La scorsa settimana, un alto membro del Parlamento del Partito Laburista britannico è andato in televisione a chiedere che il Regno Unito – e forse anche il mondo intero – si metta in “assetto di guerra” per combattere il cambiamento climatico.
Intervenendo nel programma politico di punta della BBC, Newsnight, il deputato Barry Gardiner ha invocato l’unità di intenti contro la “minaccia esistenziale” del cambiamento climatico:
“… se questa fosse una guerra non staremmo a discutere se sia meglio la strategia laburista o quella conservatrice, ma lavoreremmo insieme per cercare di vincere […] Beh, è una guerra. È una guerra per la sopravvivenza e il cambiamento climatico minaccia ogni cosa […] Quindi, in realtà, invece dei giochi politici di partito su chi è in vantaggio e chi è in svantaggio, quello che dobbiamo fare è dire: uniamoci, mobilitiamoci per una guerra ed è questo ciò che serve…”.
Due giorni dopo, gli stessi concetti sono stati espressi in un articolo del Financial Times da Camilla Cavendish, ex capo dell’unità politica di Downing Street di David Cameron e allieva della Kennedy School of Government:
La risposta è sicuramente quella di invocare uno spirito bellico e fare della lotta al cambiamento climatico un’impresa comune contro un nemico comune. Se c’è la volontà pubblica e politica, l’ingegno umano può prevalere, con notevole rapidità. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’America aveva trasformato la sua base industriale per produrre carri armati e munizioni. La pandemia Covid ha portato alla scoperta e allo sviluppo di vaccini su larga scala, salvando milioni di vite.
È interessante notare il paragone con la Covid, ma ci torneremo.
La campagna non è limitata al Regno Unito, infatti aveva preso il via dall’altra parte dell’Atlantico, con l‘Inquirer che, il 16 luglio, aveva pubblicato un articolo intitolato “Il presidente Biden dovrebbe rivolgersi alla nazione e dichiarare guerra… al cambiamento climatico“, in cui si sosteneva:
Biden e i suoi collaboratori devono prendere quel metaforico megafono e chiamare le reti televisive per annunciare un discorso in prima serata dallo Studio Ovale che dichiari un’emergenza nazionale – in sostanza, uno stato di guerra – per combattere il cambiamento climatico.
Lo stesso Joe Biden il 27 luglio aveva definito il cambiamento climatico una “minaccia esistenziale“.
L’invocazione di una guerra metaforica non è, ovviamente, una novità.
“Guerra” è una parola molto importante nel mondo della politica e della propaganda. Ha – o si presume che abbia – un effetto immediato sulla mente collettiva dell’opinione pubblica; un collegamento immediato a generazioni di ricordi condivisi, in grado di far nascere sentimenti di conformità e solidarietà.
Qualche studio psicologico o focus group se ne era già reso conto decenni fa, e per questo la parola “guerra” è spesso usata per controllare le narrazioni.
Nelle “democrazie” occidentali l’uso della parola con la W [War – Guerra] è il codice per un accordo bi-partisan, nel tentativo di creare una finta solidarietà tra le stesse persone che incoraggiano a odiarsi a vicenda per il 90% del tempo, bollando come estraneo qualsiasi dissenziente che rappresenti una minaccia per la sicurezza del gruppo.
Più pragmaticamente, essere “in guerra” crea un’”emergenza” che giustifica la soppressione “temporanea” dei diritti umani e delle libertà e permette di aumentare i poteri assunti dallo Stato.
OffG – e altri – ne hanno discusso all’infinito, oltre un certo punto qualsiasi governo autoritario ha bisogno di esistere in uno stato di guerra per evitare il collasso, e così si creano nemici che, per loro natura, possono rimanere eternamente invitti.
Si veda: “La guerra alla droga”, “La guerra al terrore”, “La guerra alla Covid”.
… e, ora, la guerra al cambiamento climatico.
O, più propriamente, “la guerra al cambiamento climatico… di nuovo”.
Perché né Barry Gardiner né Camilla Cavendish sono i primi ad esprimere questo pensiero. Neanche lontanamente.
L’allora principe, ora re, Carlo aveva espresso lo stesso identico sentimento con le stesse identiche parole in un discorso alla COP26 nel novembre 2021 e, all’epoca, gli articoli di opinione del Guardian erano d’accordo con lui.
In effetti, riprendevano un rapporto dell’University College di Londra del maggio 2021.
La CNN nell’aprile 2019 aveva già avvertito che stavamo “perdendo la guerra al cambiamento climatico”, plagiando lo stesso identico titolo dell’Economist di un anno prima, era l’agosto 2018.
Bill McKibben aveva scritto per New Republic nell’agosto 2016 “Siamo sotto attacco da parte del cambiamento climatico – e la nostra unica speranza è mobilitarci come avevamo fatto nella Seconda Guerra Mondiale”.
Venkatesh Rao aveva scritto “Why Solving Climate Change Will Be Like Mobilizing for War” (Perché risolvere il cambiamento climatico sarà come mobilitarsi per la guerra) per l‘Atlantic nell’ottobre 2015, ripetendo gli stessi argomenti di un articolo della CNN di quattro mesi prima.
Diavolo, già nel 2003 il New York Times pubblicava editoriali dal titolo: “Dopo l’Iraq: dichiarare guerra al riscaldamento globale”
(Ah, vi ricordate quando il Cambiamento Climatico non aveva ancora ricevuto il suo restyling di non falsificabilità ed era ancora conosciuto solo come “riscaldamento globale”?)
