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      • QUALE PARITÀ DI SALARIO ?!

      QUALE PARITÀ DI SALARIO ?!

      Circolarmente, si è visto come l’equità di genere passi, per la normativa europea e nazionale, attraverso la regolamentazione della spesa sociale e dei salari. Il fatto che condizioni di lavoro meno gravose per una società sempre più automatizzata e post-industriale abbiano portato sin da subito ad un ripensamento sulla redistribuzione di ruoli,1 prerogative ed oneri fra uomini e donne – ben prima, dunque, che think tank nordamericani approntassero gli studi di genere – è testimoniato dal «Trattato istitutivo della CEE» nel 1957 dove si afferma, all’art.119, la necessità che ciascun Stato membro assicuri l’applicazione del principio della parità retributiva tra i lavoratori di diverso sesso in relazione ad uno stesso lavoro. Gettate quindi le fondamenta del mercato unico, l’impegno della Comunità Europea in merito si è poi espresso attraverso il ricorso alle direttive di armonizzazione della legislazione degli Stati membri, a cui si sono aggiunte le sentenze della Corte di Giustizia della Comunità europea che, interpretando estensivamente l’articolo summenzionato, hanno salvaguardato l’efficacia del principio di uguaglianza retributiva in ambito giudiziale: l’etica finanziaria si è fatta posologia.

      Non sembri ossimorico accostare etica e finanza: negli ultimi trent’anni, il sistema bancario europeo ha posto in essere questa misura con un procedimento d’integrazione mirante a contenere le forze individuali e ad utilizzarle ad esclusivo profitto degli stati comunitari. Il sistema UE è, di fatto, nel senso pieno e primo dei termini, un sistema collettivista e totalitario: la salvezza del singolo stato – e via a discendere fino alla realtà atomistica dell’individuo – passa attraverso la sopravvivenza del gruppo fondatore.

      L’individuo/stato esiste solo in quanto incluso nel tutto del mercato comune; una comunità mercantilistico-bancaria molto gravitazionale: fuori dal gruppo non c’è salvezza. Due direttrici si vengono dunque a scontrare: da un lato la libertà di disporre di maggiore spesa, a titolo primariamente consumistico (e solo secondariamente strutturale), di ogni individuo in quanto diverso/singolare e perciò soggetto a tutela, dall’altro una massa monetaria che non può crescere all’infinito e, livellando dunque le quote, spinge il tutto in basso spianando le stesse singolarità portatrici di valore distintivo e disignificato. Più denaro per tutti – meno valore per tutti.2 Si narra che, a chi gli chiedesse quanto vino servire, un re spartano rispondesse lapidario: “Se c’è vino in abbondanza, allora tutto quello che ciascuno richiede; se ce n’è poco, datene a tutti nella stessa misura”. È la soluzione comunista da manuale.3

      “Dopo l’illusione di ricchezza di questi anni” – scriveva l’economista e banchiere italiano Gotti Tedeschi l’indomani del crollo Lehman Brothers (e non solo) –, “la prima conseguenza è che per un po’, finché non sarà assorbito il disavanzo prodotto, le banche finanzieranno meno il sistema economico che, a sua volta, produrrà meno e pagherà meno. Noi consumeremo meno e risparmieremo meno. In pratica vivremo più poveramente. E saremo inoltre costretti ad accettare una qualche forma di statalismo a sorpresa, secondo gli strumenti che verranno adottati: maggiori tasse e inflazione, minori tassi e remunerazione dei risparmi – probabilmente sotto il tasso di inflazione – che rappresenteranno così un’imposta occulta di trasferimento della ricchezza.”4

      In altri termini, l’eccezionale apertura al credito varata dalle banche a partire dalla metà del secolo scorso ha tracciato una linea omotetica con i maggiori diritti che le donne (occidentali) abbiano mai avuto dall’inizio dell’era cristiana.5

      E tuttavia, se il suffragio universale femminile, la possibilità di aprirsi un conto in banca senza il permesso del padre o del marito, la minigonna e la pillola anticoncezionale sono solo alcuni dei picchetti conficcati nel guado della Storia delle Donne, il femminismo, come movimento liberale erede di Rousseau e del suo Contratto sociale (1762), ha sempre parallelamente validato il presupposto che l’aggressività, la violenza e il crimine derivassero da una deprivazione sociale: un quartiere povero, una cattiva casa.

