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      • “Ma dove stavano ai tempi del Green Pass?” Breve disamina di certi movimenti d’attivismo contemporaneo

      “Ma dove stavano ai tempi del Green Pass?” Breve disamina di certi movimenti d’attivismo contemporaneo

      Chi scrive osserva spesso il mondo dei social network, specie le reazioni e i commenti sotto determinati post e pagine trattanti di attualità ove si incanalano larghe fette di pubblico del cosiddetto “dissenso” nato durante il periodo Covid. È nelle affollate aree commenti dei vari social, infatti, che in molti esternano senza mezzi termini o pretese di persuasione la loro prima e più emotivamente istintiva reazione dinanzi a un fatto di cronaca, a una riflessione o al semplice titolo di una notizia. Dando dunque un assaggio di quello che potremmo definire, sperando di non esagerare, il “sentire comune” di un preciso pubblico su determinate questioni.

      Tale premessa necessaria a introdurre ciò che ha dato il La alla stesura di quest’articolo, ossia una reazione alquanto comune fra gli utenti del “dissenso” alla repressione messa in atto questa domenica a Roma contro la focosa manifestazione pro-Palestina e all’indignazione che ne è seguita in certi ambienti del mondo social. Tale reazione si può riassumere come segue: “Ma tutti questi qui dov’erano tre anni fa, quando le stesse violenze venivano compiute sui manifestanti al porto di Trieste?” O, più in generale: “Dov’erano tutti costoro durante le proteste contro il Green Pass? Dove se ne stavano quando si trattava di combattere quella discriminazione?”

      Reazioni della comunità degli utenti del “dissenso” già palesatesi in occasione di altre manifestazioni in favore della causa palestinese, o di altre comunque sfociate in repressioni più o meno violente da parte delle autorità.

      Lo scopo di questo testo è provare allora a rispondere a tali domande, prendendo in esame le caratteristiche di quelli che in buona parte sono i movimenti impegnati ora nella causa palestinese, della loro linea di pensiero e di quella di chi fa parte del loro seguito. Così da provare a razionalizzare il disappunto che molti, memori della solitudine e della mancanza di solidarietà patite durante la ribellione alle norme liberticide del periodo Covid, tuttora provano.

      Partiamo da un dato di fatto: oltre alle realtà del dissenso al Green Pass e all’atlantismo e ad associazioni storicamente attive in merito sulla questione, ad organizzare allo stato attuale occupazioni, presidi e cortei in favore della causa palestinese sono in larga parte quei movimenti che, generalmente parlando, potremmo cominciare col definire di “contemporanea sinistra ed estrema sinistra”. Associazioni, collettivi o liste studentesche che afferiscono innanzitutto all’area valoriale progressista, con ispirazioni talvolta comuniste e socialiste (tendenzialmente però nell’accezione ideologica post-scuola di Francoforte, dunque improntata a guardare non tanto alla lotta di classe quanto all’affermazione dei diritti di specifici “gruppi” di persone o delle cosiddette “minoranze”), generalmente schierati a favore di istanze femministe, multiculturaliste, inclusive e LGBTQ+, di matrice ecologista o anche legate alla lotta al cambiamento climatico. Il seguito di tali movimenti, o comunque la fascia di popolazione che più vi guarda con simpatia, è quella giovanile e studentesca.

      Già qui qualcuno potrebbe giudicarli come il “male assoluto”, specie se da una prospettiva più conservatrice e ostile a tutti questi temi. Va da sé, dunque, che tre anni fa fossero nel loro universo arcobaleno fatto di pronomi e auto elettriche green, sordi e ciechi dinanzi a ciò che succedeva ogni giorno attorno a loro, direbbero molti fra i “dissidenti”, per non citare anche una diffusa assenza o ignoranza di fondo su altre questioni attuali come il conflitto in Ucraina. Nondimeno qualcun altro potrebbe ribadire facendo notare che al momento si sono forse “risvegliati” dalla loro bolla schierandosi dalla parte dei “giusti”, a favore dell’oppresso contro l’oppressore, contro gli interessi guerrafondai dell’Occidente e del loro alleato in Medioriente. Osservazione più o meno discutibile nel cui merito ora non entreremo, limitandoci a rispondere ai quesiti di cui sopra.

      Perché, dunque, la maggior parte di questi movimenti e del loro seguito, che pur si presentano con un’aria positiva tutta ammantata di “battaglie giuste” e retorica dei diritti umani, è stata del tutto assente durante la stagione di proteste contro il Green Pass?

      Chi scrive identifica sostanzialmente tre ragioni generali.