In sostanza, ogni pochi mesi tirano fuori l’idea di “dichiarare guerra al cambiamento climatico”, non ottengono quasi nessun impegno da parte del pubblico, e poi tornano a sproloquiare di allarmismo e paura per un po’ prima di riprovarci.
Lo fanno da anni. Finora non ha funzionato.
…ma questa volta potrebbe essere un po’ diverso.
Perché? Perché ora viviamo in una società post-Covid.
Considerate che, con l’eccezione dei vaccini, tutto ciò che è stato portato dalla Covid – i lockdown, il crollo finanziario, tutto il “Grande Reset” – era originariamente inteso come una “risposta” al cambiamento climatico.
Avevano un pacchetto di “soluzioni” pronte e in attesa di una “reazione” pubblica che non è mai arrivata. Semplicemente, la gente non si è mai spaventata abbastanza all’idea che il mondo potesse diventare un po’ più caldo.
Si potrebbe obiettare che il ripetuto fallimento del riscaldamento globale nell’innescare il panico globale è la ragione stessa per cui si era fatto ricorso alla “Covid”, ma, qualunque sia il rapporto causa-effetto, il fatto è che la Covid ha gettato le basi per la “guerra al cambiamento climatico”, basi che non erano mai esistite prima.
Le “misure anti-Covid” forniscono un precedente sia per l’uso di ‘risposte’ estreme che per la loro apparente “efficacia”.
La Covid ha creato abbastanza paura da poter aumentare l’isteria climatica collegando l’ambientalismo a future potenziali “pandemie”.
La Covid ha (presumibilmente) “ispirato la cooperazione globale” e ha “dimostrato cosa possiamo ottenere quando si lavora tutti insieme”.
I lockdown per la Covid (presumibilmente) “hanno mostrato come il mondo può guarire” riducendo le emissioni.
E, soprattutto, il lancio della narrazione Covid ha dimostrato che, una volta che le persone hanno investito la loro virtù o la loro personalità in una storia, si può raccontare loro praticamente qualsiasi cosa riguardo a quella storia e loro saranno incentivati a credervi, A PRESCINDERE DA QUANTO POSSA ESSERE ASSURDA LA STORIA.
Avevamo già fatto notare il fatto che diversi articoli recenti che “dichiarano guerra al cambiamento climatico” fanno riferimento alla Covid, identificandola quasi sempre come una storia di successo globale.
È ormai un luogo comune parlare di come evitare il disastro climatico utilizzando l’esperienza Covid. Le Nazioni Unite, il Council on Foreign Relations e il Fondo Monetario Internazionale hanno pubblicato negli ultimi due anni articoli con titoli quasi identici, ad esempio:
Cosa ci insegna la pandemia di coronavirus sulla lotta al cambiamento climatico
Forse l’esempio più lampante dell’uso dell’immaginario Covid per vendere il cambiamento climatico e il globalismo è l’appello a creare una “Organizzazione globale per il clima”, lanciato dal dottor David King sull’Independent qualche giorno fa:
“In termini di crisi sanitaria, come quella della Covid, abbiamo un’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha sede a Ginevra e fa parte delle Nazioni Unite. Non abbiamo un’organizzazione mondiale per le crisi climatiche. È di questo che abbiamo bisogno, in modo che tutti i Paesi del mondo possano unirsi attraverso un organismo di questo tipo, come facciamo quando c’è una crisi sanitaria, visto che siamo noi a contribuire ai costi dell’OMS. Abbiamo bisogno di un sistema globale che ci metta tutti insieme per combattere questa minaccia esterna al nostro futuro gestibile”.
Sappiamo di cosa si tratta, questo è il “passaggio dalla Covid al clima” che, letteralmente, ci hanno detto essere in arrivo.
Il “Grande Reset” ha avuto un buon inizio, ma devono ancora introdurre tutta una serie di simpatici provvedimenti (ad esempio il razionamento del cibo). In un mondo post-Covid, sperano di rendere finalmente il “cambiamento climatico” abbastanza spaventoso, in modo che la gente possa implorarli di rimodellare il pianeta a loro piacimento.
La parte divertente è che, a dire il vero, non sembra che la cosa stia avendo molto successo.
Al di fuori dell’eco dei media e di chi ama far sfoggio di virtù, nonostante tutte le “terrificanti” mappe delle temperature, o gli esperti che avvertono che “milioni di persone moriranno all’istante” se spegneranno l’aria condizionata, il nuovo tormentone dell’”ebollizione globale” viene accolto con indifferenza e noia.
Per loro sfortuna, perché si sono dati una scadenza. Ogni anno che passa senza che si verifichi una catastrofe climatica, ogni estate in cui le calotte glaciali non scompaiono, ogni luglio stagionalmente freddo o umido è un altro chiodo nella bara della loro narrazione, un altro po’ di persone normali che si disimpegnano dalla storia.
Probabilmente è per questo che la copertura dell’”ondata di calore Cerbero” e dell’”ebollizione globale” è fervida, al limite del febbrile. C’è la disperazione che filtra da ogni tweet e da ogni titolo.
Non c’è più tempo.
L’oscuro corollario di ciò è che un giorno o l’altro potrebbero rinunciare a cercare di persuadere le persone e iniziare a cercare di costringerle.