In una recente intervista al Financial Times, un alto generale dei Marines americani, James Bierman, ha spiegato in un momento di candore come gli Stati Uniti stiano “preparando il teatro” per una possibile guerra con la Cina, ammettendo casualmente che i pianificatori della difesa statunitense erano impegnati in Ucraina già da anni, “per prepararsi seriamente” alla guerra contro la Russia – fino al “preposizionamento dei rifornimenti” e l’identificazione dei siti da cui gli Stati Uniti avrebbero potuto fornire supporto e sostenere le operazioni. In poche parole, erano lì, da anni, a preparare lo spazio di battaglia.
Non c’è da sorprendersi, perché queste risposte militari derivano direttamente dalla decisione strategica centrale degli Stati Uniti di attuare la “Dottrina Wolfowitz” del 1992, secondo la quale gli Stati Uniti devono pianificare e agire preventivamente per mettere fuori gioco qualsiasi potenziale Grande Potenza – ben prima che raggiunga il punto in cui possa rivaleggiare o compromettere l’egemonia statunitense.
Oggi la NATO è arrivata alla guerra contro la Russia in uno spazio di battaglia che, nel 2023, potrebbe, ma anche no, limitarsi all’Ucraina. In poche parole, il punto è che il passaggio (che sia incrementale o meno) alla “guerra” segna una transizione fondamentale da cui non si può tornare indietro. Le “economie di guerra” sono, in sostanza, strutturalmente diverse dalla “normalità” da cui l’Occidente era partito e a cui si era abituato negli ultimi decenni. Una società in guerra – anche se solo parzialmente mobilitata – pensa e agisce in modo strutturalmente diverso da una società in tempo di pace.
La guerra non è neanche comportarsi da gentiluomini…. L’empatia per il prossimo è la sua prima vittima – un decesso che serve a sostenere lo spirito combattivo.
Eppure, la finzione, accuratamente portata avanti in Europa e negli Stati Uniti, continua a sostenere che nulla è realmente “cambiato” o “cambierà”: siamo in un “blip” temporaneo. Tutto qui.
Zoltan Pozsar, l’influente “oracolo” finanziario del Credit Suisse, nel suo ultimo saggio Guerra e Pace (solo su abbonamento) ha già fatto capire che la guerra è ben avviata, semplicemente elencando gli eventi del 2022:
– Il blocco finanziario della Russia da parte del G7 (l’Occidente sta preparando lo spazio di battaglia).
– Il blocco energetico della Russia nei confronti dell’UE (la Russia inizia a preparare il suo teatro).
– Il blocco tecnologico degli Stati Uniti nei confronti della Cina (preposizionamento da parte dell’America di siti per sostenere le operazioni).
– Il blocco navale di Taiwan da parte della Cina (la Cina dimostra di essere pronta).
– Il “blocco” statunitense del settore EV [veicoli elettrici] dell’UE con l’Inflation Reduction Act. (I pianificatori della difesa statunitense si preparano per le future “linee di rifornimento”).
– La “manovra a tenaglia” della Cina sull’OPEC+ con la crescente tendenza a fatturare le vendite di petrolio e gas in renminbi. (Lo “spazio di battaglia delle materie prime” Russia-Cina).
Questo elenco equivale ad un grande “sconvolgimento” geopolitico che si verifica, in media, ogni due mesi – e che allontana in modo decisivo il mondo dalla cosiddetta “normalità” (a cui molti della classe consumatrice anelano ardentemente), portandolo ad uno stato intermedio di guerra.
L’elenco di Pozsar mostra che le placche tettoniche della geopolitica sono davvero “in movimento” – con spostamenti che stanno accelerando e diventando sempre più interconnessi, ma che sono ancora lontani dall’essere arrivati ad un punto fermo. La “guerra” sarà probabilmente un fattore di disturbo importante (come minimo), fino a quando non verrà stabilito un equilibrio. E questo potrebbe richiedere alcuni anni.
Alla fine, la “guerra” produce comunque degli effetti sulla mentalità pubblica convenzionale, anche se lentamente. Sembra che la paura di questi effetti su una mentalità impreparata sia alla base della decisione di prolungare le sofferenze dell’Ucraina, portando così la guerra nel 2023: un’ammissione di fallimento in Ucraina rischierebbe di spaventare i volatili mercati occidentali (con tassi di interesse più alti per un periodo più lungo). E parlare francamente rappresenta un’opzione difficile da prendere per un mondo occidentale, abituato a “decisioni facili” e “calciare il barattolo.”
