Questo pezzo appartiene alla serie tematica “Flipping the Board“.
All’inizio del 2023, il capo del Comando europeo degli Stati Uniti e Comandante supremo delle forze alleate della NATO, il generale Christopher Cavoli, aveva osservato che “la precisione può battere la massa” (1). È vero: la precisione può battere la massa. Ma alcuni Paesi hanno ora la capacità di rendere la precisione occidentale molto meno precisa, sia con l’”hard kill” (armi cinetiche) che con il “soft kill” (contromisure elettroniche). Più precisamente, questi Paesi possiedono ora sia la precisione che la massa, mentre l’Occidente è costretto a fare affidamento su una versione degradata della prima e ha da tempo abbandonato la seconda.
Proiezione di potenza contro difesa nazionale
Il “momento unipolare” del periodo successivo alla Guerra Fredda ha portato a nozioni completamente sbagliate sulla natura del potere militare. È importante capire la differenza tra proiezione di potenza e difesa nazionale. La maggior parte delle forze armate esiste per fornire quest’ultima, ossia i mezzi con cui proteggere le proprie nazioni dalle minacce nelle rispettive regioni. Pochissimi Paesi hanno la capacità di proiettare il potere lontano da casa.
Ma il primato militare degli Stati Uniti negli ultimi decenni, in particolare la capacità di condurre e sostenere guerre in luoghi lontani, è diventato per molti il segno distintivo della potenza militare in generale. Secondo questa visione, ogni nazione incapace di proiettare il proprio potere a livello globale (in sostanza tutte quelle che non sono gli Stati Uniti) è quindi sostanzialmente inferiore. Questa visione non è corretta. Ciò che conta in definitiva in guerra è la forza che può essere messa in campo, sia quella dell’attaccante che quella del difensore, nel momento e nel luogo specifici in cui è necessaria.
Si consideri la conclusione che molti hanno tratto sulla Russia dopo il crollo del regime di Assad. “La Russia è una tigre di carta con le armi nucleari!”. Secondo questo pensiero, l’incapacità della Russia di continuare a sostenere Assad, o la sua decisione di non farlo, si tradurrebbe in qualche modo in una debolezza altrove, in particolare in Ucraina. Anche questo non è corretto.
Quando la Russia era intervenuta in Siria nel 2015, era stato ampiamente accettato il fatto che questa operazione rappresentava probabilmente il limite delle capacità di proiezione di potenza della Russia. Certo, il Paese dispone di formidabili forze aeree, navali e missilistiche strategiche, ma queste servono principalmente come deterrente. L’obiettivo principale di tutte le forze russe è quello di difendere la Russia, soprattutto ai confini occidentali e meridionali, quelli minacciati dalla NATO. Qui la Russia rimane incredibilmente forte. Una logica simile si applica alla Cina. Ad esempio, coloro che deridono la mancanza di una vera e propria capacità navale “blue water” del Paese, trascurano la potenza di questa forza nelle acque costiere della Cina.
L’operazione Desert Storm era stata il momento culminante del breve periodo di supremazia militare degli Stati Uniti. Era avvenuta poco dopo la caduta del Muro di Berlino e poco prima del crollo dell’Unione Sovietica. Nei circoli militari è in corso un dibattito sul significato di Desert Storm. Sia i critici che i sostenitori continuano a fraintendere diversi elementi chiave.
I critici sottolineano che la coalizione guidata dagli Stati Uniti aveva avuto molti mesi di tempo per concentrare una forza di invasione in Arabia Saudita, lo aveva fatto senza contestazioni (a parte gli attacchi con missili Scud) e aveva poi sconfitto un nemico inferiore. Queste cose sono tutte vere. Quello che i critici non riescono a capire è che la capacità di fare tutto questo – dal punto di vista diplomatico, economico, logistico, militare, eccetera – era di per sé un’espressione di straordinaria potenza. Inoltre, essi minimizzano il fatto che questa coalizione possedeva davvero tecnologie operative che altri Paesi, tra cui Russia e Cina, all’epoca non avevano, così come le innovazioni negli armamenti che queste asimmetrie avrebbero contribuito a sviluppare negli anni successivi. Questo vale soprattutto per Mosca e Pechino.
