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      • LA NATO SEMPRE DALLA PARTE DELL’AMORE

      LA NATO SEMPRE DALLA PARTE DELL’AMORE

      NATO Secretary General Jens Stoltenberg (R) and US Vice President Joe Biden talk during during the second day of the 51st Munich Security Conference (MSC) in Munich, southern Germany, on February 7, 2015. The Ukraine conflict, Islamic State group jihadists and the wider "collapse of the global order" will occupy the world's security community at the three-day annual meeting. AFP PHOTO / CHRISTOF STACHE (Photo credit should read CHRISTOF STACHE/AFP via Getty Images)

      Quasi tutti gli osservatori hanno notato come non sia casuale che la visita di Xi Jinping a Belgrado sia avvenuta in coincidenza con l’anniversario del bombardamento della NATO sulla capitale serba. In quella circostanza fu colpita anche l’ambasciata cinese, con alcune vittime tra gli addetti. Come si dice in gergo diplomatico, “la visita ha rafforzato la cooperazione economica tra i due paesi”, ma va considerata anche la cooperazione militare, che nel 2022 era già culminata nella fornitura a Belgrado di un sistema antimissile cinese. I sistemi difensivi degli altri sono percepiti giustamente da noi come una minaccia, dato che modificano i rapporti di forza; senza contare che volersi sottrarre alla pedagogia dei bombardamenti denota un po’ di arroganza da parte dei serbi.
      Il bombardamento della NATO del 1999 è considerato un evento di svolta nell’evoluzione dell’alleanza euroamericana in chiave esplicitamente aggressiva. In realtà la NATO aveva cominciato a bombardare i serbi già quattro anni prima, nel 1995. In quel caso si trattava dei serbi di Bosnia, considerati dai media occidentali come i soli, o principali, responsabili dell’esasperazione della guerra civile nell’ex Jugoslavia, e addirittura di un genocidio nei confronti dei mussulmani bosniaci. Grazie all’aiuto della NATO un’alleanza di croati e mussulmani riuscì a riconquistare la gran parte della Bosnia. In un articolo di quattro anni fa il quotidiano online “Il Post” rievocava quell’evento cercando di delinearne una serie di possibili cause.

      In quella ricostruzione mancavano però dettagli macroscopici ed un attore decisivo, cioè i soldi e chi li forniva. Per fortuna proprio le fonti saudite sono prodighe di dettagli sul flusso di finanziamenti che la principale petromonarchia del Golfo ha indirizzato verso la Bosnia sin dalla sua dichiarazione d’indipendenza nel 1992, ma anche prima di quella data. Sul quotidiano saudita “Arab News” si trovano particolari sulla quantità e continuità dei finanziamenti ed anche sulla destinazione dei fondi, tra cui enti e attività “culturali”. Le terapie dell’Alzheimer impallidiscono al confronto: pare infatti che il denaro saudita abbia risvegliato la memoria etnica e religiosa di molti bosniaci, circa il 51%, facendogli improvvisamente ricordare le radici islamiche e inducendoli quindi a votare a favore dell’indipendenza nel referendum del 1992. Il denaro non è solo potere d’acquisto, è suggestione, fascinazione. La ripartizione delle tipologie di potere operata da Max Weber si è rivelata un po’ evanescente, in particolare è risultato chimerico il potere legale-razionale dello Stato, dato che tutti i regimi vivono a cavallo tra legalità ed illegalità, ed inoltre sono soggetti alle spinte estemporanee delle lobby d’affari. Il potere carismatico invece ha dimostrato di possederlo il denaro, che ipnotizza e trascina le folle senza aver bisogno neppure di pagarle. Il feticismo del denaro ha condizionato persino le oligarchie occidentali, dato che c’è voluta una guerra per scoprire di essersi deindustrializzati al punto di non essere più capaci di produrre munizioni.

