La dimensione giovanile, lo stato ed il ruolo dei ragazzi di oggi è sicuramente una questione molto dibattuta e spinosa, in particolare in quegli ambienti autoproclamatisi “del dissenso”, nei quali l’età media spesso e volentieri si aggira sulla cinquantina.
La scarsa adesione da parte di giovani a queste realtà e la loro debole partecipazione alla vita politica attiva e ad alcuni ultimi significativi movimenti di protesta, che non fossero d’impronta sorosiana, è un fatto che non è passato inosservato agli occhi di chi, l’altro ieri, scendeva in strada contro il Green Pass e ora, magari, critica il ruolo dell’occidente nel conflitto ucraino e promuove iniziative contro la NATO.
Il fatto che, nel caso del movimento No Pass, i giovani siano stati una flebile minoranza è un dato oggettivo, tuttavia è giusto qui ricordare l’eccezione del movimento degli Studenti Contro il Green Pass, a testimoniare che qualche giovane, magari alla sua prima (e spesso ultima) esperienza politica e di lotta, nei fatti c’era ed è pure sceso in piazza.
In ogni modo, negli ambienti “del dissenso”, dove di frequente prolifera un presuntuoso senso di (supposta) superiorità morale, spirituale ed intellettiva rispetto al resto della società, nonché una spesso infondata convinzione di essere “anti sistema”, oltre alla consueta domanda “dove sono i giovani?”, è facile imbattersi in persone che, certe di avere la verità dalla loro parte e resesi conto che i giovani siano in blocco una massa di poveretti atrofizzati, pontificano su cosa essi siano, cosa dovrebbero essere e cosa dovrebbero fare.
Esperti, o pseudo tali, dicono la loro sul tema e lanciano i loro allarmi, il tutto però senza mai interpellare i diretti interessati.
È anche per tentare di rompere con questa tendenza che con Come Don Chisciotte – che tra l’altro lavora attivamente per includere giovani elementi nella sua redazione – si è andati ad interpellare direttamente i giovani in piccole inchieste (1). Primi e piccoli passi, questi, nell’intento di indagare a fondo e di aprire un dialogo intergenerazionale che stenta a nascere.
Dare loro [ai giovani] voce – ed uno spazio – è fondamentale per capire realmente la complessità del reale e, magari, per poter ritrovare fiducia e speranza nelle nuove generazioni, fra le quali, si nascondono – in realtà – diverse ricchezze.
È con questo spirito che è nata l’idea di Massimo Selis e Belinda Bruni, professionisti nel settore cinematografico che, con la loro Phausania Film (casa produttrice da loro fondata all’inizio del 2022), stanno lavorando ad un originale documentario che dia la parola ad una fetta particolare della nostra gioventù, ovvero quella che ha una visione critica di questo tempo, delle sue dinamiche, manifeste e sottili.
Ecco cosa dicono gli autori in merito all’idea che sta alla base di E se ora, lontano, questo il titolo provvisorio della loro opera in cantiere:
“Come autori e genitori abbiamo osservato, per diversi anni, i giovani che si trovano ad affrontare un delicato momento di crescita, maturazione e sviluppo della propria identità, dentro un momento storico in cui tutto viene messo in discussione e vengono meno le certezze conosciute. Molti vorrebbero parlare dei giovani, descriverli, ma noi vogliamo invece che siano loro a parlare, a parlarci.”
E se ora, lontano non vuole però essere un classico e canonico documentario. Come infatti ci dicono Massimo Selis e Belinda Bruni, verranno introdotti una traccia narrativa e dei momenti di finzione, con il fine di far emergere con maggiore vigore e chiarezza le parole ed i tratti dei ragazzi che prenderanno parte alle riprese. La pellicola non sarà quindi un’opera di inchiesta, ma cinema, che attraverso il racconto di alcune storie, attraverso i ritratti dei giovani protagonisti, si farà portatrice di una visione diversa, di un messaggio diverso.
Ad ispirare la forma che prenderà il film, non c’è un modello alieno che magari arriva da oltreoceano, non quindi qualcosa di lontano, d’importazione, bensì una pietra miliare della nostra tradizione artistico letteraria, uno di quei capolavori che tuttora fanno da mito fondante della letteratura e della lingua italiana: il Decamerone di Boccaccio.
Se nel libro del grande scrittore di Certaldo, dei giovani scappano dalla città minacciata dalla peste, e trovano rifugio tra i colli della campagna toscana, dove si raccontano le loro novelle, nel film i ragazzi protagonisti si ritroveranno proprio in campagna, allontanandosi dal logorio della moderna quotidianità, per passare diversi giorni assieme, confrontandosi e aprendosi.