      La prima è il carattere di fondo marcatamente “collettivista” del loro indirizzo ideologico. Non serve argomentare molto il fatto che gli indirizzi di pensiero politico e sociale citati qualche paragrafo sopra pretendano una predilezione per il benessere intero della collettività più che dei singoli, il cosiddetto “bene comune” in nome del quale durante il periodo Covid ci fu richiesto (e imposto!) il sacrificio di varie libertà personali, ultima solo in ordine cronologico quella di scelta riguardo al vaccinarsi o meno. Ecco, l’enorme enfasi messa dalla propaganda statale e dai mezzi di comunicazione su questo sacrificio di certe libertà – etichettate come individualistiche e anzi puramente egoistiche in rapporto alla presunta emergenza in corso – in favore del bene della comunità intera non può non aver risuonato in armonia con l’impostazione ideologica di sacrificio individuale in favore dell’universale che anima generalmente tali movimenti e le loro rivendicazioni. Molti loro sostenitori hanno dunque assimilato senza campanelli d’allarme la retorica liberticida sui lockdown e sulla successiva questione vaccino-Green Pass, mentre altri ne sono diventati convinti sostenitori in nome della “guerra all’egoismo” con cui vennero dipinti i dissidenti.

      La seconda fondamentale ragione sta in quella che ben definiamo come “fede nella scienza”, altra caratteristica intrinseca ai sedicenti movimenti progressisti e al pensiero fondante del comunismo e del socialismo che essi oggi propugnano in maniera annacquata [1]. L’espressione, “fede nella scienza” e il riferimento all’ambito scientifico richiedono però una digressione di chiarezza terminologica prima di poter proseguire: molte oggettive basi del dissenso sulle politiche Covid sono da ritrovarsi nella scienza e nella giusta applicazione del metodo e del confronto scientifico. Affianco alle battaglie condotte nel nome di principi etici, è stata difatti tutta una serie di coraggiosi e validi professionisti del settore (medici, ricercatori, biologi, epidemiologi e via dicendo) a raccogliere fin da subito le svariate evidenze in conflitto con la “versione ufficiale” dell’emergenza sanitaria propugnata a reti unificate da vari altri pseudoesperti, fornendo così il materiale scientifico su cui poi si sono articolate le istanze di opposizione a misure infondate e controproducenti e su cui tuttora si basano le argomentazioni della difesa durante i ricorsi in tribunale. Non è dunque la scienza in sé da buttare, come molti di voi trovano ovvio, ma lo “scientismo”, la fede acritica in versioni più o meno spacciate come ufficiali nonostante facciano acqua da più parti.

      Tornando ai movimenti che stiamo analizzando, dunque, non possiamo non notare che la narrativa di sostegno alla lotta al cambiamento climatico, ad esempio, si appoggia proprio a una narrazione scientifica dipinta come ufficiale e universalmente condivisa – mentre, nei fatti, sul tema c’è ancora più dialettica e contrasto fra addetti ai lavori di quanto venga dato a vedere al grande pubblico. Oppure che le varie istanze trans-femministe, LGBTQ+ e inclusive si appoggiano su teorie e supposte scoperte “scientifiche” così criticabili e nebulose che i loro sostenitori non sanno più dare una definizione coerente di che cosa sia una donna [2] – vera e propria “pseudoscienza”, insomma, tanto nell’ambito della teoria quanto nel campo pratico della medicina da essa ispirata [3]. Non c’è da meravigliarsi dunque se anche dinanzi a una narrativa scientifica violentemente stabilita come “ufficiale” che però faceva acqua da tutte le parti, la rete di tali movimenti e dei loro sostenitori non abbia nuovamente udito alcun campanello d’allarme.

      Terza e ultima ragione: molti dei movimenti fin qui esaminati tendono spesso e volentieri, per indirizzo ideologico, a concentrare la loro attività, i loro obiettivi e le loro forme di “lotta” verso le cosiddette “discriminazioni sistemiche”. Quelle forme di discriminazione e ingiustizia, cioè, da imputarsi esclusivamente a fattori di mentalità, potere e cultura pervadenti la società intera che nel corso del tempo ne plasmano il “sistema” penalizzandone determinate categorie, più che a effettivi provvedimenti legislativi ed esecutivi volti a penalizzare qualsiasi cittadino. Vedasi i continui riferimenti del femminismo contemporaneo al non meglio definito ma onnipresente sistema di potere e oppressione chiamato “patriarcato”, oppure le lotte verso razzismo e omofobia volte principalmente ad una loro condanna come fattori pervasivi della società tout court.

