Negli ultimi due decenni, da quando la Cina è stata ammessa all’OMC, la sua base industriale nazionale ha compiuto incredibili passi da gigante, fino a diventare il primo produttore economico mondiale in molti settori importanti. I dibattiti accademici sul fatto che il PIL della Cina sia più grande di quello degli Stati Uniti sono fuori luogo. Il PIL è in gran parte inutile come misura di un’economia reale. Se valutata in termini di produzione economica fisica reale, la Cina ha distanziato di molto gli Stati Uniti e tutti gli altri. Pertanto, il futuro della produzione industriale cinese è fondamentale per il futuro dell’economia mondiale. La globalizzazione dell’economia mondiale lo ha reso tale.
La produzione di acciaio è ancora il miglior indicatore di un’economia reale in crescita. Nel 2021, la Cina ha prodotto più di dodici volte il tonnellaggio di acciaio degli Stati Uniti, oltre un miliardo di tonnellate. Gli Stati Uniti, un tempo leader mondiali, hanno prodotto solo 86 milioni di tonnellate. In tonnellate di carbone, la Cina produce circa il 50% del carbone totale mondiale. Controlla il 70% dell’estrazione mondiale di terre rare e oltre il 90% della loro lavorazione, grazie alle bizzarre azioni politiche statunitensi che risalgono a diversi decenni fa. Oggi la Cina è di gran lunga il più grande produttore di autoveicoli al mondo, quasi tre volte gli Stati Uniti con 27 milioni di unità all’anno, un terzo del totale mondiale nel 2022. La Cina è di gran lunga il maggior produttore di cemento, essenziale per l’edilizia, ed è il primo produttore mondiale di alluminio, con 40 milioni di tonnellate nel 2022, rispetto al milione di tonnellate degli Stati Uniti. È anche il più grande consumatore di rame al mondo. L’elenco potrebbe continuare.
Questo solo per suggerire quanto l’economia cinese sia stata essenziale per la crescita economica mondiale negli ultimi due decenni. Solo quattro decenni fa la Cina era insignificante in termini di economia reale mondiale. Quindi, se la Cina dovesse entrare in una profonda contrazione economica, l’effetto questa volta sarebbe globale. Ed è proprio quello che sta accadendo. È importante notare che la contrazione era iniziata ben prima dei tre anni di severi lockdown causati dalla politica cinese dello Zero-Covid. In poche parole, dopo la cosiddetta Grande Crisi Finanziaria del 2008, la Cina aveva creato una bolla finanziaria di dimensioni mai viste al mondo. Tale bolla aveva iniziato a sgonfiarsi, a partire dal settore immobiliare, intorno al 2019. La portata è sistemica e siamo solo all’inizio.
Deleveraging colossale e debito nascosto
Un problema enorme del modello economico cinese degli ultimi due decenni è il fatto che è un modello finanziario basato sul debito, massicciamente concentrato sulla speculazione immobiliare, ben oltre quanto l’economia possa digerire.
Il 25-30% del PIL cinese totale proviene da investimenti immobiliari in case, appartamenti e uffici. È un dato significativo. Il problema è che in Cina gli immobili, in particolare gli appartamenti, per più di due decenni hanno rappresentato una fonte di guadagno garantita per i proprietari, i costruttori, le banche e, soprattutto, per i funzionari dei governi locali. I prezzi [degli immobili] aumentavano ogni anno del 10%, a volte del 20%. Milioni di cinesi della classe media hanno acquistato non solo uno, ma due o più appartamenti, utilizzando il secondo come investimento per la loro futura pensione. I terreni in Cina, a livello locale, sono di proprietà del Partito Comunista. Vengono affittati a lungo termine alle imprese di costruzione che poi ottengono i finanziamenti per costruire.
Qui la questione si fa oscura. Per i funzionari del governo locale del PC, la principale fonte di reddito sono le entrate derivanti dal leasing dei terreni immobiliari locali e dai loro progetti infrastrutturali. Finora le imposte comunali sulla proprietà erano state vietate, nonostante le forti pressioni dei funzionari locali.
Nel 2018 e del 2019 i prezzi degli immobili cinesi avevano raggiunto il picco. Da allora hanno subito un prolungato declino. La Cina ha un modello immobiliare unico e assai soggetto ad abusi. In genere un acquirente deve anticipare l’intero prezzo di acquisto nel momento in cui viene iniziata la costruzione. Il mantra è “Compra oggi perché domani il prezzo sarà ancora più alto”. Per farlo, l’acquirente accende un mutuo, di solito presso una banca locale. Se il costruttore non completa i lavori in tempo, l’acquirente deve comunque pagare il mutuo, anche se il costruttore fallisce, come sta accadendo ora, lasciando dietro di sé abitazioni incompiute e abbandonate. Nessun altro Paese utilizza questo modello. In genere nei Paesi occidentali è sufficiente un piccolo deposito per prenotare la casa fino al completamento. Il mutuo arriva quando l’immobile è finito. Non in Cina.
