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      • La società ineducata

      La società ineducata

      Cosa ci spaventa della nostra società? La solitudine di massa, ringhiosa e diffidente, restia a socializzare e a confrontarsi. La crescita smisurata della tecnologia e dei suoi inquietanti risvolti, con la dipendenza crescente dallo smartphone; la perdita di ogni socialità di prossimità e di ogni vera condivisione. La violenza molecolare nelle strade, nelle coppie, verso le donne, i bambini, i vecchi, tra ragazzi, per impossessarsi di un minimo oggetto o per sopprimere l’ostacolo ai nostri desideri immediati. L’aggressività nei rapporti interpersonali, per ragioni di mancata integrazione, di vicinato, di traffico, di precedenze, di branco, di spazi pubblici, di fragilità psichica, verso gli insegnanti, i medici, gli infermieri, i pubblici dipendenti, gli inermi passanti.

      Potremmo continuare all’infinito ma tutte le strade conducono ad un centro che non vogliamo vedere e nemmeno nominare: l’educazione. Il problema principale è che viviamo in una società ineducata. Si, anche maleducata, ma soprattutto ineducata; ossia nessuno avverte il dovere, il diritto, l’obbligo di educare e di essere educato. Ciascuno ritiene di essere autonomo, autosufficiente, sin da piccolo; ogni tentativo di educare è visto come un plagio, una sottomissione, una coercizione; comunque una limitazione alla libertà, una mancanza di rispetto della personalità, anche quella in fieri di un ragazzino; insomma non un prendersi cura ma un abuso sui sacrosanti diritti di essere quel che vogliamo essere.

      Non si può nemmeno provare a dirla, quella parola – educazione – e ti sfilano davanti le immagini di regimi autoritari se non totalitari, dispotismi del passato o sistemi patriarcali, paternalistici ormai sepolti nel passato.

      Ma come “non si nasce imparati”, così non si nasce educati; e non può bastare una forma di auto-educazione; contano i saperi, le esperienze, i ruoli, i confronti e le responsabilità. Tutto questo dà autorevolezza e anche, non spaventatevi, autorità, di cui abbiamo bisogno almeno quanto il suo contrario, l’autonomia. Anzi il rapporto tra autorità e autonomia non è paritario, almeno in partenza, quando si è piccoli è necessariamente sbilanciato a favore del primo.

      L’educazione è la grande assente della nostra società contemporanea. Non si fa più educazione anche perché sono venuti meno principi condivisi e orizzonti comuni di senso. Ed è venuta meno la pazienza, di educare e di farsi educare. L’educazione comporta non solo un perimetro di regole e di comportamenti, ma anche di principi di riferimento, conoscenza di saperi in proporzione all’età, all’istruzione e all’intelligenza di ciascuno e un impegno costante alla crescita civile e culturale dei cittadini. Educazione civica? Certo, ma non solo. Educare al rispetto, alla civiltà e alle buone maniere, educare alla buona lingua, educare alla lettura e alla cultura, alla storia e alla bellezza, educare alla cittadinanza e al lavoro, alla natura e al corpo e ad alcuni principi basilari di buona vita che si traducono anche sul piano etico e morale. L’istruzione non basta, soprattutto quando si riduce pragmaticamente a istruzioni per l’uso; né basta la dimestichezza con ambiti tecno-pratici o in grado di rendere profitti. L’educazione è una visione generale, un saper misurare mezzi e fini, un saper vivere in una comunità, aver coscienza dei propri diritti e dei propri doveri, nonché consapevolezza del mondo, della città, del paese in cui si vive. Educare all’amore è infine il grado più alto d’educazione all’amore a ogni livello e in ogni campo, non solo quello strettamente sentimentale.

      Ma dove sono gli educatori? Le agenzie principali restano tre: la scuola, i mass media e la famiglia, più vari ambiti intermedi e collaterali. Tutti e tre in crisi profonda. A scuola difettano largamente, e spesso sono riluttanti a riconoscersi come educatori. I media negano persino che sia un loro compito educare, loro devono informare, divertire, al più istruire e soprattutto vendere; e invece i propri modelli pubblici di riferimento passano dai media. In famiglia è cambiato il codice primario: non educare ma solo proteggere, non educare i figli ad assumersi responsabilità, a essere rispettosi, ad accettare i propri limiti e a impegnarsi per essere migliori, ma tutelarli, schermarli o prepararli ad aggirare gli ostacoli, respingere ogni criterio selettivo e ogni severità, parteggiare sempre e comunque per loro, assecondarli su tutto salvo quando rischiano di farsi male. La formula nociva che si oppone all’educazione è mammismo più utilitarismo= comfort, cioè farsi i propri comodi. Non è una formula solo casalinga, è in fondo il criterio generale di organizzazione sociale, dove il mammismo diventa permissivismo e l’utilitarismo si fa primato del profitto e del tornaconto.

      Una società è fiorente se ha sotto di sé una buona economia, una società è malata se ha sopra di sé l’economia.

      La domanda resta ancora senza risposta: dove trovare gli educatori?

      Credo ormai che la politica non sia più in grado di pensare a questi processi; è solo un intervallo esecutivo di direttive da seguire nell’immediato o nelle sue prossimità; l’importante è andare al potere e starci il più possibile. Quello è l’Utile Assoluto.

      A essere visionari quel che occorre a questo punto è un grande movimento civile di educazione aperto a tutti coloro che ci stanno e hanno i titoli per starci: insegnanti veri, in attività o in pensione, fondazioni, istituti, associazioni, parrocchie e organismi religiosi, culturali, dirigenti sparsi e studiosi a piede libero, esempi virtuosi. Da tempo immemorabile non sorgono più movimenti civili, fuori dal birignao del catechismo woke o di genere, che spingano verso questo grande compito educativo rivolto alla società.

      La difficoltà, se non la velleità, del progetto è enorme quanto la necessità di provarci. Un progetto, dieci progetti. Poi dieci piccoli volontari, e cento, poi mille, via via allargandosi. E dieci piccoli seminari, poi corsi, scuole serali di educazione, palestre. Fino a che se ne accorge anche la politica, e sono guai; o fino a che se ne accorgono i governi e i ministeri, e oltre i guai, possono magari nascere anche iniziative e programmazioni.

      Come tutte le cose grandi, benefiche e necessarie che si propongono, le previsioni inclinano sempre sul negativo, è molto più probabile che falliscano o tradiscano. Il problema è capire che senza quel pensare in grande, senza quei tentativi di modificare il corso degli eventi e non lasciarli scorrere così come vengono, siamo destinati alla fine della civiltà.

      Una società ineducata si lascia mangiare a morsi, giorno dopo giorno.

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