Il principale errore di fondo commesso degli ammiratori di quella guerra, tra cui molti membri dell’establishment della difesa statunitense, è pensare che un’operazione del genere sia replicabile oggi. Essi ignorano il fatto che la maggior parte dei membri della coalizione manteneva ancora le enormi forze dell’epoca della Guerra Fredda, che ormai non esistono più. Esagerano l’attuale portata dell’influenza diplomatica e della capacità industriale dell’Occidente. Infine, si aggrappano incrollabilmente alla nozione di superiorità della tecnologia militare occidentale. Queste persone sono solidificate nell’ambra del 1991.
La natura fluida delle lacune di capacità
Per decenni, gli Stati Uniti hanno effettivamente avuto il monopolio di molte capacità decisive, in particolare in termini di dispiegamento su scala e con ampia portata geografica. Tra queste figurano le munizioni a guida di precisione, la visione notturna, l’attacco globale e altre ancora. L’assenza di conflitti ad alta intensità tra gli Stati Uniti e altre nazioni aveva esaltato questa realtà.
Ma l’elenco delle nazioni con capacità avanzate continua a crescere e i divari di capacità continuano a ridursi. In alcuni casi, questi divari sono stati colmati, in particolare nella tecnologia missilistica (compresa quella ipersonica), nella difesa aerea, nella guerra elettronica e, più recentemente, nei sistemi senza pilota. Ancora più importante, e con la persistente incredulità degli oppositori, alcuni Paesi sono ora in vantaggio rispetto agli Stati Uniti e ai loro alleati in alcuni settori.
Se si scava abbastanza nelle argomentazioni degli evangelisti della NATO, alla fine si troverà l’unico pilastro su cui poggia il loro sistema di credenze. Un simile scambio potrebbe iniziare con i loro tanto vantati missili da crociera Tomahawk. Mentre questi proiettili si staranno lentamente dirigendo verso i bersagli previsti, e supponendo che la maggior parte di essi non venga abbattuta o interdetta elettronicamente, i missili russi – superiori per velocità, gittata e carico utile – saranno già stati lanciati. Alcuni avranno già colpito ed altri saranno sulla loro scia.
Consideriamo l’Oreshnik, per il quale non esistono contromisure pubblicamente note. La teoria prevalente è che l’Oreshnik sia un missile balistico a gittata intermedia riprogettato che trasporta sei veicoli di rientro multipli e indipendenti, ognuno dei quali trasporta sei proiettili. È in grado di colpire obiettivi in tutta Europa e altrove in pochi minuti. Sebbene l’Oreshnik abbia una capacità nucleare, tali testate non sarebbero necessarie – a meno di un Armageddon – data la portata, la velocità e la potenza distruttiva del missile. Questo è un punto chiave. La Russia sta cercando di ottenere una superiorità strategica eliminando la necessità di armi nucleari. Forse ci è già riuscita. Sarebbe uno scacco matto, almeno in termini di guerra convenzionale.
Quale potrebbe essere l’utilizzo dell’Oreshnik? Ci sono risposte ovvie, come colpire i sistemi missilistici, le basi e le fabbriche della NATO, ma c’è un obiettivo molto più significativo. Al centro del piano della NATO per la difesa dell’Europa c’è l’aspettativa che truppe e materiali americani e canadesi possano essere trasportati in Europa, e gli Stati Uniti sono sempre stati di gran lunga il fornitore principale. Ma come ci arriverebbero? Il trasporto aereo sarebbe insufficiente: semplicemente non ha la portata necessaria. Un conflitto di questo tipo richiederebbe una massa, e la massa si muove via mare. Si potrebbe ipotizzare che la Russia tenga i porti europei sotto sorveglianza persistente, anche a terra. Con l’Oreshnik e altri missili, la Russia potrebbe distruggere i porti entro mezz’ora, con attacchi in successione se necessario. Il continente rimerrebbe con quello che aveva a disposizione. L’anello più debole diventerebbe l’obiettivo primario e tutto in Europa rimarrebbe vulnerabile ai continui attacchi dei sistemi al di là dell’orizzonte della Russia.