Finché i prezzi delle case in Cina erano in costante aumento, il modello sembrava funzionare e il mercato immobiliare si espandeva. Quando l’aumento dei prezzi si è interrotto, per tutta una serie di ragioni, ulteriormente aggravato dai severi lockdown per la Covid, quella che allora era una colossale bolla immobiliare ha iniziato a implodere. Secondo l’economista Robert Pettis dell’Università di Pechino, “dall’inizio della crisi immobiliare nel settembre e ottobre 2021, i prezzi degli immobili sono diminuiti in più di due terzi delle settanta città più grandi della Cina (e probabilmente in tutte quelle più piccole), mentre, cosa più importante, quest’anno (2022) le vendite di nuovi appartamenti sono crollate“.
La svolta era avvenuta nel 2021 con il default del China Evergrande Group sulle sue obbligazioni in dollari. All’epoca era il conglomerato immobiliare più indebitato al mondo, con un debito di oltre 300 miliardi di dollari. Nel 2018 Evergrande era considerato “il gruppo immobiliare di maggior valore al mondo”, secondo Wikipedia. Questo sulla carta. Al momento del default possedeva anche parchi a tema, un’azienda automobilistica che produceva vetture elettriche, resort e terreni sufficienti per ospitare 10 milioni di persone. Fino a quando Pechino non si era rifiutata di salvare Evergrande, in un tardivo tentativo di raffreddare la bolla, gli istituti di credito cinesi avevano concesso prestiti basati sul presupposto che i grandi mutuatari sarebbero stati salvati: erano troppo grandi per fallire. Dopo Lehman Bros, Pechino aveva imparato tutte le lezioni sbagliate dalle banche statunitensi.
È emerso che, nel corso degli anni, Evergrande aveva messo in piedi un colossale schema di Ponzi. Non erano stati unici. Dopo il 2010, a seguito di un boom immobiliare speculativo, i governi locali di tutta la Cina, assai poco regolamentati, si erano rivolti sempre più al settore immobiliare per incrementare le entrate e raggiungere gli obiettivi di crescita del PIL stabiliti da Pechino, una versione monetaria de facto della pianificazione centrale sovietica. Gonfiare i valori immobiliari locali era un modo per raggiungere gli obiettivi del PIL locale. I funzionari locali ricevevano la loro quota di contributo annuale al PIL da raggiungere. Il settore immobiliare era così diventato il veicolo ideale per raggiungere gli obiettivi del PIL e generare entrate locali. Finché i prezzi aumentavano, le banche e le “banche ombra” locali, sempre più sregolate, si univano alla bonanza del “ce n’è per tutti”. Secondo il South China Morning Post, nel 2020, all’inizio delle gravi misure di blocco, il contributo delle vendite di terreni e delle imposte sugli immobili alle entrate fiscali dei governi locali aveva raggiunto un picco del 37,6%.
Il parziale default di Evergrande aveva scatenato nel settore immobiliare cinese un panico che i funzionari avevano cercato disperatamente, e senza successo, di controllare. Era stata solo la prima grande vittima di quello che è un crollo sistemico. Nel vano tentativo di contenere l’implosione, le autorità di Pechino avevano imposto forti limiti ai prestiti immobiliari, le cosiddette Tre Linee Rosse. Questo aveva peggiorato l’implosione della bolla immobiliare. Nel 2022 le vendite di nuove case in Cina erano crollate del 22% rispetto al 2021. A febbraio 2023, i prezzi delle case in Cina erano scesi per 16 mesi consecutivi. L’anno scorso le vendite dei primi 100 costruttori del Paese erano al 60% dei livelli del 2021. Le vendite di terreni, che di solito rappresentano oltre il 40% delle entrate dei governi locali, sono crollate.
