L’accenno alla questione della moneta nazionale palestinese lo fa Di Battista nell’intervento alla trasmissione Di Martedì su La7 del 10 ottobre, dove parla del “diritto alla moneta palestinese”
Ora, lungi da noi dare un giudizio sugli interventi in sé, ma la questione del ‘diritto a una moneta‘ da parte dei palestinesi della Striscia di Gaza è uno degli elementi che dovrebbero essere all’ordine del giorno della Comunità Internazionale. Soprattutto se si vuole la Pace.
E sottolineiamo SE.
Nella Striscia di Gaza la spesa si fa con la valuta israeliana, lo SHEKEL (NIS, New Israel Shekel).
Gli Accordi di Oslo [1] del 1993 preclusero l’emissione di una propria valuta all’Autorità Nazionale Palestinese che, di conseguenza, fu costretta a rimanere dipendente dalle valute israeliana.
L’Autorità Monetaria Palestinese (PMA), istituzione pubblica indipendente simile a una banca centrale statale che fa riferimento all’autorità palestinese, non è abilitata alla stampa di valuta, né avrebbe comunque i mezzi per farlo.
Non sfuggirà ai più che l’utilizzo di una moneta estera comporta, per la comunità che ne fa uso, una sostanziale posizione di subalternità (per non dire schiavitù economica) nei confronti del Paese che la emette. E in effetti la valuta israeliana è una vera e propria arma nelle mani di Israele: sono forti le interferenze nelle dinamiche creditizie, e abbondanti le limitazioni imposte sui trasferimenti di denaro da Gaza verso Israele da parte delle autorità dello Stato ebraico.
In primo luogo, la legge israeliana, al fine di contrastare il fenomeno del riciclaggio di denaro, vieta da e verso i territori palestinesi le grandi transazioni in contanti, decidendo persino la quantità di Shekel che può essere trasferita mensilmente verso Israele dai territori della Palestina. Queste misure, oltre ad essere estremamente limitanti, causano l’accumulo di grandi quantità di Shekel nelle banche palestinesi, impossibilitate a movimentare gli eccessi di denaro e al contempo costrette spesso a ricorrere a prestiti in valuta estera, per sanare debiti impagabili altrimenti tramite trasferimento diretto di denaro dalle proprie istituzioni. [2]
Quindi due popoli, coinvolti in un conflitto estenuante da decenni, usano la stessa moneta. Due comunità così divise anche da un poderoso muro ‘difensivo’, sono legate dalla stessa valuta. Due economie diametralmente opposte unite dalle decisioni della Banca di Israele, che tipo di rapporti potranno mai avere, se non quelli che vediamo oggi drammaticamente sotto i nostri occhi?
Perché nessun popolo può decidere del proprio destino se non ha la possibilità di decidere le proprie politiche economiche!
Ed è difficile non capire che la questione sia dirimente: l’indipendenza dei popoli si gioca anche attraverso la possibilità di emettere la propria moneta e decidere le proprie politiche economiche. Cosa che sta facendo in queste ore Israele:
Guerra Israele, dalla Banca Centrale fino a 45 miliardi di dollari per sostenere lo Shekel. [3]
L’impossibilità di reagire di fronte allo strapotere economico israeliano [4], si traduce nei fatti nell’impossibilità di trovare una soluzione pacifica se non verranno creati due Stati sovrani l’uno indipendente dall’altro, con due Banche Centrali, come da tempo auspicato anche dai Paesi europei. [5]
Gli aiuti a pioggia della Comunità Internazionale non smuovono di un millimetro la condizione economica precaria della popolazione palestinese della Striscia di Gaza. O meglio, si tratta di mantenere una comunità di più di due milioni di persone in una posizione di sostanziale dipendenza dagli Stati esteri, senza trovare una soluzione concreta al problema.