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      • LE MATITE DI SANREMO E IL FUTURO DELL’UNIONE EUROPEA

      LE MATITE DI SANREMO E IL FUTURO DELL’UNIONE EUROPEA

      Il Festival di Sanremo non ci regala solo emozioni, ma anche spunti di riflessione.

      Oscurate dallo “scandalo” delle candide scarpe di John Travolta, sul palco del Festival sono passate praticamente inosservate le matite. Quali matite? Quelle che, ci comunica Ferruccio de Bortoli, “erano lì nella loro veste di simbolo della democrazia rappresentativa” (1). Non sto scherzando, l’ha scritto davvero. Ma procediamo con ordine.

      Associato al Festival nazional-popolare c’è il gioco Fantasanremo, al quale sono iscritti più di due milioni e mezzo di persone, e si basa sulla attribuzione di bonus e malus in base a gesti apparentemente insignificanti dei cantanti. Nella serata di mercoledì era prevista, tra questi gesti, l’esibizione di una matita che costituiva un invito ai giovani ad andare a votare alle elezioni europee del prossimo giugno. L’iniziativa è stata sponsorizzata dal Parlamento europeo in quanto, ci informa sempre de Bortoli, “la grande paura di giugno, quando si eleggeranno 720 componenti dell’assemblea di Strasburgo, è che vada alle urne meno del 50% degli aventi diritto al voto”. E si tratta di una paura veramente grande, e probabilmente fondata, in quanto è in programma un articolato insieme di iniziative, di cui il festival nostrano è solo minima parte, finalizzate ad incoraggiare il voto giovanile durante gli eventi musicali che si terranno nei paesi europei nei prossimi mesi.

      Apparentemente si tratta di un evento scarsamente significativo che si può annoverare tra le innumerevoli forme di propaganda e di comunicazione istituzionale. Ma così non è per varie ragioni.

      La prima è palese. Se le istituzioni europee si sono ridotte a ricorrere a questi mezzucci per legittimare la loro funzione, allora vuol dire che sono messe proprio male. La cosa, ovviamente, non ci dispiace, ma forse è il caso che qualcuno si ponga qualche domanda. Perché i cittadini (più correttamente, i sudditi) europei non vanno a votare? Utilizzare la musica come veicolo per incentivare la partecipazione elettorale non è già un segno chiaro ed inequivocabile del plateale fallimento del progetto europeo? Personalmente sono contrario all’astensionismo – preferisco scegliere chi mi governerà – però dico la verità: se la “grande paura” del ceto politico europeo è che vi sia una affluenza alle urne inferiore al 50%, la tentazione di non votare è forte.

      La seconda ragione per cui l’esibizione della cancelleria a Sanremo ci deve far riflettere è che le prossime elezioni europee sono effettivamente importanti, anzi “le più importanti nella storia dell’Unione europea” come dichiara la rete di media Euractive (2).

      Non si tratta di una tornata elettorale come le altre per vari motivi. Anzitutto, nel 2015 i presidenti del Consiglio europeo, della Commissione europea, del Parlamento europeo, della Banca centrale europea e dell’Eurogruppo hanno pubblicato una relazione che delinea una tabella di marcia per il completamento dell’Unione monetaria ed economica europea, nota anche come “Relazione dei cinque presidenti” (3). Il processo avrebbe dovuto concludersi nel 2025 ma, a causa della pandemia, ha subito dei ritardi. Il suo completamento ricade, quindi, nella prossima legislatura. I risultati delle elezioni europee del giugno 2024 condizioneranno, quindi, la realizzazione di questo programma finalizzato a portare a termine l’integrazione economica e finanziaria dell’Europa e la definitiva cessione di sovranità dei governi nazionali alla tecnocrazia europea nel campo delle politiche economiche.

      In secondo luogo, da tempo circolano varie proposte per una revisione della struttura istituzionale dell’Unione europea (4). L’orientamento delle élite europee è quello di erodere ulteriormente gli ormai esigui margini di sovranità degli stati nazionali rafforzando il disegno federalista. Non si tratta di una prospettiva remota. Infatti, da un lato, i sostenitori di questo programma si stanno muovendo in modo molto deciso e risoluto. Pensiamo al documento degli esperti franco tedeschi e alle recenti risoluzioni del Parlamento europeo (5). Dall’altro lato, mentre i federalisti hanno un programma di riforma delle istituzioni europee preciso, anche se articolato in varianti, i sovranisti non sono stati in grado fino ad oggi di contrapporre un disegno confederale credibile, limitandosi all’esercizio del loro potere di veto senza alcuna proposta alternativa. La prossima legislatura, quella per cui andremo a votare i primi giorni di giugno 2024, sarà decisiva per l’esito dello scontro tra queste due prospettive.

      Per concludere, oltre all’esibizione delle matite sul palco di Sanremo, quali effetti ha tutto ciò sulla campagna elettorale in Italia? Al momento ben pochi, ma molto significativi. Vediamone un paio.

      Giorgia Meloni ad Atreju ha affermato con ammirevole chiarezza che “nella campagna elettorale del prossimo giugno mezzo miliardo di persone sarà messo di fronte alla scelta tra una confederazione di nazionali libere e sovrane e un superstato federalista che cancella le nazioni relegandole al ruolo di enti meramente amministrativi” (6). La premier, ovviamente e giustamente, opta per la prima alternativa.

      Qualche settimana dopo, Emanuele Felice, economista di area PD, in un articolo dal titolo più che esplicito – Che Europa vogliamo: la vera sfida delle elezioni – dopo aver constatato lucidamente che “finora la discussione sulle elezioni europee è stata fuorviante e piccina” illustra le scelte di cui si dovrebbe discutere. E, anche qui, è opportuno citare testualmente: “Vogliamo rafforzare il ruolo del parlamento europeo, in modo che abbia un vero potere di iniziativa legislativa, come ogni vero parlamento? E assieme vogliamo rafforzare il ruolo della Commissione, in modo che sia sempre più simile a un governo e abbia più forza e autorevolezza per gestire le crisi, che si accavallano nel nostro tempo? O vogliamo invece continuare a tenerci questa Unione in cui i singoli governi pongono il veto e bloccano ogni slancio, fatta di opportunismi e a volte di ricatti? Addirittura vorremmo andare indietro, ritornare all’illusione della sovranità nazionale che sarebbe un vero e proprio suicidio, per l’Italia?” (7). La scelta federalista, anche se non condivisibile, è illustrata con grande e meritevole chiarezza.

      Quindi, sebbene giungano a conclusioni esattamente opposte – Meloni opta per un modello confederale, mentre Felice per uno federale – i due brani citati concordano su un punto molto importante. Il tema al centro della campagna elettorale per le elezioni europee del 2024 deve essere il futuro assetto istituzionale dell’Unione europea, la sua struttura federale o confederale. La vera posta in gioco è questa, il resto è marginale.

      Ignorare questa scelta dirimente e farsi distrarre da altro significa lasciare la strada libera alle élite politiche e alle tecnocrazie europee che si stanno muovendo con grande determinazione in una direzione ben precisa, quella indicata da Mario Draghi: gli Stati Uniti d’Europa.

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