“Così i nostri giovani, si ritroveranno in un’antica pieve in Umbria, sopra il Lago Trasimeno. Dieci giorni di convivenza, di riflessioni, di confidenze e di lavoro in comune; e sullo sfondo un mondo in cerca di una nuova identità, di risposte più profonde. Come uno di loro ha suggerito: un’esperienza necessaria per osservare meglio il mondo dall’alto, da lontano. Lontano dal mondo per metterlo realmente a fuoco.”
Per trovare e selezionare i partecipanti, Massimo Selis e Belinda Bruni hanno contattato, sentito e conosciuto decine di ragazzi e ragazze provenienti da tutta Italia. Nel loro lavoro di ricerca si sono imbattuti in frasi e in stati d’animo che tradiscono una grande sensibilità, e si sono trovati dinanzi a persone che hanno sì ancora un lungo percorso da fare e costruire, ma anche tanto da dire e persino da insegnare.
Nei colloqui avvenuti tra gli autori ed i giovani, sono emersi i temi che stanno alla base dei dilemmi del nostro tempo, dalla necessità di costruire una società nuova, al ruolo della spiritualità, fino al desiderio di riuscire a costruire relazioni vere ed autentiche con l’altro e con la vita, in un tempo, il nostro, nel quale entrare realmente in contatto con il prossimo è sempre più difficile.
Questo ed altro verrà fuori nel film, che è ancora in piena fase di realizzazione. Le riprese avranno infatti luogo in Umbria nel prossimo aprile, alle quali seguirà l’importante e non facile lavoro della post-produzione.
Dunque E se ora, lontano è un grande lavoro in corso, che può essere sostenuto dalle persone sia con delle donazioni al link www.phausaniafilm.it/donazioni/ che informando il pubblico dell’esistenza di questo film. E, per gli imprenditori, c’è la possibilità di diventare sponsor. Contattando la Produzione all’indirizzo email info@phausaniafilm.it si può richiedere il documento di presentazione ed i vari pacchetti di sponsorizzazione. E se ora lontano è un’opera che, come dicono Massimo e Belinda, “al momento non trova paragoni e che si propone come avanguardia, sia per il tema ed i suoi protagonisti, ma anche per la forma innovativa.”
Abbiamo intervistato gli autori, anche fondatori della Phausania Film, casa di produzione nata con lo specifico intento di proporre un cinema sia attento al reale, che capace di trasfigurarlo con uno sguardo poetico. Un cinema che sappia parlare alla profondità dell’uomo senza suggestionarlo con facili espedienti.
Con Phausania Film M. Selis e B. Bruni hanno già realizzato due cortometraggi di animazione, Invito al viaggio e Ogni incontro è un altrove, quest’ultimo selezionato in oltre 30 festival specializzati in tutto il mondo, e il documentario Passi sul mare.
Oltre alla loro attività nel settore cinematografico Massimo e Belinda sono autori di diversi articoli pubblicati negli anni per varie testate, tra cui l’Intellettuale Dissidente, Il Pensiero Forte e Il Detonatore. Oggi collaborano con Idee&Azione e Giubbe Rosse. Insieme hanno fondato e dirigono il blog di Tradizione I fili sparsi.
- Massimo e Belinda, grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Iniziamo con il chiedervi quando avete maturato l’idea di realizzare questo film. C’è stato un fatto o un momento particolare che vi ha spinto ad intraprendere questo lavoro? E perché parlare proprio dei giovani?
“La storia parte ormai da lontano, quando, durante il cosiddetto evento pandemico, abbiamo iniziato ad osservare come vivevano e reagivano i ragazzi a quella realtà, che ci ha travolto tutti. Come genitori osservavamo le nostre figlie, i loro amici e ricevevamo testimonianze da altri genitori, insegnanti da tutta Italia. Abbiamo notato fin da subito che in alcuni giovani c’era uno sguardo diverso e importante sul mondo, sugli adulti, su quello che stava succedendo; c’era una capacità di riflessione non banale, anzi profonda, che aveva delle peculiarità rispetto a quella degli adulti, eppure pochissimi sembravano interessarsi a questa voce, a questo sguardo. E mentre passavano i mesi – e poi gli anni – questa voce restava sempre silenziata. In alcuni ambienti, si parlava dei giovani ma non si dava loro spazio per raccontarsi.
Così abbiamo definitivamente compreso che dovevamo essere noi a raccontare questa voce; è stata una promessa alle nostre figlie – e attraverso di loro – a tutti i giovani che non avevano voce.”
