Fin dal primo momento dell’introduzione delle sanzioni nei confronti della Russia, sui media del mondo occidentale abbiamo assistito ad un bombardamento continuo, su quella che veniva presentata come l’innovazione del secolo all’interno del sistema monetario globale:
la preziosa moneta comune dei BRICS legata ad oro e metalli preziosi in contrapposizione alla moneta fiat priva di ogni valore intrinseco e causa di immani sofferenze per i popoli – per voce del nostro main-stream – era un evento che veniva dato come certo ed estremamene prossimo.
Tra lo scetticismo di chi conosce la materia e di chi vi scrive – sul fatto che Putin e co. avessero consegnato il futuro delle loro monete e quindi della loro gente, nelle mani del cambio fisso di Euroniana memoria – gli economisti e gli addetti ai lavori proni ai poteri occidentali, hanno riempito giornali, TV e Web, con le loro certezze su quello che sarebbe stato, a detta loro, un fantomatico (ndr) ritorno sulla Terra del Gold Standard, per mano di questi paesi capitanati da Russia e Cina. [1]
Siccome per più di un anno (anche a fronte delle smentite istituzionali), l’introduzione di tale moneta veniva data per certa sempre domani, come detto da parte del main-stream; siamo arrivati ad un punto che per continuare a far stare in piedi la novella, i nostri romanzieri si sono dovuti giocare tutti i loro averi sulla tavolo verde del meeting dei BRICS che si è tenuto dal 22 al 24 agosto scorso a Johannesburg.
In sostanza, era quella la dead-line, dopo la quale non saremmo più tornati indietro a quello che sarebbe stato il via vai di carovane di oro per il mondo, in cambio di gas e petrolio.
Scaduto l’ultimatum e concluso il meeting sudafricano, Davos ed i suoi strilloni dovranno inventarsi qualcos’altro per provare a contrastare quella che ormai è la realtà vivente di un processo di de-dollarizzazione più che in corso, certificato dalle dichiarazioni dei leader che rappresentano i paesi che formano i BRICS.
Niente moneta comune, niente connessioni delle valute con oro o qualsiasi altro materiale presente in natura, ma solo accordi di partnership sempre più stretta tra loro, che prevedono il regolare gli scambi commerciali reciproci attraverso la consegna di estratti conto denominati nelle valute nazionali.
E’ chiaro, come sempre da noi immaginato, che la notizia fosse totalmente inventata e tenuta in piedi da quelli che sono i poteri profondi che hanno in mano il mondo occidentale. Infilare i paesi nella gabbia del cambio fisso, per rendere la moneta scarsa per la maggioranza ed abbondante per l’élite, è ormai il remake di un film prodotto in Europa con regia occidentale, che nel mondo viene mandato in onda senza sosta, almeno dalla nascita di Cristo.
Vendere il brevetto del Gold Standard, come la soluzione a tutti i problemi, in primis quella di non vedersi volatilizzare i propri risparmi per mano dell’inflazione dovuta ad un eccesso di stampa della moneta, è come proporre la chemioterapia a chi si preoccupa di un’unghia incarnita ad un piede.
E naturalmente, come ovvio che sia, c’è sempre chi ci crede e ci casca!
Nel mondo possono essere scarse le risorse reali e la manodopera, ma non certamente sono scarsi i numeri elettronici che le tutte le banche centrali del pianeta ci hanno mostrato di saper moltiplicare a loro piacimento da oltre duecento anni questa parte, senza che niente di catastrofico accadesse sulla Terra.
La catastrofe semmai avviene per l’esatto contrario, ovvero si rende la gente precaria nel lavoro e sofferente nella loro quotidianità nel dover rinunciare anche ai beni ed i bisogni più essenziali, proprio perché si decide deliberatamente di far mancare la quantità di moneta sufficiente per cui ognuno possa ottenere quanto appena descritto.
Evidenziato come la notizia di una valuta comune per i BRICS sia del tutto una novella partorita dei poteri occidentali, non possiamo non accoppiarla con l’unica voce stonata fuori dal coro che si è manifestata al meeting in Sudafrica sull’argomento: è stato il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, a margine dell’incontro, l’unico a tenere in piedi il prospetto di una creazione di una nuova valuta, comune e digitale, per gli investimenti e gli scambi commerciali tra i Paesi componenti, con l’obiettivo dichiarato di ridurre la propria vulnerabilità alle fluttuazioni del dollaro americano.