      In un paese povero l’arrivo di una massa di soldi ha ovviamente un effetto destabilizzante, fa saltare i rapporti di forza, le aspettative e gli equilibri sociali; perciò non è strano che i serbi possano essersi sentiti a loro volta in pericolo. Se si fosse voluto discutere seriamente di una pacificazione in Bosnia, al tavolo delle trattative non avrebbe dovuto mancare l’Arabia Saudita. Alla NATO però non interessava la cessazione delle ostilità e dei massacri, ma solo l’espansione verso est a scapito di un alleato naturale della Russia come è la Serbia. Anche in Cecenia, in Libia ed in Siria, l’arrivo del denaro delle petromonarchie ha coinciso con la radicalizzazione islamica. Arabia Saudita e Qatar sono soggetti imperialistici autonomi, i cui interessi però convergono con quelli della NATO e di Israele, dato che hanno in comune gli stessi bersagli.

      Oggi c’è internet e quindi la possibilità di trovare informazioni accedendo direttamente alle fonti; forse però anche nel 1995 potevamo almeno capire che la narrazione mainstream mentiva quando scaricava le colpe esclusivamente sulla parte serba. Oggi come allora il nostro faro nella nebbia, la nostra bussola e la nostra guida spirituale è Adriano Sofri il campione della pubblicità pro NATO da almeno trent’anni, . Da lui abbiamo appreso quale sia il classico “argumentum ad fondellum”, quello che ci garantisce che ci stanno raccontando tutte balle. Si tratta del mantra “antisemitismo e affini”, che Sofri riusciva a tirare fuori persino a proposito dei mussulmani di Bosnia, paragonati agli ebrei. Insomma ci sono i cattivi, gli “haters”, che improvvisamente se la prendono con qualche innocente, perciò vanno rieducati a colpi di bombe. Spiegare qualsiasi conflitto con l’odio etnico esime dalla individuazione delle condizioni materiali della guerra, cioè quei fattori che hanno consentito ad un odio latente di esprimersi. Tra esseri umani l’odio non è una variabile, è una costante, c’è persino all’interno delle famiglie. Occorre individuare il fatto nuovo, la variabile che ha fatto saltare gli equilibri. Magari quella variabile è stata l’amore della NATO.

      I sauditi sono una dinastia adelfica, nella quale la successione al trono avviene tra fratelli; ciò comporta l’abitudine all’intrigo ed alla congiura, perciò se un’impresa va storta non se ne fa un dramma, rientra nel bilancio familiare. Abbiamo visto come i sauditi siano stati pronti a riabbracciare cordialmente Assad, preso atto sportivamente che non erano riusciti ad eliminarlo. L’intervento russo in Siria nel 2015 ha cambiato i rapporti di forza in tutta la regione mediorientale. Sebbene da parte russa non ci fosse alcuna intenzione di indebolire Israele, oggettivamente lo si è fatto, poiché si è conferito un crisma di inamovibilità al regime alauita degli Assad ed al suo asse con l’Iran. Ciò spiega l’attuale nevrastenia del gruppo dirigente israeliano.

      Nel corso degli anni ’80 l’imperialismo russo era sprofondato a causa dei suoi costi insostenibili, ma ora si trova ad essere rilanciato proprio grazie all’amore della NATO e delle petromonarchie, che gli hanno offerto involontariamente nuove occasioni di protagonismo.

      Persino le sanzioni si sono rivelate un affare per la Russia. In un articolo del maggio 2022, pubblicato sul “New York Times”, Paul Krugman, premio Nobel statunitense per l’economia, era categorico già dal titolo, che evocava il presunto strangolamento economico di Putin. Bisogna ricordare che a quel tempo l’Europa non si era ancora sganciata del tutto (così dice) dalle forniture energetiche della Russia, che i provvedimenti contro gli “oligarchi” erano appena cominciati, e che i famosi “pacchetti” di sanzioni erano ancora all’inizio.

      Nell’articolo Krugman spiega in modo diffuso l’apparente paradosso: “Le esportazioni russe hanno retto e il paese sembra avviato verso un surplus commerciale da record. Quindi Putin sta vincendo la guerra economica? No, la sta perdendo.” E così conclude: “Ma il surplus commerciale della Russia è un segno di debolezza non di forza. Le sue esportazioni stanno reggendo bene, nonostante il suo status di paese paria, ma la sua economia è paralizzata da una riduzione delle importazioni. E questo significa che Putin sta perdendo sia la guerra economica sia quella militare.”

      A questo punto è chiaro perché Proudhon si domandasse come due economisti riescano a non ridere quando s’incontrano.

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