- La vostra idea sul come impostare il film è stata chiara fin dal principio? Ci sono state difficoltà o ripensamenti?
“Siamo partiti, come detto, dalla voce non ascoltata dei giovani. Il primo passo è stato quindi osservare e ascoltare. Non avevamo un’idea precisa su come impostare il film. Un documentario parte dall’osservazione della realtà che si sceglie di raccontare, poi l’autore crea una cornice artistica per portarla al pubblico. L’occhio dell’autore deve dare una forma artistica che sia coerente con il soggetto narrato, avendo cura di non deformare la realtà raccolta. La forma è stata immaginata a partire dalle testimonianze. Sono state valutate forme diverse, da un punto di vista artistico ma anche produttivo e pratico, perché un film deve essere realizzabile. Abbiamo dovuto scartare idee che ci piacevano. L’attuale forma è nata quando, dovendo mettere insieme arte e realtà produttiva, a Massimo è venuta l’ispirazione del Decamerone e dei giovani che si ritirano in un casale, ma invece di raccontare novelle raccontano le loro storie. È un’ispirazione che ci ha aiutato a creare un contesto in cui realizzare le riprese. La cornice narrativa che farà emergere le riflessioni ed i ritratti dei ragazzi sarà invece rivelata solo nel film.”
- Come avete fatto il vostro casting? Come avete contattato i ragazzi e, soprattutto, che impressione avete avuto dai vari e numerosi colloqui che avete avuto?
“Abbiamo iniziato dai ragazzi più vicini noi, dai figli di alcuni amici, ad ognuno chiedevamo se conosceva altri giovani interessanti come lui. Con un passaparola di giovani, ma anche di adulti, soprattutto insegnanti, abbiamo raccolto testimonianze da tante regioni. Abbiamo anche presentato il progetto ad alcune proiezioni del nostro precedente film Passi sul mare. Un grandissimo ringraziamento va al prof Lorenzo Maria Pacini che ci ha segnalato molti giovani che lui aveva conosciuto in questi anni e con cui aveva collaborato. Abbiamo svolto lunghe chiacchierate ed i ragazzi ci hanno stupito, talvolta persino commosso.
Abbiamo notato che la pandemia era un punto di partenza, una svolta nella vita dell’umanità, così come nelle loro vite, ma c’era molto, molto di più. Noi gli davamo un piccolo spunto iniziale invitandoli poi a dire tutto quello che sentivano urgente, tutto quello di cui abitualmente è difficile parlare, come se si confidassero ad un amico.
I temi che sono stati toccati sono stati tanti e, un’altra cosa che ci ha sorpreso, accomunavamo quasi tutti i ragazzi. Ascoltandoli e rileggendo gli appunti presi in queste chiacchierate, ci siamo ancora di più convinti della necessità di questo film.”
- Che idea avete voi del c.d. “mondo del dissenso”? Perché secondo voi vi è una bassa presenza giovanile?
“Durante la cosiddetta emergenza pandemica si è creato un movimento quasi spontaneo, come non si vedeva da tanto tempo. Non solo le persone sono tornate in piazza, ma si sono create reti umane e tante occasioni di prossimità, di sincera solidarietà, di voglia anche di costruire qualcosa insieme. Purtroppo è stata un’occasione mancata, e non era un’occasione da poco. A nostro parere, è stato evidente fin dal Green Pass da guarigione dato facilmente in farmacia, come la maggioranza fosse solo alla ricerca di soluzioni pratiche e personali. Una volta risolte le proprie questioni più urgenti, quasi tutti sono tornati a vivere esattamente come prima: stessa vita, stesso modo di lavorare, stesso modo di accettare le dinamiche sociali, quelle di tutti i giorni.
È risultata esserci, alla fine, una dimensione “solo contro”. Noi lo abbiamo detto pubblicamente in interviste e dibattiti, lo abbiamo scritto in diversi articoli: occorreva leggere in profondità il significato di questa grande occasione.
Un movimento fermo alla dimensione “contro”, all’analisi critica del “nemico” e non rivolto all’intera società, in cui viviamo tutti, ha difficoltà a costruire. Quello che noi abbiamo visto nei giovani che abbiamo ascoltato, è invece una sete di vera cultura, di una visione critica che abbraccia ogni aspetto della vita. È la voglia di costruire, oggi, di agire nella società, oggi. Perché si può e si deve fare cultura, perché si può e si deve costruire. Una voce di speranza concreta.”
