Ci sono persone con le quali è impossibile interloquire, poiché si teme quasi di intromettersi nel loro monologo interiore o di turbare i loro flussi di coscienza. Ma il picco della capacità di cantarsela e suonarsela da soli va riconosciuto certamente alla propaganda USA/NATO, che ha toccato le vette della poesia simbolista con la storia del superamento delle presunte “linee rosse” della Russia e della altrettanto presunta incapacità di reagire da parte del Cremlino. Si trattava in realtà di “linee rosse” tracciate dallo stesso presidente Biden due anni e mezzo fa, come ad esempio l’invio dei caccia F-16 a Kiev, escluso ancora un anno fa.
C’è anche da dubitare della tesi secondo cui il controllo dell’escalation sarebbe un monopolio esclusivo degli USA e della NATO. L’attacco missilistico russo della scorsa settimana al centro di formazione militare di Poltava rappresenta oggettivamente un’escalation, poiché si è selezionato un obiettivo militare all’interno di un’area civile densamente abitata, sapendo inoltre che almeno una parte degli istruttori colpiti non sarebbero stati ucraini ma di provenienza di paesi NATO. C’è stata la “coincidenza” che immediatamente dopo l’attacco arrivassero le dimissioni del ministro degli Esteri svedese Tobias Billström, la cui opera era stata determinante nel trascinare la Svezia a tutti gli effetti nella NATO, mentre sino a tre anni fa Stoccolma, pur partecipando dal 1995 a tutte le esercitazioni militari dell’alleanza, non aveva mai chiesto di formalizzare l’adesione. Billström si è dimesso dal governo e persino dal parlamento; ovviamente lo ha fatto per motivi del tutto personali, perché innamorato oppure per l’improvvisa vocazione di diventare figlio dei fiori. Nessuno nel governo svedese però gli ha fatto notare che i tempi di quelle dimissioni avrebbero dato adito alla supposizione che vi fossero degli svedesi tra le vittime dell’attacco a Poltava.
Rassegnare le dimissioni con una tempistica così inopportuna avrebbe un senso solo se la testa di Billström fosse stata reclamata da poteri interni alla Svezia, talmente infuriati con lui da non essere disposti ad accettare dilazioni. In base ad indizi si è ipotizzato che nel massacro di Poltava fossero stati coinvolti anche ingegneri della Saab, come a dire la Leonardo svedese.
Un’eventualità del genere significherebbe per la Saab una prospettiva di caduta delle capacità progettuali e produttive. Gli ingegneri non sono come i papi: morto uno non è facile farne un altro. L’ipotesi del coinvolgimento di personale Saab nel massacro di Poltava è stata formulata da Giuseppe Gagliano, che è presidente dell’Istituto Studi Strategici “Carlo De Cristoforis”, nella cui dirigenza vi sono anche i generali Fernando Termentini e Carlo Jean.
Si tratta appunto di una ricostruzione indiziaria e non c’è ancora nulla di provato. Se esistessero quei mitologici giornalisti investigativi delle fiction, basterebbe prendere l’organigramma della Saab e verificare se nelle prossime settimane venissero segnalati decessi improvvisi per malattia o incidente di tecnici di alto grado dell’azienda svedese; dato che è questo il trucco con il quale la propaganda di guerra dissimula le perdite che non si vogliono ammettere.
L’eventualità di un controllo del genere però ce la possiamo scordare; non per niente nei titoli dei nostri giornali e telegiornali la struttura colpita dai missili russi veniva etichettata come una “scuola”, ci si aggiungeva un ospedale e poco ci è mancato che dicessero che c’era pure un asilo nido.
La vicenda storica della Saab contiene comunque indicazioni interessanti. In passato il nome dell’azienda era legato, oltre che alla produzione di aerei, soprattutto alla produzione di automobili leggendarie per la loro robustezza. Su questa fama della Saab lo scrittore Kurt Vonnegut elaborò una sua spassosa teoria, surreale e iperbolica, sul motivo per il quale l’Accademia svedese non gli ha assegnato il premio Nobel. Si sarebbe trattato di una vendetta per le espressioni irrispettose di Vonnegut a proposito della qualità delle automobili Saab. Sta di fatto che, dopo un estenuante alternarsi di crisi e di apparenti riprese, il settore automobilistico dell’azienda fu rilevato dalla General Motors e poi definitivamente chiuso nel 2011.
Di fronte al generale declino del settore automobilistico, la reazione della Saab è stata quella di concentrarsi sulla produzione militare.
Nell’attuale Occidente deindustrializzato e pauperizzato i salari sono troppo bassi e le prospettive occupazionali sono sempre più precarie, perciò non esiste più un mercato interno in grado di assorbire in grande quantità la merce-automobile.
La deindustrializzazione è stata salutata dalle nostre oligarchie come la grande occasione per regolare i conti con le classi subalterne, smantellando le grandi concentrazioni operaie e finanziarizzando i rapporti sociali con la tendenza a sostituire il più possibile i salari con i prestiti.
La conseguenza è che il processo industriale ad alta tecnologia ed alto valore aggiunto restringe la sua base sociale e va inevitabilmente a coincidere con il settore degli armamenti che ha come diretto finanziatore e committente il governo. Il fatto che la Leonardo sia attualmente la più importante industria italiana corrisponde a questo paradigma. Le affinità tra la Saab e la Leonardo riguardano anche la crescente integrazione di queste due aziende nel “complesso militare-industriale” statunitense, cioè la cleptocrazia militare. Il fiore all’occhiello della Leonardo è la produzione dei caccia F-35 per conto della Lockheed Martin.
La deindustrializzazione non ci ha portato l’idillio ecologico ma l’aumento del militarismo e della guerra, ed anche un grado di dipendenza industriale dalla cleptocrazia militare americana a livelli impensabili persino durante la Guerra Fredda.
A rendere del tutto fumoso il discorso di Mario Draghi (ma c’è ancora chi lo prende sul serio?) sulla costruzione di un complesso militare-industriale-finanziario europeo è che la mangiatoia del business delle armi è a dimensione atlantica e coincide con la NATO, dalla quale l’Unione Europea dipende per la propria sopravvivenza.
L’imperialismo è una strada a due sensi, perciò le oligarchie nostrane invocano lo scudo USA per farsi difendere non dalla Russia, bensì dalle proprie classi subalterne.
L’adesione alla NATO ed al suo giro d’affari delle armi coincide con l’unica prospettiva industriale dei Paesi europei.
Non sempre si tratta davvero di alta tecnologia, ma c’è anche produzione spicciola di robaccia spacciata per chissà cosa. La Saab, in partnership con l’americana Boeing, produce delle super-bombe di piccolo diametro. Sul suo sito l’azienda svedese celebra le virtù mirabolanti di questi suoi innovativi ordigni, affermando che sarebbero in grado di rivoluzionare le tecniche di bombardamento aereo e missilistico.