I russi di solito usano il termine “catastrofista” per caratterizzare quei commentatori che vedono solo il “lato oscuro degli eventi” (un vizio piuttosto diffuso durante l’era sovietica). Marat Khairullin, uno stimato analista militare russo, afferma: “Oggi, una rete di blogger di guerra mercenari ha iniziato un altro giro di lamentazioni – questa volta sulla Siria, dove, apparentemente, tutto è perduto per la Russia“.
“Molti vedono gli eventi in Siria (e alcuni ci aggiungono anche la Georgia) come tentativi di aprire altri fronti contro il nostro Paese. Forse è vero. Ma in questo caso è più appropriato fare un parallelo diretto con lo sconsiderato attacco a Kursk, che ha lasciato le forze armate ucraine in una posizione quasi senza speranza“.
Khairullin considera l’insurrezione jihadista in Siria come un atto altrettanto “disperato”. Il contesto è che la coalizione Siria-Russia-Iran – attraverso i negoziati di Astana – “aveva rinchiuso ciò che restava dei terroristi siriani in un’enclave di 6.000 kmq. Senza entrare nei dettagli, si era trattato di un processo che ricorda gli accordi [ucraini] di Minsk: entrambe le parti erano completamente esauste e avevano quindi accettato un cessate il fuoco. È importante notare che tutte le parti avevano capito che si trattava solo di una tregua temporanea; le contraddizioni erano così profonde che nessuno si aspettava la fine del conflitto“.
Aleppo è caduta rapidamente nei giorni scorsi, poiché “una divisione dell’Esercito nazionale siriano ha disertato completamente a favore degli islamisti (leggi: americani)“. La defezione era una messinscena. Il nord di Aleppo è stato occupato dall’Esercito nazionale siriano, interamente controllato, armato e finanziato dalla Turchia, che domina la zona a nord di Aleppo.
La chiave, dice Khairullin, è questo punto cruciale: il territorio è piatto ed è attraversato da poche strade:
“… chi controlla lo spazio aereo controlla il Paese. L’anno scorso, la Russia aveva formato una nuova unità aerea chiamata Corpo Aereo Speciale, secondo quanto riferito, creata su misura per le operazioni all’estero. Si compone di quattro reggimenti di aviazione, tra cui un reggimento di Su-35. Attualmente, ci sono solo due Su-35 a pattugliare l’intero territorio siriano. Immaginate l’impatto che avrebbe un dispiegamento di 24 velivoli di questo tipo. E la Russia è pienamente in grado di farlo“.
Il secondo punto cruciale è che “l’Iran e la Russia si sono avvicinati. All’inizio della guerra siriana, le relazioni tra i due erano decisamente ‘neutrali-ostili’. Alla fine del 2024, tuttavia, vediamo un’alleanza molto forte. Israele e gli Stati Uniti, violando gli accordi di pace attraverso l’insurrezione turca, hanno provocato una nuova presenza iraniana in Siria: l’Iran ha iniziato ad espandersi oltre le sue basi, dislocando ulteriori forze nel Paese. Questo dà ad Assad e ai suoi alleati un pretesto diretto per espellere i proxy americani e turchi da Aleppo e Idlib. Non si tratta di speculazione, ma di semplice aritmetica“.
La Siria, tuttavia, è una componente chiave del piano israelo-americano di rifacimento del Medio Oriente. La Siria è sia la via di rifornimento di Hezbollah, sia un centro di resistenza al “Progetto Grande Israele” di Israele. Ora che lo Stato di sicurezza permanente “anglo” appoggia senza riserve l’ambizione di Israele di affermare l’egemonia regionale l’Occidente ha approvato l’insurrezione jihadista di Erdogan contro il presidente Assad. L’obiettivo è separare l’Iran dai suoi alleati, indebolire Assad e preparare il presunto rovesciamento dell’Iran. Secondo quanto riferito, l’iniziativa turca è stata anticipata in fretta e furia per adattarla al piano di cessate il fuoco di Israele.
Il punto di Khairullin è che questo “stratagemma” siriano è simile allo “sconsiderato attacco a Kursk” dell’Ucraina, che ha distolto le forze d’élite ucraine da una linea di contatto già sotto assedio per poi abbandonarle in una posizione quasi senza speranza a Kursk. Invece di indebolire Mosca (come previsto), “Kursk” ha rovesciato l’obiettivo originario della NATO, diventando l’occasione che ha permesso di eliminare una parte importante delle forze d’élite ucraine.
