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      • Niente di Africano sugli scaffali del “supermercato della cultura”.

      Niente di Africano sugli scaffali del “supermercato della cultura”.

      Cosa leggiamo? Cosa andiamo a vedere al cinema? Cosa guardiamo in televisione?
      Insomma, cosa troviamo sugli scaffali del supermercato della cultura a cui ogni giorno affidiamo le nostre speranze ( quasi sempre vane) di acculturazione e di un agognato ingresso nel mondo esclusivo della vera conoscenza?
      In realtà la risposta è brutale: pochissimo. In tali magazzini abbiamo più o meno la stessa possibilità di scelta che hanno avuto per anni i russi durante l’epoca dell’Unione Sovietica o che hanno i cubani nel loro paese, e cioè: quasi zero.

      Per tale motivo, abbiamo vissuto e viviamo in uno stato di perenne obnubilamento.
      Come i pesciolini rossi, nuotiamo in un bicchiere d’acqua, ignorando l’esistenza dell’oceano. Siamo indotti da tempo immemore a pensare che esista una unica forma di pensiero, che prende vita da un’unica fonte di approvvigionamento, quella ritenuta cioè, la più rispondente ad una parvenza di universalità. Ragion per cui, l’immaginario in cui siamo immersi e dominati, non ha granchè in comune con le nostre istanze peculiari, ma si tratta di un puro innesto, operato ad uso e consumo del…consumo che viene da ovest.
      Le nostre sinapsi, a causa di questo maleficio dell’univoco approvvigionamento culturale che ci impedisce di spaziare, sono ammanettate mani e piedi, prive di qualsiasi possibilità di movimento e vicine all’asfissia.

      Possiamo affermare che nel nostro corpo di cittadini dell’emisfero “evoluto” si è sviluppato un handicap.
      Questo handicap, in moltissimi casi, è molto simile a quello che può rappresentare la mancanza di un arto. Lo abbiamo sviluppato per condizioni ambientali instaurate intorno ad interessi estranei alla nostra esistenza, ma che con il tempo hanno riconfigurato il nostro profilo psichico.
      Ciò che abbiamo perso in conseguenza di questo stato di cose è la risorsa più importante su cui può fare affidamento una persona, ovvero, la curiosità umana e intellettuale.
      Il mercato della cultura infatti, ovvero la materia che modella la nostra personalità singola e di gruppo, propone da tempo lo stesso prodotto, confezionato in tanti modi diversi. Tale prodotto viene proposto in una forma così prepotentemente invasiva, che per noi con il tempo, qualsiasi altra opzione alternativa ad esso, semplicemente, non esiste.

      Film, televisione, radio, teatro letteratura, ogni manifestazione di attività creativa, di svago o di crescita culturale, sono meccanismi di una macchina con targa immatricolata negli USA. La nostra emotività si trova ad essere calibrata su paradigmi che hanno la loro sorgente dall’altra parte dell’atlantico.
      Rispondiamo dunque alle domande sopra formulate : noi guardiamo e viviamo di cose che riguardano solo la sfera occidentale del mondo, un mondo in cui l’immaginario collettivo è monopolizzato proprio dai nostri dirimpettai americani.
      Prendere coscienza di ciò, è come se un giorno, all’improvviso, ci si svegliasse da un sogno ricorrente, molto ricorrente, e per incanto si rivelasse davanti a noi la realtà vera e sconosciuta, procurandoci un brivido di stupore.

      Una realtà che ci dice di essere stati per anni e anni segregati in un ambito vitale imposto da altri, per fini diversi da quelli che riguardano l’arricchimento personale.
      Una realtà in tutto e per tutto somigliante ad una galera dalla quale soltanto pochi riescono ad evadere. Una volta messa la testa fuori dal sacco però, ci rendiamo conto che il nostro sguardo è capace di comprendere un orizzonte molto più vasto di quello che ha costituito il nostro limite visivo. Ci appare in tutta la sua evidenza la cecità che per molto tempo ha costituito la nostra condizione esistenziale.
      Ci svegliamo dal sonno quindi, e ci accorgiamo coscientemente e nello stesso tempo ancora in trance, di essere appena svegli da un innaturale letargo.

      Mi sono reso conto solo nel corso di queste mie ricerche sulle arti visive africane di non aver mai letto un romanzo scritto da un abitante del continente nero.
      Una cosa assolutamente incredibile per una persona vittima da sempre di una divorante avidità del sapere. Questo ci rimanda ad un classico della vendita: le persone comprano solo ciò che vedono, e nei grandi magazzini della cultura dove ho comprato io, mancava una intera porzione di universo. Tentando comunque di porre rimedio, e spinto da un’improvvisa curiosità appena rivitalizzata, ho cercato dei titoli di scrittori africani, scoprendo però che per alcuni di essi non fosse mai stata approntata una traduzione, mentre di altri ho dovuto prendere nota della indisponibilità persino su Amazon.