Pozsar, essendo un guru della finanza, nel suo saggio si concentra comprensibilmente sulla finanza. Ma è plausibile che il riferimento a Manias, Panics and Crashes di Kindleberger non sia un capriccio, bensì un’allusione al possibile “colpo” alla psiche convenzionale.
In ogni caso, Pozsar ci lascia quattro spunti economici fondamentali (con l’aggiunta di brevi commenti):
1. La guerra è il principale motore storico dell’inflazione e della bancarotta degli Stati. (Commento: l’inflazione provocata dalla guerra e la stretta quantitativa (QT) attuata per combattere l’inflazione sono politiche che operano in radicale opposizione l’una all’altra. In tempo di guerra, il ruolo delle banche centrali si riduce al sostegno delle esigenze belliche, a spese di altre variabili.
2. La guerra necessita di una capacità industriale di produrre armi (rapidamente) effettiva ed espandibile, che richiede linee di approvvigionamento sicure per alimentare tale capacità. (Una qualità che l’Occidente non possiede più e che è costoso ricreare);
3. I beni che spesso servono come garanzia per i prestiti diventano scarsi – e questa scarsità si manifesta come “inflazione” dei beni;
4. Infine, la guerra crea nuovi canali finanziari, come il progetto “m-CBDC Bridge” (vedere qui).
Questo punto va sottolineato ancora una volta: la guerra crea dinamiche finanziarie differenti e modella una psiche diversa. E, soprattutto, la “guerra” non è un fenomeno stabile. Può iniziare con piccoli attacchi di facciata alle infrastrutture di un rivale e poi – ad ogni incremento di “missione” – strisciare verso una guerra vera e propria. La missione della NATO non sta solo strisciando verso una guerra con la Russia, ci sta andando a passo di corsa – temendo un’umiliazione in Ucraina sulla scia della precedente débacle in Afghanistan.
L’UE spera di arrestare questo scivolamento ben prima della guerra totale. Si tratta comunque di un pendio molto viscido. Lo scopo della guerra è quello di infliggere dolore e distruggere il nemico. In questo senso è aperta ai cambiamenti. Le sanzioni formali e i tetti al prezzo dell’energia si trasformano rapidamente nel sabotaggio di oleodotti o nel sequestro di navi cisterna.
La Russia e la Cina, tuttavia, non sono certo ingenue e si sono date da fare per allestire il proprio teatro, in vista di un potenziale scontro più ampio con la NATO.
Cina e Russia possono ora affermare di aver costruito una relazione strategica non solo con l’OPEC+, ma anche con l’Iran e con i principali produttori di energia.
La Russia, l’Iran e il Venezuela rappresentano circa il 40% delle riserve petrolifere accertate a livello mondiale e ciascuno di essi sta attualmente vendendo petrolio alla Cina in cambio di renminbi con un forte sconto. I Paesi del CCG [Gulf Cooperation Council· Bahrain · Kuwait · Oman · Qatar · Saudi Arabia · United Arab Emirates] rappresentano un altro 40% delle riserve petrolifere accertate e sono corteggiati dalla Cina affinché accettino il renminbi per il loro petrolio, in cambio di investimenti trasformativi.
Si sta preparando un nuovo importante spazio di battaglia: porre fine all’egemonia del dollaro facendo bollire lentamente la rana.
La controparte ha sferrato il colpo iniziale, sanzionando metà dell’OPEC, quello che detiene il famoso 40% delle riserve mondiali di petrolio. Il colpo è fallito: l’economia russa è sopravvissuta – e non sorprende che le sanzioni abbiano “allontanato” quegli Stati dall’Europa, “consegnandoli” invece alla Cina.
Nel frattempo, la Cina sta corteggiando l’altra metà dell’OPEC con un’offerta difficile da rifiutare: “Nei prossimi “tre-cinque anni” la Cina non solo pagherà sempre più petrolio in renminbi – ma, cosa più significativa, “pagherà” con nuovi investimenti nelle industrie petrolchimiche a valle in Iran, Arabia Saudita e, più in generale, nel CCG. In altre parole, costruirà l’economia della generazione successiva” per questi esportatori di combustibili fossili, la cui data di scadenza energetica si avvicina.
Il punto chiave è che in futuro molto più “valore aggiunto” (nel corso della produzione) sarà catturato localmente, a spese delle industrie occidentali.
Pozsar lo chiama sfacciatamente: “Le nostre risorse, il vostro problema… Le nostre risorse, la nostra emancipazione.” In altre parole, in gran parte del Resto del Mondo l’asse Cina-Russia sta accendendo i fuochi di un’insurrezione strutturale contro l’Occidente.