A Idlib, gli Islamisti (HTS), scrive Khairullin, “hanno preso il controllo, imponendo un rigido regime wahhabita e infiltrandosi nell’Esercito nazionale siriano sostenuto dalla Turchia. Entrambi i gruppi sono organizzazioni frammentate, con varie fazioni in lotta per il denaro, i passaggi di frontiera, la droga e il contrabbando. In sostanza, si tratta di un calderone, non molto efficace in termini di combattimento, ma assai avido“.
“Le nostre forze aerospaziali hanno distrutto tutti i centri di comando (bunker) di Tahrir al-Sham… ed è molto probabile che l’intera leadership del gruppo sia stata decapitata“, osserva Khairullin.
Le forze principali dell’esercito siriano stanno avanzando verso Aleppo; nel frattempo, l’aviazione russa sta bombardando senza sosta; la sua Marina ha tenuto una imponente esercitazione al largo della costa siriana il 3 dicembre con lanci di prova di missili da crociera ipersonici e Kalibr, inoltre, elementi del Gruppo Wagner e le truppe irachene di Hash’ad (le forze della mobilitazione popolare irachena che ora fanno parte dell’esercito iracheno) si stanno raggruppando sul terreno a sostegno dell’esercito siriano.
I capi dei servizi segreti israeliani hanno iniziato a percepire problemi con questa “iniziativa intelligente” che si incastra esattamente con la pausa di Israele nei combattimenti in Libano; avendo tagliato le vie di rifornimento dalla Siria, Israele sarebbe, in teoria, in grado di iniziare la “seconda parte” del suo tentativo di attacco a Hezbollah.
Ma aspettate… Il Canale 12 israeliano riporta la possibilità che gli eventi in Siria stiano creando minacce contro Israele “che obbligherebbero Israele ad agire”.
L’ombra di “Kursk” – invece di indebolire Hezbollah, Israele aumenta i suoi impegni militari? Anche Erdogan potrebbe essersi sbagliato con questa scommessa. Ha fatto infuriare Mosca e Teheran e, in patria, è stato criticato per essersi schierato con gli Stati Uniti e l’America contro i palestinesi. Inoltre, non ha ottenuto alcun sostegno arabo (a parte una studiata ambivalenza del Qatar).
Certo, Erdogan ha delle carte da giocare nel rapporto con Putin (il controllo dell’accesso navale al Mar Nero, il turismo e l’energia), ma la Russia è una grande potenza in ascesa e può permettersi di giocare duro nei negoziati con un Erdogan indebolito. Anche l’Iran ha delle carte da giocare: “Tu, Erdogan, hai equipaggiato gli Jihadisti con i droni ucraini; noi possiamo fare la stessa cosa con il Partito dei Lavoratori Curdi“.
Sullo sfondo c’è il linguaggio bellicoso che emerge dal Team Trump, dove alcuni dei componenti hanno assunto posizioni decisamente aggressive e dure. Questi personaggi della squadra di Trump, guerrafondai filo-israeliani, fanno probabilmente gli spacconi più per proiettare un’immagine di forza trumpiana all’opinione pubblica americana che per realizzare un progetto concreto.
Trump, si sa, prima agita un grosso bastone e, dopo che ha suonato quella melodia per un po’, entra dalla porta posteriore per cercare un accordo.
Così abbiamo sentito (da Trump): “Se gli ostaggi non saranno rilasciati prima del 20 gennaio 2025, data in cui assumerò con orgoglio la carica di Presidente degli Stati Uniti, in Medio Oriente LA PAGHERANNO CARA“.
In ‘Medio Oriente’? A chi è rivolto esattamente questo messaggio? E cosa suggerisce? (Nessun accenno alle migliaia di prigionieri palestinesi detenuti da Israele)? Sembra piuttosto che Trump si sia bevuto la propaganda israeliana: “Tutti i problemi derivano dall’Iran”; Israele è l’innocente alla deriva in un mare di malignità regionale.
I discepoli di Trump credono che Trump imporrà la sua volontà di raggiungere la “tranquillità” in Medio Oriente – e costringerà Putin a porre fine alla guerra in Ucraina. Sono convinti che Trump potrà “fare un accordo” sotto forma di un’offerta che Putin non potrà rifiutare. (Infatti, “gli attuali ‘padroni del mondo’ non permetteranno mai a Cina/Russia di guidare la danza, dar vita ai BRICS e assumere la posizione di egemone mondiale”).
È un ritorno alla vecchia formula di Zbig Brzezenski: promettere a Putin la normalizzazione con gli Stati Uniti (e l’Europa), il completo alleggerimento delle sanzioni e riportare la Russia nella sfera occidentale – separata da una Cina e un Iran assediati (con i BRICS dispersi al vento sotto la minaccia delle sanzioni).