      Ho allora cercato un romanzo scritto da un francese, che mi ha incuriosito per il titolo : “Noire est la beaute’ ” ambientato a Parigi e di cui la protagonista è una donna di colore. Bene, anche in questo caso, nonostante l’autore Stephane Zagnadanski fosse uno scrittore piuttosto importante, ho dovuto constatare che per il romanzo in questione, non esiste né la traduzione e neanche la possibilità di acquisto in Italia.
      Eppure, possiamo trovare bello e tradotto in qualsiasi libreria anche il più infimo dei romanzi scritto negli stati uniti.
      Questo vuol dire che sugli scaffali della libreria della nostra quota di mondo, c’e’ chi decide a priori ciò che deve costituire la nostra “dieta” culturale, ritenendo la qualità dell’opera un dettaglio trascurabile, e ponendola in subordine alla visione da essa perorata.

      Per i demiurghi del mercato e difensori del nostro ordine spirituale, la simil-cultura è solo un’arma che serve a diffondere la propaganda preposta alla perpetuazione eterna del sistema. Fatto sta, che questa nostra presa di coscienza, in virtù di ciò che abbiamo sopra scritto, non poteva che scaturire da un evento assolutamente casuale, e non da un atto determinato dalla volontà, avendo in una certa misura dismesso il libero arbitrio. In effetti, sarei potuto morire senza essere mai stato neanche sfiorato dall’idea di avere una cultura raffazzonata, claudicante e diciamo pure, povera. O forse ne sarei stato cosciente, ma sicuramente non avrei attribuito questo dato al fatto di avere pescato il mio sapere da un unico paniere.

      Volendo andare un pò più avanti con il ragionamento, potrei affermare che la nostra decantata democrazia, ci da possibilità di scelta solo per finta. Siamo in realtà calati quotidianamente in una sorta di Truman Show, dove tutto ciò che vediamo è puro spettacolo in cui l’occultamento della verità, è il vero lavoro del regista.
      Ma arriviamo al nocciolo di questa nostra riflessione.
      La domanda è: “Perché il mercato più disonesto è quello dell’industria culturale?”
      A questa domanda si potrebbe rispondere in più modi, ma a noi viene in mente una risposta d’istinto: l’industria culturale è quella che determina il potere di premere il grilletto dell’arma puntata sui nemici, tra i quali ci siamo anche noi.

      Diciamo pure che questa risposta è condizionata dagli ultimi eventi e dalle guerre in corso, ma potrebbe tranquillamente assumere un carattere universale e atemporale.
      Ogni conflitto e ogni pacificazione hanno origine dal pensiero degli uomini designati a pianificare e a mettere in atto tali eventi. Ed è chiaro che in ultima istanza è la cultura di provenienza che determina posizioni discordanti o concordanti riguardo alle grandi questioni della vita pubblica decisi da uomini pubblici. Possiamo quindi convenire che la cultura condiziona sia chi esercita il potere che chi lo subisce, anche se in modi decisamente diversi.

      Chi è al potere, essendo nel backstage dove tutto si decide, ha una visione d’insieme completa dei meccanismi della trasmissione del sapere e quindi anche della ricaduta di tutto ciò nella propria sfera esistenziale. All’uomo della strada invece non è concesso altro, se non percorrere vie impervie per procurarsi materiale alternativo a quello messo a sua disposizione dal gran bazar della finta cultura.
      Nell’occidente, la manipolazione, pare che sia avvenuta con un sistema banale ma efficace che è quello di puntare la luce su ciò che si vuole evidenziare lasciando nell’ombra quel che invece non si ha interesse a diffondere.
      Una specie di gioco delle tre carte molto redditizio.

      In altri termini non abbiamo avuto, a fronte di tesi diffuse con insistenza, delle controparti dialettiche, per il semplice fatto che di queste ultime non c’è traccia nei mezzi di diffusione.
      Come affermava Pasolini, tra le categorie sociali le persone più esposte ai condizionamenti sono l’uomo medio di media cultura, perché egli si interessa si alle cose del mondo, ma lo fà usando solo gli strumenti che trova a portata di mano, cioè quelli che fanno il gioco del potere costituito.

      La mia vicenda è illuminante per capire lo stato delle cose. Interessandomi di culture altre, e non essendo inserito nell’ambiente ufficiale dei protagonisti del sapere, anche facendo sforzi enormi, oltre un certo punto non mi è concesso andare, per il banale motivo che da noi, certi testi, documentari, film e altro, non esistono.
      Temiamo che “The dark side of the Moon” resterà tale per molto tempo. Quando non troviamo un libro, normalmente diciamo che è irreperibile, ma in effetti, potremmo anche usare un altro termine che nel tempo potrebbe assurgere a sinonimo, e cioè : vietato.

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