Qui i difensori della NATO giocano la loro carta vincente, la potenza aerea. Tuttavia, molti di questi velivoli sono obsoleti, mentre molti di quelli russi sono più avanzati. Inoltre, lungo la sua periferia con la NATO, la Russia possiede la rete di difesa aerea e il complesso di guerra elettronica più avanzati che esistano. Quest’ultimo si è già dimostrato efficace contro molte delle tecnologie da cui dipende l’intero modo di fare la guerra della NATO, in particolare le bombe a guida GPS.
Le loro speranze sembrano essere riposte nell’F-35. Tutto si riduce a questo aereo, un velivolo soprannominato Lightning [fulmine] anche se ha dimostrato di avere difficoltà a volare proprio in quelle condizioni atmosferiche. L’F-35 può sconfiggere tutte queste minacce? Nessuno lo sa e questa è la risposta più onesta che si possa dare. Né gli Stati Uniti né nessun altro ha mai volato contro minacce così formidabili. Farlo sarebbe un azzardo straordinario e dovrebbe essere inteso esplicitamente come tale. In questo caso molti soffrono di un caso potenzialmente terminale di “cervello da F-35” per il quale una sconfitta catastrofica potrebbe essere l’unico rimedio.
Chiunque pensi che la Cina non abbia capacità simili, forse con l’eccezione di un analogo dell’Oreshnik, è un pazzo. Si consideri la possibilità di una difesa, o addirittura di un rifornimento, di Taiwan da parte degli Stati Uniti in caso di guerra con la Cina, una fantasia molto popolare nell’establishment della politica estera statunitense. La Cina ha costruito una robusta rete di sensori e lanciatori che collega la sorveglianza terrestre e spaziale con molte migliaia di missili in grado di colpire obiettivi nei cieli e nei mari adiacenti. Anche se gli Stati Uniti disponessero di armamenti sufficienti per sostenere una guerra di questo tipo (e non è così), il Paese non ha il trasporto marittimo e la capacità di penetrare le difese cinesi. L’intera idea di una simile operazione è militarmente e logisticamente anacronistica. Appartiene per lo più ai maniaci della storia, senza alcuna esperienza operativa nel mondo reale, che popolano l’ecosistema dei thinktank.
Contrariamente ai discorsi occidentali, l’Iran possiede almeno alcune di queste capacità. Certo, la macchina bellica iraniana è in gran parte traballante, ma questi elementi poco brillanti coesistono con capacità avanzate. I governi e i media occidentali hanno celebrato la “difesa” di Israele nell’aprile e nell’ottobre del 2024. Hanno deriso i missili iraniani come “rozzi”, nonostante il fatto che i proiettili abbiano penetrato in massa la difesa aerea di Israele e abbiano colpito obiettivi sensibili. Il fatto che l’Iran non abbia eseguito un attacco catastrofico di vasta portata è stato erroneamente interpretato come una mancanza di capacità e non come un segno di moderazione. L’Iran ha risposto alle provocazioni israeliane comunicando di non volere una guerra più ampia e, cosa fondamentale, mostrando in anteprima alcune delle sue capacità offensive di alto livello. Per quanto riguarda Israele, bisogna anche considerare la capacità degli Houthi di inviare missili su Tel Aviv anche in presenza dei principali sistemi di difesa aerea degli Stati Uniti, noti come THAAD.