Tuttavia, una cosa del genere non tiene conto di quanto il mondo sia cambiato negli anni successivi al “Trump One”. Gli sfarzi non hanno più l’effetto di una volta: L’America non è più quella di una volta, né viene obbedita come una volta.
Trump comprende questa accelerazione della metamorfosi globale (come dice Will Schryver), cioè che “l’unico accordo da fare con la Russia è quello di accettare i termini dettati dalla Russia“:
“Questo è ciò che accade nel mondo reale quando si vince una grande guerra. E, non fraintendetemi, in questa guerra gli ucraini sono stati massacrati, gli Stati Uniti/NATO sono stati umiliati e i russi ne stanno uscendo sulla scena mondiale indiscutibilmente trionfanti e più potenti di quanto non lo fossero al culmine del periodo sovietico, decenni fa“.
In altre parole, “bastone grosso, accordo rapido” potrebbe non essere la risposta al nuovo mondo di oggi.
Putin, rispondendo alla domanda di un giornalista ad Astana, il 29 novembre, ha ripetuto un avvertimento già dato in precedenza: “Permettetemi di sottolineare il punto chiave: l’essenza della nostra proposta [sull’Ucraina, presentata al Ministero degli Esteri russo] non è una tregua temporanea o un cessate il fuoco, come preferirebbe l’Occidente – per permettere al regime di Kiev di riprendersi, riarmarsi e prepararsi per una nuova offensiva. Ripeto: non stiamo discutendo di congelare il conflitto, ma della sua risoluzione definitiva“.
Quello che Putin sta dicendo – molto educatamente – all’Occidente è che: Voi continuate a “non capire”. Cercare un accordo sull’Ucraina significa trattare il sintomo e ignorare la cura. In altre parole, l’Occidente ha visto la sua politica completamente ribaltata. Putin è chiaro: una soluzione definitiva sarebbe quella di delineare la frontiera tra gli “interessi” di sicurezza atlantisti e gli interessi di sicurezza dell’”isola del mondo” (secondo la terminologia di Mackinder), definire cioè l’architettura di sicurezza tra l’”Heartland e il Rim-land”. Una volta fatto questo, l’Ucraina si colloca naturalmente al suo posto. È alla fine dell’agenda, non al primo posto. Uno stimato saggio di politica estera, il professor Sergei Karaganov, lo spiega (l’originale è solo in russo):
“Il nostro obiettivo [russo] è quello di facilitare, nel modo più pacifico possibile, l’incipiente ritiro degli Stati Uniti dalla posizione di egemone globale (che non può più permettersi) a quella di una normale grande potenza. Ed espellere l’Europa dalla posizione di attore internazionale. Lasciarla cuocere nel proprio brodo… La conclusione è ovvia. Dobbiamo porre fine all’attuale fase di conflitto militare diretto con l’Occidente, ma non al confronto più ampio con esso. Trump si offrirà di allentare la pressione sulla Russia (cosa che non può garantire) in cambio dell’astensione della Russia da una stretta alleanza con la Cina. L’amministrazione Trump proporrà un accordo, alternando minacce a promesse… ma gli Stati Uniti sanno già che non possono vincere. Nel prossimo futuro l’America rimarrà un partner inaffidabile. Non ci si deve aspettare una normalizzazione fondamentale delle nostre relazioni con gli Stati Uniti nel prossimo decennio. Trump ha le mani legate dalla russofobia alimentata per anni dai liberali. L’inerzia della Guerra Fredda è ancora piuttosto forte, così come i sentimenti anti-russi tra la maggior parte dei seguaci di Trump“.
“L’obiettivo principale dell’attuale guerra in Ucraina dovrebbe essere la sconfitta definitiva del crescente revanscismo europeo. Questa è una guerra per scongiurare la Terza Guerra Mondiale e per impedire il ripristino del giogo occidentale. La posizione negoziale iniziale è ovvia, è stata dichiarata e non dovrebbe essere cambiata: il ritorno della NATO ai confini del 1997. Oltre a ciò, sono possibili varie opzioni. Naturalmente, Trump cercherà di alzare la posta. Quindi, dovremmo agire preventivamente“, consiglia il professor Karaganov.
Ricordiamo anche che Trump è, in fondo, un discepolo giurato del culto del primato americano, della grandezza americana. “I russi detteranno i termini della resa in questa guerra [in Ucraina] perché la loro forza consente loro questo privilegio, e non c’è nulla che gli Stati Uniti e i loro impotenti vassalli europei possono fare per alterare questa realtà. Detto questo, una sconfitta strategica decisiva sarà un boccone molto amaro da ingoiare per questa seconda amministrazione Trump. Speriamo che non scelgano di dare fuoco al mondo in un impeto di umiliata follia“.