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      • PERCHÉ È FONDAMENTALE INSEGNARE IL LATINO AI NOSTRI BAMBINI

      PERCHÉ È FONDAMENTALE INSEGNARE IL LATINO AI NOSTRI BAMBINI

      Il titolo è apparso sul Times UK qualche giorno fa: il Latino è ora la quarta lingua più insegnata nelle scuole primarie[1] statali del Regno Unito. La notizia è stata riportata in seguito anche da Repubblica, che ne ha sottolineato giustamente la portata[2]: il Latino ha superato il cinese mandarino e, vista l’ascesa inarrestabile nelle preferenze dei giovanissimi studenti, potrebbe superare anche il tedesco, la terza lingua più studiata dopo francese e spagnolo.

      L’incremento degli studenti che si appassionano alla lingua classica è del 2,3% rispetto all’anno scorso. L’operazione è partita da circa un paio d’anni grazie soprattutto all’iniziativa del Governo e delle organizzazioni quali “Classics For All”

       

      che stanno promuovendo con forza il Latino nelle scuole primarie, come bene dimostra il video qui riportato. Per questa finalità, strumento di grande successo tra i bambini si è rivelato il libro “Minimus il topo”, che sta conquistando i più piccoli e rende lo studio più facile e divertente.

       

      L’iniziativa era partita sotto il governo di Boris Johnson, appassionato classicista, con la finalità di rendere meno elitario lo studio delle lingue classiche; quindi, non più riservato solo a “pochi privilegiati” nelle scuole private. Finalità culturale e ideologica allo stesso tempo: Johnson ha sempre sostenuto la forza dell’idea di Roma:

      «Roma è come uno specchio lontano in cui cerchiamo di rifletterci, confermando così il nostro status di successori.» E aggiunge: «l’idea di Roma è ancora lì̀, nell’inconscio della nostra civiltà̀ occidentale. […] Si tratta, credo, di ciò̀ che Jung definirebbe archetipo, una memoria collettiva sepolta di ciò̀ che il nostro continente fu un tempo, e dei risultati eccezionali che i romani raggiunsero nella costruzione dell’unità, della prosperità̀ e della pace per quasi 400 anni.»[3]

      L’iniziativa, denominata “Latin Excellence Programme”[4], ha ricevuto uno stanziamento dal ministero di quattro milioni di sterline, circa quattro milioni e seicentomila euro. Il primo programma pilota, che è stato stabilito di una durata di 4 anni, è stato lanciato nel 2022 in 40 scuole inglesi, dove gli insegnanti inseriti nel programma hanno ricevuto il necessario training per l’insegnamento del Latino ai bambini. Il risultato, a dir poco entusiasmante, ve lo abbiamo riportato all’inizio di questo articolo.

      In Italia, il Latino è sparito dai programmi di insegnamento delle scuole medie nel 1978, in compenso l’inglese è obbligatorio fin dalle elementari. Trovate le differenze, verrebbe da dire. Soprattutto perché la polemica del “Latino si, Latino no” si ripropone con ciclicità disarmante nel nostro Paese. Sembra che le lingue classiche diano fastidio a parecchia gente, che eliminerebbe il Latino anche dai licei, e che evidentemente non le conoscono, mi verrebbe da dire, altrimenti non si spiegherebbe tanta crassa ignoranza e pochezza di visione.

      Eppure, l’esperimento inglese dovrebbe suggerirci qualcosa di fondamentale. La conoscenza di una lingua così antica, che spiega molto di come siamo, se insegnata con metodo vincente appassiona i giovanissimi che la studiano. E non preclude, anzi prepara, allo studio di materie più complesse. Per non parlare, riferendoci ai bambini italiani in particolare, della possibilità di comprendere maggiormente la grammatica italiana che sembra essere scomparsa dalle nostre scuole (gli errori anche marchiani si trovano fino alle tesi di laurea ormai).

      Il Latino deve tornare nelle nostre scuole, possibilmente dalle elementari. Il suo studio aiuta a sviluppare le abilità necessarie all’apprendimento, sostiene la formazione di un pensiero basato sui meccanismi di costruzione di una frase, favorisce la logica, poiché è attraverso questa che si ricostruisce la relazione tra le parole. La sua conoscenza aiuta nello studio della storia, nonché nelle materie scientifiche e nella matematica. Il suo studio stimola l’apprendimento di altre lingue straniere.

      In una fase storica nella quale sembra tornata di moda l’infame pratica di bruciare libri e biblioteche nel nome delle più svariate follie ideologiche e di rivendicazioni di vario genere, il ritorno a qualcosa che ridia alla conoscenza il senso del suo valore e della sua nobiltà sarebbe auspicabile.

      In un momento in cui si vuol tornare a fare dello studio qualcosa di legato allo status sociale dello studente, impartire a tutti i bambini, indipendentemente dalla condizione delle famiglie, le lezioni di una lingua tutt’altro che morta non possono che essere di supporto alla vera inclusività: quella della conoscenza comune, della memoria condivisa, delle pari opportunità per tutti gli studenti, anche quelli più piccoli.

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