“Mi si legge in fronte il caos che ho dentro”: sono le prime parole del terzo disco di Claudia Lagona, in arte Levante. Dimenticatevi la ragazza in copertina di “Abbi cura di te”, dove pugnalava il suo cervello per tenere mano il suo cuore, e quella in “Manuale distruzione”, dove sembrava una donna d’altri tempi, per poi urlare “che vita di merda!”.
Questa volta Levante non è seduta, in copertina. E’ caduta dalla poltrona, non ha nessuna veste elaborata, e si guarda allo specchio. Un netto e voluto contrasto con le copertine precedenti, proprio come questo disco si allontana musicalmente dal cantautorato dei primi due lavori.
Il “Caos” della prima canzone è solo nominale: la breve e delicata ballata piano e voce è una sorta di trait d’union con i lavori precedenti, ma già dalla seconda traccia le cose cambiano, e conosciamo la “nuova” Levante, quella che ci è stata presentata qualche settimana nel bel singolo “Non me ne frega niente”. “Da che eravamo wow siamo diventati caos. Non è passato molto a desiderare un ciao”, canta in “1996 la stagione del rumore”, su una batteria quasi marziale, un organo e un “wall of sound” costruito con la voce raddoppiata, cori e armonie vocali.
A differenza della copertina e della prima canzone, la nuova “Levante” è tutt’altro che svestita. Uno dei primi di segni di cambiamento è proprio la nuova produzione: dopo i due lavori con Alberto Bianco, c’è la presenza di Antonio Filippelli al banco di regia, che ha portato nuove sonorità, un suono compresso ma con la voce dritta in faccia, sostenuta da tanti colori diversi.
Sarebbe facile semplificare parlando di “svolta pop”, ma Levante è più complessa, lo è sempre stata anche quando sembrava, con altrettanta semplificazione, una cantautrice più tradizionale. Questa volta ha fatto scelte meno minimali, ha messo grande enfasi sulla parte ritmica e sulla batteria, creando un suono che ti arriva dritto alla pancia. Ha scelto melodie cantabili e appiccicose: provate a scrollarvi di dosso “Non me ne frega niente”. Fosse sempre così, il pop italiano.
Ma quello di “Nel caos di stanze stupefacenti” è pop con il doppio fondo. Sia per il modo in cui lo interpreta: le sfumature delle canzoni (fate caso a come usa la voce proprio in “Non me ne frega niente”) denotano una maturità artistica che va ben oltre l’aver inciso “solo” tre dischi. E per i temi: in questo, Levante non è cambiata, è rimasta la capacità di scavarsi dentro, di usare il suo caos (appunto) come materiale da canzoni, o di leggere la realtà (la violenza di “Gesù Cristo sono io”, i social di “Non me ne frega niente”) come spunto per creare dei racconti sempre originali per scelta del tono e delle parole.
“Nel caos di stanze stupefacenti” è un disco vario, con brani che richiamano il suono del singolo, altri che la riportano al cantautorato (“Io ti maledico”), ballate potenti per arrangiamento (“Io ero io”), riferimenti all’indie rock (“Le mie mille me”, con quella chitarra quasi alla Strokes) e gioielli pop: “Pezzo di me”, con Max Gazzè, è un potenziale perfetto singolo per l’estate.
Insomma, un disco che mette in discussione le etichette musicali di genere, e che conferma il grande talento di un’artista, che ha il coraggio di rischiare.
“Bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante”, diceva una famosa (e abusata) frase di Nietzsche. Qua di (bel) caos ce n’è a volontà, la stella c’è e la danza pure.