- I protagonisti che avete scelto per E se ora, lontano, sono giovani che, al tempo, furono critici della gestione pandemica e del Green Pass. Come vedete invece gli “altri” giovani? Credete di trovare grandi differenze tra questi giovani e gli altri? Perché non provare a coinvolgere nel film anche ragazzi che provengono da un’esperienza diversa e che – al tempo – presero altre scelte (sempre se di scelta si possa parlare)?
“Abbiamo ascoltato decine di giovani da tutta Italia. Non tutti erano “non vaccinati”, ci sono motivazioni diverse e personali che possono aver spinto a questa scelta, considerato che alcuni erano minorenni all’epoca, ma tutti erano portatori di una visione autentica, originale. Ragazzi che non ci hanno portato solo idee, ma vissuti in prima persona, che ci hanno sinceramente commosso. Ad esempio, anche i vaccinati hanno notato che una volta tornati alla cosiddetta normalità, non si poteva più parlare di covid, lasciando molto di irrisolto e di non elaborato. I ragazzi testimoniano un percorso, e questo è bellissimo, perché questa è la vita; questo è cinema.
Nel film, la pandemia è un punto di partenza, uno spartiacque della Storia – come diversi hanno detto – ma verranno toccati molti temi. Il nostro intento non è quello di fare un’inchiesta, uno spaccato generico sulla gioventù, ma di portare al pubblico voci non ascoltate. Per questo, non siamo andati a cercare chi ha già una voce o uno spazio che, pur di critica, è giocato più sull’ideologia che sul vissuto.
Noi siamo cinquantenni e apparteniamo ad un’altra generazione. I nostri figli sono cresciuti, a differenza nostra, senza respirare movimenti di protesta, grandi ideali, lotta politica, che non fossero proteste preconfezionate.
Non ci stupiamo che la maggioranza non abbia avuto risorse per affrontare questo tempo. Ma di questo, consideriamo responsabile la nostra generazione. Siamo noi che abbiamo costruito ed accettato un mondo tarato sul “produci, consuma, crepa”, siamo noi che abbiamo trasmesso il dogma di fare quello che conviene e poi sfogarsi. E non è con un po’ di moralismo che possiamo metterci a posto la coscienza. Siamo noi che dovremmo fare un passo indietro, riconoscere gli errori e metterci in ascolto.”
- Quanto peso e che valore attribuite al posizionamento preso da una persona ai tempi del Covid-19 e del Green Pass? Esso può, secondo voi, essere realmente un elemento capace di indicare qualcosa di profondo, una qualche distinzione?
“L’evento pandemico è stato come il cadere di tutte le maschere. Questo, ovviamente, per chi lo ha visto. La società in cui noi siamo nati e cresciuti si è rivelata con il suo vero volto. Non è stato un evento improvviso, di follia improvvisa, ma purtroppo l’ovvia conseguenza di ciò che è venuto prima, lungo molti decenni.
Oggi vediamo persone che, all’epoca, non si erano vaccinate e che per qualsivoglia motivo, sono tornate a vivere esattamente come prima, felici di riavere la vita di prima; e persone che, per qualsivoglia altro motivo, al tempo non si erano opposte, ma adesso si interrogano su molti aspetti del vivere in questa assurda società e sono capaci di riflessioni anche più profonde e spiazzanti di tanti No Green Pass.
Crediamo fortemente che il punto di discrimine sia l’essersi, o meno, messi in cammino nell’aver riconosciuto che ciò da cui ci si deve distaccare e purificare non siano tanto le ideologie del potere di oggi, quanto lo “spirito di questo tempo”.
- La pellicola è ancora in corso di realizzazione, quando uscirà il film? Inoltre, in che modo possono gli interessati, sostenere la produzione di E se ora, lontano?
“Abbiamo i fondi per questa fase di preparazione e per le riprese, che verranno effettuate ad aprile. Confidiamo di fare uscire il film entro novembre 2025.
A riprese terminate avvieremo una campagna di raccolta fondi su una piattaforma con lo specifico intento di coprire le spese di post-produzione e di distribuzione.
Ribadiamo che, già da ora, è possibile sostenere il film con donazioni da parte di privati sul nostro sito o diventando sponsor se si è un’impresa. Offriamo vari pacchetti di sponsorizzazione, adatti a piccole, medie o grandi realtà.
L’arte e il cinema indipendente possono raccontare storie e temi “difficili”, non usuali, possono costruire e testimoniare un immaginario diverso. Perché per dire cose diverse, bisogna usare una forma diversa. Ci auguriamo che il nostro film sorprenda piacevolmente nel contenuto e nella forma.”