Case vuote e disoccupazione in aumento
Fino a quando la bolla non aveva iniziato a scoppiare nel 2022 con il default di Evergrande, i prezzi degli immobili cinesi erano aumentati di diverse volte, in rapporto al reddito delle famiglie, rispetto agli Stati Uniti. Cosa ancora più allarmante, due decenni di aumenti continui dei prezzi avevano letteralmente creato città fantasma e milioni di appartamenti vuoti. Secondo le stime, nel 2021 in Cina c’erano 65 milioni di appartamenti vuoti, sufficienti per ospitare tutti gli abitanti della Francia. Questo è il risultato di due o più decenni in cui le municipalità e i costruttori avevano costruito al di là della domanda effettiva, mentre i cittadini compravano per investimento e non per vivere. Secondo una stima, in Cina tra un quinto e un quarto degli appartamenti, soprattutto nelle città più ambite, era di proprietà di acquirenti speculativi che non avevano intenzione di viverci o di affittarli. Nella cultura cinese, un appartamento usato è considerato poco attraente. Con il calo dei prezzi, queste abitazioni diventano impagabili.
I lockdown senza precedenti durati tre anni, terminati bruscamente lo scorso dicembre, non hanno migliorato la situazione. Migliaia di produttori stranieri, tra cui Apple, Foxconn, Samsung e Sony, hanno iniziato a lasciare la Cina per altre sedi in Asia o addirittura in Messico, innescando una crisi di disoccupazione che, a sua volta, amplifica la crisi immobiliare in un ciclo che si autoalimenta.
Come risultato di questa implosione al rallentatore in tutta la Cina, per la prima volta dalla grande espansione, la disoccupazione sta diventando molto grave. A marzo, la disoccupazione giovanile aveva ufficialmente superato il 20%. Milioni di neolaureati non riescono a trovare un impiego e Pechino ha iniziato a mandarli a lavorare nelle campagne, ricordando l’epoca di Mao. Questo non è di buon auspicio per le future vendite di case. Una bolla che si contrae ha una dinamica viziosa.
Fino a circa il periodo delle Olimpiadi di Pechino del 2008, gli investimenti immobiliari erano in gran parte produttivi. Avevano colmato un enorme deficit di alloggi di qualità, mentre la nuova classe media diventava sempre più benestante. Dopo il 2010 circa, questo fenomeno aveva iniziato a trasformarsi in una bolla, poiché milioni di cinesi ricchi e della classe media avevano iniziato ad acquistare seconde e persino terze case per pura speculazione, mentre i prezzi aumentavano di oltre il 10%. La supervisione centrale sulle finanze dei governi locali era assai lasca.
Negli ultimi anni, per evitare la stretta da parte delle autorità centrali di Pechino che temevano l’implosione di una nuova bolla del debito, i governi locali, spesso con la collusione nascosta delle gigantesche banche statali, avevano creato un’economia non bancaria, “banche ombra”, tutte fuori bilancio. Come risultato, nonostante le azioni delle autorità di regolamentazione di Pechino per controllare il crollo immobiliare e prevenire il contagio, a febbraio 2023 il debito totale, pubblico e privato, in Cina aveva raggiunto l’allarmante valore del 280% del PIL, secondo Bloomberg.
Commodity.com riporta che il debito statale totale della Cina nel 2023 supererà i 9.400 miliardi di dollari. Ma questo esclude i veicoli di finanziamento degli enti locali (LGFV). I governi locali cinesi si affidano a LGFV fuori bilancio per raccogliere fondi per le costruzioni pubbliche locali – abitazioni, ferrovie ad alta velocità, porti, aeroporti. Il debito di tutti questi LGFV è stimato in circa 27.000 miliardi di dollari. La cifra ufficiale del debito totale dello Stato esclude anche il debito delle banche e delle imprese statali, che è chiaramente considerevole ma non pubblicato. Il debito totale non comprende nemmeno le dimensioni sconosciute delle banche ombra locali, debito che l’Istituto nazionale cinese per la finanza e lo sviluppo ha stimato nel 2018 in circa 6.000 miliardi di dollari. Il risultato di tutte queste omissioni è una cifra destinata a rassicurare i mercati finanziari occidentali sul fatto che la Cina avrebbe un debito pubblico e privato gestibile. Non è così. Complessivamente, si può calcolare un enorme accumulo di debito di ben oltre 42.000 miliardi di dollari, una somma sbalorditiva per un’economia che, solo tre decenni fa, era al livello di un’economia sottosviluppata.
Uno dei principali strumenti utilizzati per finanziare i bilanci locali è costituito dalle obbligazioni di investimento municipali, non garantite e in gran parte non regolamentate. A differenza del debito municipale tradizionale nei Paesi occidentali, i LGFV locali cinesi non sono in grado di utilizzare il gettito fiscale per finanziare gli interessi o il capitale delle obbligazioni. Pertanto, per finanziare i pagamenti delle obbligazioni, le amministrazioni locali attingevano ad un mercato immobiliare in crescita affittando a lungo termine i loro terreni ai costruttori. In questo modo si era creato un sistema in cui un calo sostenuto delle costruzioni, delle vendite e dei prezzi delle abitazioni diventava una minaccia sistemica. Questa è ora la situazione in tutta la Cina. In soli due decenni la Cina ha creato il secondo mercato del debito societario più grande al mondo, dopo quello degli Stati Uniti, e la maggior parte di esso è costituita da debito obbligazionario municipale non regolamentato.