      Attribuendo inoltre la colpa degli stupri alla pornografia e, con una compiaciuta circolarità di ragionamento, interpretando i focolai di sadismo come un contraccolpo a sé stesso, non tiene conto di come lo stupro e il sadismo siano stati invece ciclicamente evidenti nel corso della storia e, a un certo punto, in tutte le culture.6

      Senza indugiare sulle dinamiche e le cause di misfatti dell’attualità – peraltro ancora oggetto di indagine giudiziaria – nella Francia di de Sade della seconda metà del XVIII secolo – popolino escluso – uomini e donne dell’aristocrazia godevano di pari licenziosità morali e disponibilità finanziarie. Il diritto era il diritto degli aristocratici. Deleuze direbbe che, non avendo l’immobilità delle cose eterne, il diritto si sposta incessantemente tra famiglie che devono riprendere o rendere il sangue.7 Con le lettres de cachet – firmate dal re e controfirmate da uno dei suoi ministri -, i benestanti, comprandole, potevano sbarazzarsi di individui indesiderati. Usate dalla polizia per occuparsi delle prostitute, potevano servire ai capi famiglia come mezzo di correzione o dalle mogli, per tenere a freno la dissolutezza dei mariti, e viceversa.8 Entrambi, uomini e donne, ne disponevano ed abusavano a reciproco discapito, soprattutto perché il Cancelliere/Segretario le emanava in maniera del tutto arbitraria e il re non era neppure a conoscenza della loro emissione: in altre parole venivano emesse in bianco, in vendita al miglior offerente. E nel caso di comportamenti a detrimento del genere femminile? Le donne pagavano, tanto quanto gli uomini. Lo strumento del denaro non le rendeva per nulla differenti, sagge o partecipi all’esprit de corps in quanto donne. Nessun afflato cameratesco fra loro.9

      Anzi, attraverso il suo fondamento nell’importanza della visibilità o reputazione (esisto in base ai like) come parametro del giusto e del vero – e le sue ramificazioni anche negli ambienti più colti e navigati -, il sistema dei destini decisi per delazione (la partigianeria da bar sport) è, in fondo, un attualissimo modo di rappresentazione del mondo.

      La verità – ma a chi importa, poi, della verità quando il paradigma attuale è l’utile?10 – è la verità delle agenzie di comunicazione che fatturano, con la stessa disinvoltura, tanto sulla crisi Parmalat, quanto su quella dell’ex-Ilva, Standard & Poor’s, crollo del Ponte Morandi, le plusvalenze juventine e il caso Calciopoli. Con i follower (ovvero gli account) che si comprano in rete a pacchetti di cinquantamila per poche centinaia di euro (l’engagement creato dal nulla), ogni scafato che non faccia principalmente il social media manager si può presentare persino come prossimo Presidente della Repubblica, disponendo di una squadra di quattro o cinque persone, cinquantamila account in mano e un servizio di proxy.

      Esattamente come oggi la scienza distilla certezze, le lettres – come i trend topics – offrivano un sistema di spiegazione globale che soddisfaceva lo spirito del tempo. Nessuno oggi mette in dubbio la rotondità della terra o l’origine microbica della febbre tifoide. E tuttavia, si tratta puramente e semplicemente di schemi di rappresentazione arbitrari: la scienza è credenza.11

      Nel solco della stessa arbitrarietà, potremmo ascrivere gli atteggiamenti femministi di sfida contro «sistemi» come il patriarcato. Ma qual è, esattamente, lo scopo dell’atto di sfida? È evidente: creare dei martiri! Anime di questo tipo vengono proprio trascinate (o si trascinano imprecando) verso la santità obbligata della vittima sacrificale.12 Ma, mentre le donne contadine guadagnavano potere man mano che invecchiavano – le giovani donne erano pedine senza cervello i cui matrimoni, gravidanze, cura dei figli, cucina e altre faccende erano aspramente supervisionati e controllati dalle vecchie dittatoriali -, le mogli professioniste che tornano dal lavoro, in un appartamento o in una casa spesso vuoti, si ritrovano a competere con le donne più giovani in modi sempre nuovi e crudeli.13

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