Questi fuochi mirano a “bollire lentamente la rana” – non solo quella dell’egemonia del dollaro, ma anche quella di un’economia occidentale ormai non più competitiva.
Emancipazione? Sì! Ecco il punto cruciale: La Cina riceve l’energia russa, iraniana e venezuelana con uno sconto del 30%, mentre l’Europa continua a ricevere l’energia per la sua industria, ma solo con un forte sovrapprezzo. In breve, il valore aggiunto dei prodotti sarà acquisito in misura maggiore, e talvolta totale, dagli Stati “amici” dell’energia a basso costo, a scapito degli Stati “non amici” e non competitivi.
“La Cina – la nemesi – paradossalmente è un grande esportatore di GNL russo ad alto margine di profitto verso l’Europa, e l’India un grande esportatore di petrolio russo ad alto margine di profitto e di prodotti raffinati, come il diesel, verso l’Europa. Dovremmo aspettarci un numero maggiore di prodotti, fatturati non solo in euro e dollari, ma anche in renminbi, dirham e rupie,” suggerisce Poszar.
Può non sembrare così ovvio, ma si tratta di una guerra finanziaria. Se l’UE si accontenta di prendere la “via d’uscita più facile” per cercare di evitare la caduta nella non competitività (attraverso i sussidi per consentire le importazioni ad alto prezzo), allora, come disse una volta Napoleone osservando un nemico che commetteva un errore, bisogna osservare il silenzio!
Per l’Europa, ciò significa meno produzione interna e più inflazione, perché le alternative che gonfiano i prezzi vengono importate dall’Est. L’Occidente che prende la “decisione facile” (dato che la sua strategia sulle energie rinnovabili non è stata ben ponderata), probabilmente troverà che questa decisione va a scapito della crescita in Occidente – un percorso che, nel prossimo futuro, prefigura un Occidente sempre più debole.
L’UE sarà particolarmente colpita. Ha scelto di dipendere dal GNL statunitense, proprio nel momento in cui la produzione dei giacimenti di scisto degli Stati Uniti ha raggiunto il suo picco, e questa produzione è probabilmente destinata al mercato interno statunitense.
Così, mentre il generale Bierman illustrava come gli Stati Uniti avevano preparato lo spazio di battaglia in Ucraina, la Russia, la Cina e i pianificatori dei BRICS erano impegnati ad allestire il proprio “teatro.”
Naturalmente, non è detto che le cose debbano andare per forza così: il procedere a tentoni dell’Europa verso la catastrofe riflette una psicologia radicata nell’élite dirigente occidentale. In Occidente non si fa alcun ragionamento strategico, né si prendono “decisioni difficili.” È tutto un Merkelismo narcisistico (decisioni difficili rinviate e poi “falsificate” attraverso l’elargizione di sussidi). Il Merkelismo si riferisce al regno di Angela Merkel all’interno dell’UE, dove le riforme fondamentali venivano invariabilmente rimandate.
Non c’è bisogno di riflettere o di prendere decisioni difficili, quando i leader sono convinti che l’Occidente sia il centro dell’universo. È sufficiente rimandare, in attesa che l’inevitabile avvenga comunque.
La storia recente delle guerre eterne guidate dagli Stati Uniti è un’ulteriore prova di questa lacuna occidentale: queste guerre zombie si sono trascinate per anni senza alcuna giustificazione plausibile, per poi essere abbandonate senza tanti complimenti. Tuttavia, le dinamiche strategiche venivano soppresse e dimenticate molto più facilmente quando si combattevano guerre di insurrezione – rispetto alla lotta contro Stati concorrenti ben armati e paritetici.
La stessa disfunzionalità si è manifestata in molte crisi occidentali a lento decorso: tuttavia, persistiamo… perché la protezione della fragile psicologia dei nostri leader – e di un settore influente dell’opinione pubblica – ha la precedenza. L’incapacità di accettare la sconfitta spinge le nostre élite a preferire il sacrificio del proprio popolo, piuttosto che vedere smascherate le proprie illusioni.
Per questo motivo, la realtà deve essere ignorata. Viviamo quindi una nebulosa epoca di mezzo: tante cose accadono, ma c’è poco movimento. Solo quando l’esplosione della crisi non potrà più essere ignorata – anche dai censori dei media mainstream e di Big Tech – si potrà fare qualche sforzo reale per affrontare le cause alla radice.
Questo enigma, tuttavia, pone un enorme fardello sulle spalle di Mosca e di Pechino, che devono gestire l’escalation della guerra in modo accorto, di fronte ad un Occidente per il quale perdere è intollerabile.