Nell’attesa che Putin e Xi Jinping, verifichino al loro interno se la figura di Lula possa o meno rappresentare il cavallo di Troia, portato nelle loro stanze dai poteri occidentali, consentitemi una mia valutazione tecnica sulle dichiarazioni del presidente brasiliano.
Se l’obiettivo dichiarato da Lula, è realmente quello di affrancarsi dal dollaro, la soluzione non è certo quella di una valuta comune modello-euro, tanto più se si rendesse la sua emissione legata alle riserve auree di un paese.
Come si suole dire, si cadrebbe dalla padella nella brace!
La soluzione è già a portata di mano dei BRICS ed è quella che hanno già dichiarato gli altri membri, ovvero quella di commerciare con le valute nazionali invece con il dollaro.
Elementare.. direbbe Holmes a Watson!
Allora, se la soluzione è elementare e già condivisa ed applicata da tutti, la domanda nasce spontanea: a che gioco, gioca Lula? O meglio ancora, per quale squadra gioca Lula?
Il presidente brasiliano ritiene che i Paesi che non utilizzano il dollaro statunitense non debbano essere costretti a commerciare in tale valuta. Una moneta esclusiva per i BRICS “aumenta le nostre opzioni di pagamento e riduce le nostre vulnerabilità”, ha dichiarato durante la sessione plenaria di apertura del summit la scorsa settimana. [2]
Dichiarazioni che aumentano ancor di più i dubbi sulla figura del presidente brasiliano e su quelle che sono le sue reali intenzioni.
Il contrasto sull’argomento è più che evidente, se si analizzano le dichiarazioni degli esponenti degli altri paesi proprio in risposta al presidente brasiliano: alcuni funzionari sudafricani hanno specificato che il tema di una moneta dei BRICS non era all’ordine del giorno del vertice, mentre il mese scorso il ministro degli Esteri indiano ha affermato che “non esiste alcuna idea di una valuta BRICS”.
Secondo il presidente russo Vladimir Putin, che ha partecipato al summit da remoto, si sarebbe piuttosto dovuto discutere del passaggio da un commercio in dollari USA tra i Paesi membri, a un sistema di scambio con le relative valute nazionali.
La Cina, dal canto suo, non ha commentato la dichiarazione del presidente brasiliano. Xi Jinping durante il vertice ha semplicemente dichiarato di voler promuovere “la riforma del sistema finanziario e monetario internazionale”.
Ma vi è di più, solo un mese fa il governatore della banca centrale sudafricana Lesetja Kganyago, dimostrando perfetta conoscenza della materia monetaria, aveva dichiarato che creare una moneta BRICS sarebbe più che altro un “progetto politico”, per il quale sarebbe necessaria non solo un’unificazione bancaria, ma anche fiscale, creando una convergenza macroeconomia solida.
In definitiva i leader dei Paesi BRICS hanno affermato all’unanimità di voler utilizzare maggiormente le proprie valute nazionali, piuttosto che il dollaro statunitense e di abbandonare definitivamente il progetto di una valuta comune, Lula permettendo.
L’esilio della Russia dai sistemi finanziari globali, imposto dalle sanzioni introdotte lo scorso anno, ha alimentato la speculazione secondo cui gli alleati non occidentali si sarebbero allontanati dal dollaro, un processo di de-dollarizzazione che Putin ha definito “oggettivo e irreversibile” in occasione del summit.
Se dalle parole passiamo ai numeri, secondo i dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), la percentuale di dollari americani inseriti nelle riserve valutarie ufficiali è scesa al 58% nell’ultimo trimestre del 2022 e al 47% se adeguata alle variazioni del tasso di cambio. Parliamo di livelli minimi mai visti negli ultimi 20 anni. Tuttavia, il dollaro continua a dominare il commercio mondiale. Secondo i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), rappresenta quasi il 90% delle transazioni forex globali.
La strada comunque ormai è tracciata ed il destino della de-dollarizzazione e la sua effettiva implementazione dipende strettamente dal fatto che innumerevoli esportatori e importatori, così come debitori, creditori e trader di valuta in tutto il mondo, decidano in modo indipendente di smettere di usare il dollaro, preferendo altre valute.
La Santità del dollaro come valuta di riserva è un altro dei dogmi della religione neoliberale e globalista – profuso con tanto ardore anche nel belpaese dai nostri Marattin di turno – che sta per cadere definitivamente.