati, come fa Cosa Nostra con le auto-bomba. L’operazione quindi non consisteva nel mettere in campo capacità tecnologiche, bensì nel ricorrere al consueto espediente dei servizi segreti, cioè creare ditte fantasma per intermediare la vendita dei cercapersone. Nessun servizio segreto può agire all’estero esponendo la propria insegna e quindi si creano queste società fittizie di import-export. Ogni servizio segreto che abbia i mezzi finanziari per agire all’estero crea di queste ditte; ma, al tempo stesso, opera una ricognizione su quelle che nascono, in modo da capire cosa fanno gli altri servizi. Se davvero l’operazione del Mossad durava da più di un anno, è difficile credere che gli altri servizi non lo sapessero e non abbiano garantito la propria connivenza. Il Regno Unito, gli Stati Uniti, ma anche altri paesi europei e, per un certo tempo, persino l’Unione Sovietica, hanno concepito Israele come una zona franca di impunità in cui concentrare gli affari sporchi. Se non ci fossero stati a disposizione gli ebrei, si sarebbero inventati qualche altra etnia. L’impunità non è un accessorio ma è il senso stesso della nascita di Israele. Il rapporto organico tra imperialismo britannico e sionismo era cominciato molto prima della Dichiarazione di Balfour del 1917. Chaim Weizmann era un chimico, fu fondatore della Commissione Sionista, poi diventata Agenzia Ebraica. Weizmann fu il primo presidente dello Stato di Israele e nel corso della sua vita aveva sempre intrattenuto rapporti politici strettissimi con Winston Churchill.

      Il sionismo fu allevato e protetto dall’imperialismo britannico, ma tra il 1938 ed il 1945 il timore che la Palestina potesse essere occupata dall’Italia e dalla Germania, spinse il Regno Unito a sospendere il processo di costruzione dell’entità sionista autonoma. Ciò irritò la destra sionista ed in particolare Shamir che nel 1944 fece uccidere da due suoi sicari il Segretario di Stato per le Colonie, lord Moyne, che era sostenitore politico e amico personale di Churchill. La responsabilità dell’omicidio fu confermata e rivendicata dallo stesso Shamir in un’intervista a “Times of Israel”, con motivazioni fumose che denotano non solo una personalità da criminale psicopatico (il che sarebbe ovvio), ma soprattutto una vena di quell’inesauribile cialtroneria che è alla base della comunicazione sionista (vedi l’appello di Netanyahu al popolo iraniano). Nonostante l’affronto dell’uccisione di un proprio ministro, il Regno Unito ha chiuso un occhio su questo ed altri omicidi eccellenti. Si sbaglia chi pensa che la licenza di uccidere di Israele sia limitata agli arabi, perché gli interessi in gioco sono troppo alti per non passare sopra a certe trasgressioni.

      Il dottor Jekyll ha creato il suo mister Hyde, un alter ego delegato a delinquere impunemente; un “doppio” non del tutto gestibile ma sempre prezioso. Israele è un posto in cui non c’è nemmeno una vera e propria legge, non ha una Costituzione o una gerarchia delle fonti giuridiche; ma c’è una gerarchia antropologica. Così tutte le imprese del mondo possono aprire una propria filiale in Israele, che, ad onta delle continue guerre, è un posto “tranquillo” per gli affaristi, dove puoi riciclare soldi senza essere intercettato e dover pagare la tangente ad una miriade di poliziotti, giudici e costituzionalisti. Secondo i dati dell’ambasciata USA, Israele ospita ben duemilacinquecento imprese americane, e inoltre si registra un viavai di politici e amministratori locali statunitensi per ogni genere di giro di soldi. Un paradiso dei cleptocrati.

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