Forze e mantenimento
È comune in Occidente, in particolare tra i Paesi membri della NATO, pubblicare grafici che mostrano le forze collettive in termini di uomini e materiali. Questi grafici mostrano il totale degli effettivi, compresi i riservisti, e i numeri di una serie di veicoli, pezzi di artiglieria, aerei e altri strumenti di guerra. Queste cose si visualizzano bene su una diapositiva di PowerPoint. Il presupposto è che in un conflitto si verifichi una sinergia e che l’insieme di questi fattori disparati formi un insieme superiore alla somma delle sue parti. Sebbene la visione da trentamila metri in alcuni casi possa essere istruttiva, questo non è uno di quelli.
Singolarmente, la maggior parte degli eserciti occidentali possiede un potere di combattimento simile o solo marginalmente superiore a quello delle gendarmerie (forze di polizia militarizzate in grado di gestire estesi disordini civili interni). Per questo motivo, la loro idoneità all’impiego all’estero è limitata alle operazioni di mantenimento della pace e alla fornitura di aiuti umanitari e, anche in questo caso, solo in condizioni in cui le parti in conflitto siano sufficientemente deboli o poco inclini a impegnarli in combattimento. La capacità di questi eserciti di difendere i propri Paesi da minacce straniere incontra limitazioni simili. Persino l’esercito britannico, un tempo potente, potrebbe schierare al massimo tre brigate.
Per essere chiari, alcuni eserciti occidentali sono più grandi e più capaci dei loro anemici fratelli, anche se nessuno possiede la massa di un tempo. Che dire allora della loro capacità collettiva, grande e piccola? È difficile stabilire una cosa del genere, e ancor meno mantenerla, senza frequenti esercitazioni su larga scala in cui i partecipanti testino ogni passo della “strada verso la guerra” e lo facciano come collettività. Questo include: la mobilitazione, l’addestramento e l’equipaggiamento dei riservisti, il dispiegamento delle forze dalle guarnigioni alle aree di sosta fino alle linee del fronte, il fuoco e le manovre in vaste aree geografiche e molte altre cose. L’ultima volta era accaduto durante l’esercitazione Campaign Reforger (ritorno delle forze NATO in Germania) nel 1993. Da allora la NATO ha optato per esercitazioni piccole e poco frequenti, che spesso coinvolgono solo elementi di comando o forze operative limitate. Anche in questo caso, le esercitazioni hanno rivelato ulteriori carenze. Certo, questi Paesi hanno maturato molti anni di esperienza nel mantenimento della pace nei Balcani e nei combattimenti a bassa intensità in Afghanistan, ma queste esperienze si sono verificate in condizioni ideali, in particolare con superiorità aerea e linee di rifornimento incontrastate.
Un problema molto più urgente è l’attuale stato della produzione industriale della difesa in tutto l’Occidente. Sebbene alcuni di noi lo abbiano sottolineato per anni, la realtà ha finalmente iniziato a farsi strada nel discorso mainstream, al di là dei confini del commentario sulla difesa e sulla politica estera. Nel dicembre 2024, The Atlantic ha pubblicato un articolo intitolato “The Crumbling Foundation of America’s Military” (2). Il pezzo osservava, correttamente, che gli Stati Uniti non sono in grado di fornire all’Ucraina armi e munizioni sufficienti per sostenere un combattimento ad alta intensità contro la Russia. Questo sarebbe vero anche se l’Ucraina avesse il numero di truppe necessario (ma non ce l’ha). Il documento ha poi messo in dubbio, ancora una volta correttamente, che gli Stati Uniti possano produrre abbastanza materiale per combattere una guerra ad alta intensità. Gli Stati Uniti non potrebbero farlo né attualmente né nei prossimi anni, e i loro alleati si trovano in una posizione ancora più pericolosa.