      La tendenza ormai consolidata a lottare contro le sole discriminazioni sistemiche tipica soprattutto di quelle realtà che mettono in primo piano i valori della cosiddetta “inclusività” (anche nel linguaggio!), unita al fatto che il più delle volte esse si rivolgano solo a questa o quella “minoranza”/categoria specifica e non a ogni membro della società, potrebbero aver allontanato l’interesse di tali realtà e dei loro followers dalle ingiustizie vissute da chi si è opposto al ricatto vaccinale e ai certificati verdi. Una repressione, questa, fatta di tangibili decreti-legge e abusi concreti del potere politico alla faccia dei valori della Costituzione, così come di concretissimi dispositivi di discrimine e di controllo; sorta inoltre in relazione a precise circostanze e soprattutto abbattutasi su chiunque, non solo su qualche “minoranza specifica”.

      Chi scrive è dell’opinione che molti membri di tali movimenti non ci abbiano letteralmente capito nulla del liberticidio Green Pass e affini, poiché imbevuti di retoriche autoreferenziali su minoranze e presunte discriminazioni capillari al punto di essere incapaci, forse senza rendersene neppure conto, di cogliere un meccanismo punitivo effettivo e realmente pervasivo. Qui di seguito una “Instagram story” (contenuto temporaneo fatto per essere visualizzato per sole 24 ore) condivisa a fine gennaio 2022 dal profilo avvocathy – la pagina di un’avvocatessa per i diritti LGBTQ molto seguita da chi condivide gli ideali finora discussi – che da sola può dimostrare quanto sopra sostenuto senza bisogno di ulteriori commenti.

       

      La disamina è dunque arrivata al termine. Chiaro che di ragioni da addurre in risposta alla domanda iniziale ve ne possono essere molte altre, così come diversi sono i lati qui non esplorati di questi vari movimenti e collettivi del “dissenso giovanile”. Chi scrive spera che tale articolo possa avere intanto inquadrato in termini generali la questione e, soprattutto, che possa aver fornito una prima risposta coerente al dubbio, mosso non solo a fini retorici, su “dove fossero” tutte quelle realtà mentre si consumava la più grande stagione repressiva e liberticida della società italiana dalla fine della Seconda guerra mondiale. Non mancano infatti, soprattutto fra i giovani, coloro che si sono sentiti “traditi” dalla loro assenza nello spazio d’opinione e nelle piazze no Green Pass, magari proprio perché fino a poco prima condividevano e credevano in molti dei loro valori. Se oggi sia positivo o meno che tali movimenti si siano attivati sul fronte della questione palestinese, scontrandosi con il pugno di ferro sventolato dallo Stato italiano quando la protesta tocca temi davvero caldi, e su quali siano le ragioni dietro a ciò, lascio a voi lettori il piacere di discuterlo.

      Di Federico Degg per comedonchisciotte.org

       

      NOTE E FONTI

      [1] Nota fu la “fede” di Lenin, per citarne uno su tutti, nella scienza e nelle leggi che presumibilmente governano il mondo. Di lui scrive Tiziano Terzani, forse uno dei più lucidi e ispirati osservatori delle culture “altre” della letteratura italiana, in Buonanotte, Signor Lenin: Era convinto che bastasse conoscere le leggi secondo cui il mondo funziona per poterlo cambiare; e lui quelle leggi pensava di averle scoperte negli scritti di Marx ed Engels. Si trattava solo di applicarle alla realtà per fare la storia del futuro così come un ingegnere fa i ponti (…) Lenin, come Mao dopo di lui, era soprattutto un ingegnere sociale e aveva un’assoluta fede nella scienza”.

      [2] Voluta citazione al documentario-inchiesta “What is a Woman?”, spesso citato in ambito di critica alle teorie gender, prodotto da Daily Wire e condotto dal commentatore politico americano Matt Walsh. Con una serie di interviste, spesso difficili, a personalità varie coinvolte nella questione (accademici, operatori sanitari, semplici attivisti), Walsh cerca di dare un affresco del modo di vedere la realtà e della confusione che strutturano il mondo delle teorie gender e i suoi seguaci.

      [3] Per chi volesse approfondire la questione, vi rinvio a un mio precedente articolo uscito qui su Come Don Chisciotte: https://comedonchisciotte.org/stop-ai-bloccanti-della-puberta-il-punto-sulla-situazione/

      [4] Certo, si può obiettare che esistano lati “sistemici” anche nella faccenda Covid-Green Pass; su tutti proprio la questione sopra accennata della “fede nella scienza”, a cui determinati autori e filosofi del dopoguerra non lontani dal pensiero “di sinistra” si sono ben che dedicati (il filosofo Paul Feyerabend, ad esempio). Essi sono però rimasti piuttosto di nicchia e marginali rispetto ai vari e più popolari filoni di “teorie critiche” sorte dagli anni Sessanta in poi con la scuola di Francoforte – quelli da cui hanno origine la linea teorica e gli approcci all’attivismo dei movimenti odierni di cui andiamo discutendo

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