Come risultato di questa singolare commistione tra le politiche fiscali dei governi locali e i mercati immobiliari locali, un calo sostanziale dei prezzi delle abitazioni o dei terreni ha aumentato notevolmente il livello di rischio di insolvenza dei governi locali sui propri debiti. Nel luglio 2022 la città di Zunyi, nel Guizhou, è andata in default su un’importante obbligazione, provocando il crollo dell’intero mercato obbligazionario locale non regolamentato, con un conseguente crollo dell’85% dell’emissione di obbligazioni locali. Le obbligazioni erano un modo per rifinanziare il debito locale e questo canale ora è praticamente chiuso, nonostante le iniezioni di liquidità di Pechino all’inizio del 2023. Gli investitori erano per lo più cinesi comuni che cercavano di guadagnare sui propri risparmi. Lo scorso aprile i funzionari di Guiyang, sempre nel Guizhou, hanno comunicato a Pechino di non essere in grado di finanziare i debiti accumulati nel corso di un decennio in progetti edilizi, tra cui le abitazioni. Questo apre la prossima fase dell’implosione del debito. Secondo quanto riferito, diverse municipalità cinesi hanno tagliato i salari, i servizi di trasporto e ridotto i sussidi per il carburante nel tentativo disperato di evitare il default.
La sicurezza nazionale ridefinita
In Cina la trasparenza dei dati finanziari è sempre stata un problema. Trent’anni fa il Paese non aveva mercati finanziari sviluppati. Finché l’economia era in espansione, questo non era una priorità. Ora lo è, ma troppo tardi.
A dimostrazione della gravità della situazione, le autorità di Pechino hanno iniziato a limitare la diffusione alle multinazionali straniere dei dati finanziari locali e aziendali, definendoli una questione di “sicurezza nazionale”.
Il 9 maggio Bloomberg ha riferito: “Il giro di vite della Cina sull’accesso ai dati da parte delle aziende estere aumenta le preoccupazioni sul modo in cui Pechino controlla il flusso di informazioni nel Paese, rendendo difficile per gli investitori valutare lo stato dell’economia“. Sono state bloccate informazioni come i documenti accademici, le sentenze dei tribunali, le biografie ufficiali di uomini politici e le transazioni sul mercato obbligazionario. La società di consulenza statunitense Bain &Co. ha subito di recente un’incursione nei suoi uffici in Cina nell’ambito della campagna nazionale per la sicurezza dei dati. Per un po’ queste misure possono tenere lontana la realtà dalle pagine del Wall Street Journal o della CNBC, ma la realtà di fondo del crollo del più grande edificio finanziario del mondo sarà più difficile da nascondere.
Lo scorso maggio, Dalian Wanda Group, un altro grande conglomerato immobiliare cinese con investimenti in catene di cinema statunitensi, immobili australiani e altro ancora, ha rivelato di essere in trattativa con i suoi principali banchieri per ristrutturare gli enormi debiti in una crisi di liquidità. Il Financial Times britannico del 9 maggio ha riferito che le speranze di una ripresa della Cina post-Covid stanno svanendo: “I prezzi del minerale di ferro cinese sono scesi ai livelli più bassi degli ultimi cinque mesi, mentre la debolezza della domanda si aggiunge alle prove che la ripresa economica del Paese dopo le dure misure di blocco per il coronavirus potrebbe vacillare… l’ottimismo e l’attività che hanno seguito la fine del blocco sono svaniti, portando ad un ‘crollo’ nel mercato dell’acciaio“.
Tutto ciò significa che, a questo punto, la prospettiva che l’economia cinese sia una locomotiva di crescita per sollevare il resto del mondo dalla depressione incombente è praticamente nulla. La massiccia Belt and Road Initiative è impantanata in centinaia di miliardi di dollari di prestiti a Paesi che non sono in grado di onorare il debito, mentre i tassi di interesse mondiali aumentano e la crescita si blocca. I tentativi di rilanciare la crescita interna della Cina affidandosi ad un boom dei consumi sono attualmente destinati a fallire per le ovvie ragioni già citate, così come l’invito di Xi Jinping a fare del 5G, dell’IA e di altre tecnologie simili la base di un nuovo boom, dato che le sanzioni statunitensi ostacolano notevolmente i progressi informatici della Cina.