Come nel caso dei grafici che mostrano i punti di forza aggregati delle truppe occidentali, dei veicoli e così via, molti traggono conclusioni sbagliate dalla potenza economica totale dell’Occidente. Si pensi alla “illusione globale sul PIL collettivo”. Gli anni di combattimenti in Ucraina hanno rivelato carenze sia nella produzione che nelle scorte in tutto l’Occidente. Eppure, molti persistono nella convinzione che la somma del potere economico occidentale significhi che la vittoria contro la Russia – sia nella guerra per procura in Ucraina che in una potenziale guerra diretta con la NATO – sia assicurata. “La Russia è un nano economico!” gridano.
Il PIL è solo una misura della massa economica, spesso fuorviante. Ad esempio, tranne che nei confronti estremi tra le nazioni più ricche e quelle più povere, il PIL dice poco sul benessere economico e sulla qualità della vita quotidiana di una persona normale. Dice ancora meno sulla capacità di un Paese di fare la guerra. Anche in questo caso, ciò che conta in combattimento è la forza che può essere messa in campo, nel momento e nel luogo specifico in cui è necessaria. Una logica simile si applica alla produzione e alla distribuzione di armamenti. Nelle nazioni occidentali, il PIL è costituito in gran parte da elementi come i servizi professionali, gli immobili e la spesa pubblica non militare. In altre parole, il PIL collettivo non può essere caricato in un obice e sparato contro il nemico.
La relazione tra PIL e potenza militare esiste solo nella misura in cui una nazione può trasformare la propria ricchezza in armi. L’apice della capacità americana di fare questo si era avuto durante la Seconda Guerra Mondiale, un conflitto da cui si sono tratti insegnamenti errati che continuano a tormentarci. Gli Stati Uniti avevano trasformato Detroit in un’enorme fabbrica di armamenti e avevano fatto lo stesso in tutto il resto del Paese. All’epoca gli Stati Uniti non solo avevano le fabbriche per farlo, ma anche il know-how. La perdita della produzione nazionale ha comportato la scomparsa di molte delle competenze necessarie. Poi ci sono le realtà delle catene di approvvigionamento, che sono altrettanto crude. Coloro che sostengono che gli Stati Uniti potrebbero combattere una guerra contro la Cina devono spiegare come il Paese potrebbe produrre armi e munizioni sufficienti e, allo stesso tempo, dipendere dal suo nemico per molti dei materiali necessari. Poi, naturalmente, c’è la questione di come pagare tutto questo.
Fare i conti con la realtà
Una critica comune ad argomentazioni come la mia è la presunta implicazione che gli avversari dell’Occidente siano in qualche modo onnipotenti o invincibili. Nel migliore dei casi si tratta di un fraintendimento, nel peggiore di un’argomentazione farlocca. Anche in questo caso, bisogna considerare lo scopo di un esercito e il progetto ad esso associato. L’esercito statunitense del secondo dopoguerra era sufficiente per contrastare l’influenza sovietica. Il suo predecessore dopo la Guerra Fredda aveva permesso la crescita dell’”ordine internazionale basato sulle regole”, in particolare quando gli ex nemici avevano dovuto affrontare conflitti interni e di riorientamenti economici. Ma il gioco è cambiato.
Negli ultimi anni, i più potenti concorrenti degli Stati Uniti hanno costruito formidabili difese nazionali in grado di contrastare la proiezione di potenza occidentale. Queste nazioni hanno correttamente identificato e adattato le asimmetrie tra le proprie forze e quelle dell’egemone. Non hanno smantellato ed esternalizzato l’apparato industriale necessario a sostenere la difesa dei rispettivi Paesi. Pertanto, la loro ascesa è avvenuta di pari passo con il declino imperiale. Ma in tutto l’Occidente era così forte la percezione di una perenne supremazia militare degli Stati Uniti che gli alleati dell’America, per decenni, hanno accettato di buon grado di scivolare nell’impotenza militare.
L’attuale equilibrio del potere militare tra gli Stati Uniti e i loro avversari è in una fase di stallo. Gli Stati Uniti non sono in grado di proiettare una potenza sufficiente a sottomettere i loro avversari, ma questi ultimi sono ancora meno in grado di proiettarla contro il territorio americano, almeno per ora.